Corriere della Sera - La Lettura
Un deficit di idee nel clero italiano
Lo storico Roberto Regoli: il nostro Paese resta importante per la Chiesa universale, ma si avverte una fase di stanchezza anche nei movimenti cresciuti nella seconda metà del Novecento
Autore del saggio Oltre la crisi della Chiesa (Lindau, 2016), dedicato al pontificato di Benedetto XVI, Roberto Regoli insegna Storia contemporanea della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana. Lo abbiamo interpellato sull’attuale situazione del cattolicesimo.
Il peso del clero italiano è molto diminuito all’interno del collegio cardinalizio. Per quale ragione?
«L’influenza della Chiesa italiana non si misura solo con il numero dei cardinali ma anche considerando altri fattori. Per esempio la presenza di italiani nella Curia romana e nei gradi della diplomazia pontificia, oppure la capacità di offrire un sostegno, materiale e ideale, alle iniziative di altre chiese. Nel sacro collegio dalla metà del Novecento la componente italiana si è ridotta notevolmente perché il cattolicesimo è diventato molto più internazionale. Ma l’interrogativo più interessante riguarda la capacità dei nostri connazionali collocati nei gangli organizzativi della Santa Sede di dare indicazioni creative per l’evoluzione del pensiero cattolico».
Lei che cosa ne pensa?
«Credo che negli ultimi decenni questo contributo si sia ridotto. Il problema della Chiesa italiana non riguarda i numeri: è un fatto di idee, di visione».
Non ha saputo rispondere alla sfida della globalizzazione?
«L’intellettualità cattolica è rimasta molto legata al mondo occidentale, dove si riscontra una doppia crisi: della Chiesa e della società civile. Le difficoltà dei regimi liberali rappresentativi, a mio avviso, sono dovute anche all’indebolimento della religiosità. La democrazia è nata in un contesto culturale tipicamente cristiano e presuppone che i cittadini agiscano secondo un sistema di valori. Regge bene in un contesto dove sussiste una chiara visione del sovrannaturale. Quando questa si affievolisce, è tutta la società civile che ne risente».
Lei ha parlato di Occidente. Ma non conviene separare l’Europa, fortemente secolarizzata, dagli Stati Uniti, dove le chiese sono più influenti?
«Le due situazioni sono diverse, perché negli Stati Uniti c’è una vivacità innegabile sotto il profilo religioso. Ma nella stessa società americana, rispetto a cinquan