Corriere della Sera - La Lettura
Per fare il libraio serve un fisico bestiale
Uno scrittore, Vanni Santoni, conversa con un traduttore (ed ex editore, ed ex promotore editoriale), Fabio Cremonesi, su che cosa significhi vendere volumi, ordinarli, suggerirli. Un tema affrontato anche in un incontro della Città dei Lettori
Fabio Cremonesi, traduttore da almeno quattro lingue — inglese, tedesco, spagnolo, catalano — celebre in quanto voce italiana di Kent Haruf (nel 2017 è arrivato primo nella Classifica di Qualità de «la Lettura»), ex editore (fu suo il marchio Gran Vìa), ex promotore editoriale, da sei mesi è anche libraio: si è stabilito a Empoli (Firenze), dove si muove tra gli scaffali della rifondata libreria «San Paolo – Libri & Persone». Per la rassegna la Città dei Lettori domenica 12 partecipa a Firenze a un incontro con altri librai, Leggere in libreria, leggere librerie.
VANNI SANTONI — Cremonesi, ci racconta com’è andata? FABIO CREMONESI — Ho svolto tutti i mestieri della filiera editoriale, mi mancava solo il libraio, così quando si è manifestata quest’occasione l’ho colta.
VANNI SANTONI —È accaduto per caso?
FABIO CREMONESI — Quasi: mi avevano chiesto una consulenza in vista della riapertura ma invece di limitarmi a fare il consulente, ho deciso di imbarcarmi nell’impresa. Tra l’altro questa libreria presentava un motivo d’attrazione in più: come si può intuire dal nome, prima di chiudere aveva alle spalle un oscuro passato religioso [ride]; poi è stata riaperta da una cooperativa sociale, e questo per me ha contato molto. Non solo perché mi permetteva di partecipare senza rischi economici [ride di nuovo] ma soprattutto perché una cooperativa sociale, prestandosi a un’attività profit, ha la possibilità di reinterpretarla sotto una logica d’intervento.
VANNI SANTONI — Le prime cose che ha imparato da libraio?
FABIO CREMONESI — Prima di tutto il fatto che da promotore, o da editore, si ha un’idea di come funziona una libreria piuttosto lontana dalla realtà: tendiamo a vederla come una bottega, mentre standoci dentro mi sono reso contro del suo potenziale culturale e sociale. Una libreria in un quartiere o in una città ricettiva può avere un ruolo che potremmo definire agit prop. Poi, certo, i libri vanno comunque venduti, tutta un’altra storia.
VANNI SANTONI — Le presentazioni sono utili?
FABIO CREMONESI — No, direi di no. Noi stessi facciamo molti eventi ma pochissime presentazioni, salvo quando abbiamo avuto l’occasione di chiamare qualche grosso nome, come David Leavitt. Trovo sia più utile creare contesti di frequentazione: mini-rassegne, cicli di interventi a tema, pure degustazioni... L’importante è portare la gente in libreria, e se lo si fa con qualcosa non legato alla vendita dei libri, forse c’è pure più chance che qualche libro lo comprino.
VANNI SANTONI — Che cosa si vende alla San Paolo – Libri & Persone?
FABIO CREMONESI — Si vendono ancora un sacco di libri religiosi, anche se di quell’epoca è rimasto solo il nome. Ma la gente è abituata a cercare determinati libri qui, e io sono sufficientemente laico da venderglieli senza alcun problema. A parte questa voce, direi molta più narrativa che saggistica…
VANNI SANTONI — Tanti lettori di romanzi, quindi.
FABIO CREMONESI — La risposta è più terra-terra, anche se può sorprendere: la libreria è su due piani, e ciò che metti di sopra vende sempre meno. Noi di sopra abbiamo i saggi e la varia.
VANNI SANTONI — Lo spazio espositivo è tutto?
FABIO CREMONESI — Di più: in quella che potremmo chiamare la «dottrina classica» della gestione delle librerie, l’80% del fatturato dovrebbe venire dai 20 metri quadrati di scaffale e pile davanti alla porta. Il nostro obiettivo è opposto: mettiamo lì le cose che ci sembrano belle, e infatti guardi qua: nottetempo, Clichy, Keller, Bottega Errante, TerraRossa… Questi sono i nostri 20 metri quadrati davanti alla porta. [Li inquadra durante la videochiamata] Evidentemente non corrispondono all’80% del nostro fatturato.
