Corriere della Sera - La Lettura
Sotto il vulcano un delitto e troppi misteri
Sesta indagine della ruvida Vanina, vicequestore di Catania e protagonista della saga di Cristina Cassar Scalia. Si parte da un morto ritrovato in una delle due carrozze della processione di Sant’Agata e si risale fino allo sbarco alleato in Sicilia
Mentre a inizio febbraio a Catania si conclude dopo ben tre giorni la processione in onore della patrona Sant’Agata con l’arrivo del fercolo in duomo, due studentesse spagnole agli sgoccioli del loro Erasmus si intrufolano nel Palazzo del Municipio per le ultime foto ricordo. Ma in una delle due carrozze settecentesche in cui hanno appena sfilato le autorità cittadine rinvengono un cadavere. Parte da qui La carrozza della Santa, la nuova indagine di Giovanna Guarrasi — per tutti Vanina, vicequestore nella città etnea, dove si è rifugiata per dare un taglio netto al passato — protagonista di una saga gialla oggi fra le più amate dal pubblico.
È il sindaco in persona a contattare Vanina e la sua squadra, reduce dal massacrante servizio d’ordine per la festa. Il morto è Vasco Nocera, facoltoso catanese sulla settantina: intorno a lui e ai suoi familiari si addensano ben presto ombre e misteri, che impegnano il commissariato al gran completo. Vanina, innanzitutto, ruvida e testarda investigatrice barricata per autodifesa dietro al sarcasmo, accanita fumatrice con la passione per la cucina siciliana e per i vecchi film italiani, nell’appartamento preso in affitto dalla signora Bettina, piena di premure verso la sua inquilina. Quattro anni prima, «di punto in bianco» Vanina ha lasciato Palermo, dove da ragazza ha visto morire sotto i suoi occhi l’adorato padre, ispettore di polizia trucidato dai colpi di Cosa Nostra, e dove con straordinaria prontezza ha salvato l’uomo amato, il procuratore aggiunto Paolo Malfitano, che, dopo un brevissimo matrimonio da cui è nata una bimba, è tornato alla carica, più innamorato che mai, complici le indagini sulla malavita organizzata.
Sullo sfondo di una Catania preda del traffico ma sontuosa, fra il vulcano, il mare e le vestigia del barocco siciliano, e gustose digressioni di cucina e di cinema, tornano in questa sesta indagine i personaggi che i lettori hanno imparato ad amare: la bellissima Marta Bonazzoli, bresciana trapiantata in Sicilia per amore di Tito Macchia, il capo di Vanina, con cui questa volta ha qualche dissapore; l’ispettore Spanò, che in famiglia attinge sovente ai curtigghi, i pettegolezzi cittadini, preziosi per le indagini, i pm Terrasini e Eliana Recupero, sempre in prima linea, il sovrintendente capo della Scientifica Pappalardo, il medico legale Adriano Calì, legato a Vanina dalla comune passione per i film, e il suo compagno giornalista di guerra, l’avvocatessa e shopping addicted Maria Giulia De Rosa, Giuli, l’amica più cara per Vanina, che nel finale si annuncia protagonista della prossima «puntata» della serie. E l’immancabile ex commissario Biagio Patanè, 83 anni egregiamente portati, con il suo intuito investigativo immutato e l’affetto sincero per la vicequestore, che scatena la gelosia della moglie Angelina.
Mentre le indagini catanesi si impantanano in torbide vicende familiari i cui tasselli faticano a sistemarsi, Vanina si ritrova a fare ancora una volta i conti con il passato. A Palermo sono sulle tracce dell’ultimo dei quattro uomini coinvolti nella morte del padre, e Paolo non esita a coinvolgerla. Nel capoluogo ritrova la famiglia con cui solo recentemente ha ricucito qualche strappo, ma anche quel clima così avvelenato che l’ha indotta a fuggire. La caccia al latitante si risolve in un nulla di fatto per una evidente fuga di notizie, ma è ancora di Vanina l’intuizione capace di aprire una nuova strada alle indagini. Che intanto a Catania prendono una piega inaspettata, le cui radici affondano in una fra le più terribili pagine di storia italiana, la lotta partigiana contro il nazifascismo all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia.
Cristina Cassar Scalia conferma un meccanismo oliato alla perfezione, capace di sondare l’interiorità dei personaggi senza cedimenti di ritmo, di restituire un efficace affresco socio-politico inquinato dalla malavita organizzata e di reinventare il felice pastiche linguistico creato da Camilleri con un’attenzione quasi filologica, ma mai noiosa, per le sfumature fra le parlate locali.