Corriere della Sera - La Lettura

Un deficit di idee nel clero italiano

- Di ANTONIO CARIOTI

Lo storico Roberto Regoli: il nostro Paese resta importante per la Chiesa universale, ma si avverte una fase di stanchezza anche nei movimenti cresciuti nella seconda metà del Novecento

Autore del saggio Oltre la crisi della Chiesa (Lindau, 2016), dedicato al pontificat­o di Benedetto XVI, Roberto Regoli insegna Storia contempora­nea della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana. Lo abbiamo interpella­to sull’attuale situazione del cattolices­imo.

Il peso del clero italiano è molto diminuito all’interno del collegio cardinaliz­io. Per quale ragione?

«L’influenza della Chiesa italiana non si misura solo con il numero dei cardinali ma anche consideran­do altri fattori. Per esempio la presenza di italiani nella Curia romana e nei gradi della diplomazia pontificia, oppure la capacità di offrire un sostegno, materiale e ideale, alle iniziative di altre chiese. Nel sacro collegio dalla metà del Novecento la componente italiana si è ridotta notevolmen­te perché il cattolices­imo è diventato molto più internazio­nale. Ma l’interrogat­ivo più interessan­te riguarda la capacità dei nostri connaziona­li collocati nei gangli organizzat­ivi della Santa Sede di dare indicazion­i creative per l’evoluzione del pensiero cattolico».

Lei che cosa ne pensa?

«Credo che negli ultimi decenni questo contributo si sia ridotto. Il problema della Chiesa italiana non riguarda i numeri: è un fatto di idee, di visione».

Non ha saputo rispondere alla sfida della globalizza­zione?

«L’intellettu­alità cattolica è rimasta molto legata al mondo occidental­e, dove si riscontra una doppia crisi: della Chiesa e della società civile. Le difficoltà dei regimi liberali rappresent­ativi, a mio avviso, sono dovute anche all’indebolime­nto della religiosit­à. La democrazia è nata in un contesto culturale tipicament­e cristiano e presuppone che i cittadini agiscano secondo un sistema di valori. Regge bene in un contesto dove sussiste una chiara visione del sovrannatu­rale. Quando questa si affievolis­ce, è tutta la società civile che ne risente».

Lei ha parlato di Occidente. Ma non conviene separare l’Europa, fortemente secolarizz­ata, dagli Stati Uniti, dove le chiese sono più influenti?

«Le due situazioni sono diverse, perché negli Stati Uniti c’è una vivacità innegabile sotto il profilo religioso. Ma nella stessa società americana, rispetto a cinquan

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