VANNI SANTONI — Su che cosa si basa, quindi? Oltre ai libri religiosi...
FABIO CREMONESI — Un sacco di manga. Io ne capisco il giusto, ma rubo competenze alla figlia della presidente della cooperativa: ogni tanto passa di qua e ci fa capire cos’abbiamo e cosa ci manca. Poi, appunto, la narrativa, grazie al piano terra… Va da sé che vendiamo anche i titoli più commerciali ma il fatto che la nostra prima concorrente sia una grande libreria molto generalista ci permette di attirare anche i lettori più avveduti. E ci mettiamo del nostro, ad esempio col gruppo di lettura, dove ho sempre premura di invitare il traduttore del romanzo che si sta leggendo.
VANNI SANTONI — Da buon traduttore…
FABIO CREMONESI — Sì, ma non solo. Il fatto è che i gruppi di lettura hanno la naturale tendenza a diventare gruppi di autocoscienza: come disinnescare un simile processo? La risposta è stata: coinvolgendo il traduttore, così da restare «dentro» al libro.
VANNI SANTONI — Come vede la professione del traduttore, oggi, in Italia?
FABIO CREMONESI — Mah. Da un lato devo dire che gode di un prestigio e di un interesse prima impensabili, ciò non per un’improvvisa presa di coscienza del Paese, ma grazie al lavoro di persone come Ilide Carmignani (traduttrice di Bolaño, Borges, Márquez e Sepúlveda, ndr) che da oltre vent’anni si dannano l’anima per dare visibilità alla categoria. Dall’altro, la situazione, dal punto di vista economico, è quella che è. Si guadagna poco, sì, ma credo che il vero problema sia l’esistenza di un contesto, endemico, di autosfruttamento. I traduttori si autosfruttano, e accettano un sistema che li sfrutta. Certo, è un problema diffuso in tutta la filiera. Difficile trovare soluzioni: ci sono colleghi che portano avanti una battaglia per le royalties ai traduttori, ma…
VANNI SANTONI — Non le pare una buona idea? FABIO CREMONESI — Per nulla. Penso che sia proprio un errore. Prendiamo la Francia: lì i traduttori prendono le royalties. Qual è il risultato? Che i traduttori più bravi finiscono a tradurre i bestseller più commerciali, il vero e proprio trash, invece dei capolavori. VANNI SANTONI — Un paradosso. FABIO CREMONESI — E non uno solo. Con un tale sistema, se un editore vuole spendere meno, abbasserà il «fisso», allettando il traduttore con delle royalties che magari non arriveranno mai.
VANNI SANTONI — Anche nel mercato degli autori l’aspetto economico decisivo è l’anticipo, non le royalties.
FABIO CREMONESI — Esatto, anche perché il traduttore, come l’autore, non ha alcuna possibilità di verificare con certezza le vendite reali. Aggiungo anche una questione puramente concettuale: il traduttore è un professionista, non un imprenditore né un autore. Ergo, deve essere pagato in quanto professionista, senza concorrere al rischio d’impresa: del resto mica scelgo io i libri da fare, i paratesti o le copertine. Vendere i libri è compito dell’editore.
VANNI SANTONI — O del libraio: cosa ci consiglia, Cremonesi?
FABIO CREMONESI — Vediamo… Ne ho uno in mente… Aspetti che lo cerco, perché se non lo trovo faccio una figuretta… Eccolo! Fuori di sé di Sasha Marianna Salzmann, edito da Marsilio. Un romanzo straordinario sull’identità e sulla necessità di costruirsela, ambientato nella Istanbul delle proteste di Gezi Park. VANNI SANTONI — Lo ha tradotto lei!
FABIO CREMONESI — Sì. Non è elegante promuoverlo, ne sono consapevole. Ma lo faccio lo stesso, perché è un libro bellissimo. Compenserò con un altro titolo, ma bisogna salire al piano di sopra… Eccoci. Eva Meijer, Linguaggi animali, nottetempo. Questo è un libro incredibile. Parla di come comunicano gli animali, e ci sono cose qua dentro che se non fossero scritte da una studiosa più che accreditata, parrebbero inventate.
VANNI SANTONI — Mi sta convincendo... FABIO CREMONESI — Sto diventando un libraio, no? Ma a chi vuol fare questa carriera ricordo che non è solo questione di interagire col pubblico: c’è una dimensione logistica. Detta in breve: i libri vanno spostati e posizionati, e pesano.