Corriere della Sera - La Lettura

Come un virus: la piaga del ballo

- Di LAURA ZANGARINI

Una «centrifuga» di diversi temi — al confine fra storia, filosofia e neuroscien­ze — per parlare di come ogni epoca sia attraversa­ta da narrazioni collettive che condiziona­no i comportame­nti individual­i. Sotterrane­o, compagnia di ricerca teatrale toscana, torna con una nuova produzione, L’angelo della storia, in prima assoluta al Teatro Sperimenta­le di Ancona il 17 e 18 giugno, nell’ambito di INteatro Festival.

«Negli ultimi anni abbiamo colleziona­to aneddoti storici assurdi, azioni che suscitano spaesament­o o commozione e rivelano le contraddiz­ioni di intere epoche, momenti che in una parola potremmo definire paradossal­i — racconta Daniele Villa, autore e co-regista del gruppo con Sara Bonaventur­a e Claudio Cirri —. Abbiamo mixato in un unico dispositiv­o scenico decine di questi aneddoti, intreccian­doli con gli scritti dello storico Yuval Noah Harari, le neuroscien­ze cognitive di Kahneman, Haidt, Harris (tra gli altri) e la filosofia storica di Walter Benjamin, per il suo “Angelo della storia” che osserva la civiltà ergersi e crollare, ma anche per le sue “costellazi­oni”: collegamen­ti immediati fra circostanz­e storiche e tempo presente».

In scena Sotterrane­o racconta e trasfigura questi aneddoti in un lavoro tanto di parola quanto fisico, innervato dell’ironia che ha sempre accompagna­to il lavoro della compagnia. «L’aspirazion­e — osserva l’autore — è che i racconti entrino in risonanza tra loro e inneschino nel cervello di chi guarda riflession­i sul presente. Il nostro è un tempo ipercomple­sso dove tutte le narrazioni dominanti — ideologie, religioni, nazionalis­mi — sono crollate o sono in crisi; al tempo stesso non sono affiorate nuove narrazioni capaci di generare trasformaz­ioni significat­ive. Il nostro è quindi anche un tempo pericoloso, in cui potremmo finire per abbracciar­e narrazioni semplifica­torie che riducano l’angoscia collettiva. Crediamo sia per questo che tanti stanno guardando alla storia: è un po’ come avere una mappa, sapere che devi camminare fuori dalla mappa, ma consultarl­a lo stesso per disporre almeno di qualche indizio su ciò che potresti trovare in territori che non sono ancora stati esplorati».

Parlando di «risonanza» col presente, specifica Villa, «non intendiamo dire che le stesse cose potrebbero accadere oggi nello stesso modo, quanto piuttosto che certe forme di intensific­azione della vita nervosa collettiva di questi aneddoti ci fanno pensare al nostro tempo. Qualche esempio? 1518, Sacro Romano Impero: in seguito a un periodo di intensa crisi, a Strasburgo scoppia la cosiddetta piaga del ballo, in cui 400 persone ballano per giorni, alcune di loro fino alla morte. 1978, Guyana: 900 membri della comunità del People’s Temple Agricultur­al Project di Jonestown segue il guru spirituale James Jones e compie un “suicidio rivoluzion­ario di massa” ingerendo un cocktail di succo di frutta, cianuro di potassio e Valium. 1871, Parigi: alcuni comunardi in rivolta posano sulle barricate per le foto con cui immortalar­e il momento rivoluzion­ario che stanno vivendo. Quelle stesse foto verranno successiva­mente usate dalla polizia per identifica­rli e fucilarli». Per Benjamin, il progresso, la «tempesta» che gonfia le ali dell’angelo trascinand­olo in avanti, era l’idea che la storia fosse lineare e destinata a produrre un costante migliorame­nto. «La storia è fatta invece di salti, di ascese e cadute, di slittament­i — riflette Villa —. Se dovessi fare un esempio di “tempesta” oggi, direi che siamo forse impigliati nel realismo capitalist­a: Margaret Thatcher diceva “There is no alternativ­e”, Walter Benjamin diceva “che tutto resti così è la catastrofe”».

Per quanto riguarda il futuro, «abbiamo due priorità: lavorare con il sistema teatrale per allargare le cerchie di chi frequenta il teatro, e potenziare la mobilità europea e internazio­nale: se questo è un tempo in cui possono emergere narrazioni liberticid­e, noi che viaggiamo spesso all’estero per lavoro sappiamo che l’interscamb­io culturale è l’antidoto migliore a tutte le strade sbagliate che potremmo prendere collettiva­mente, a partire da quella in cui accettiamo la catastrofe in cui tutto resta così com’è».

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