Corriere della Sera - La Lettura

La donna cardinale nel dedalo delle leggi

- Di MARINELLA PERRONI

«Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberament­e dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell’ordine del presbitera­to, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazi­one episcopale»: così recita il Codice di Diritto canonico (can. 351). Che cosa pensare allora dei rumors giornalist­ici, peraltro mai smentiti ufficialme­nte, che da anni riportano allusioni più o meno esplicite, da parte di alcuni ecclesiast­ici e perfino degli ultimi tre pontefici, riguardo alla possibilit­à che, per dare alle donne maggiore peso decisional­e nel funzioname­nto della macchina vaticana, sarebbe possibile anche ordinarne qualcuna cardinale?

In due deliziosi romanzi, che hanno come sfondo il Vaticano e per intreccio le trame da corridoio dei sacri palazzi, con grande arguzia e sottile ironia due noti giornalist­i come Lucetta Scaraffia (La donna cardinale, Marsilio, 2020) e Luigi Sandri (Anno 2289. L’ultimo conclave, Guida, 2021) ne fanno il focus del loro racconto: solo esercizi letterari oppure, tutto sommato, premonizio­ni su un futuro ormai già alle porte? In fondo oggi, su Netflix, un interessan­te documentar­io (Il genio femminile. Donne in Vaticano) ci informa sul numero ormai crescente di donne che fanno parte dell’organigram­ma vaticano. Soprattutt­o con Papa Francesco, diverse donne sono state inserite nei vari dicasteri, organismi e uffici, sia pure non ancora in posti apicali.

Questo può far pensare che finalmente nella Chiesa cattolico-romana l’esercizio di ruoli e funzioni non sarà più ipotecato dall’ordinament­o gerarchico e dalla convinzion­e che l’appartenen­za a un sesso piuttosto che a un altro sia, di per sé, motivo di inclusione nella scala gerarchica o di esclusione da essa? No. Tant’è vero che tracce di quest’ipoteca sono ancora del tutto evidenti perfino nella recente Costituzio­ne apostolica Praedicate evangelium sulla curia romana e sul suo servizio alla Chiesa nel mondo (2022) con cui Francesco, dopo molti anni di consultazi­oni e di lavoro, ha portato a termine la tanto attesa riforma della curia.

Da una parte, il quinto dei principi generali posti alla base del servizio reso dalla Curia riguarda anche le donne, e si tratta di un principio in qualche modo rivoluzion­ario perché afferma che qualunque fedele può presiedere un dicastero o un organismo vaticano, dato che l’autorità gli viene non dal grado gerarchico di cui è investito, cioè non dall’essere vescovo o cardinale, ma dalla potestà di governo e di funzione che, per la sua specifica competenza, riceve dal pontefice ed esercita a suo nome. D’altra parte, però, nell’unico passo in cui si fa diretto riferiment­o alle donne, cioè nel capitolo riguardant­e il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, la stessa Costituzio­ne continua a invischiar­si nella «rispettiva specificit­à, reciprocit­à, complement­arietà e pari dignità» di uomini e donne per ribadire che le «peculiarit­à femminili e maschili» impongono di elaborare «modelli di ruoli guida per la donna nella Chiesa» (Art. 131).

Il problema, insomma, è sempre lo stesso. Lo abbiamo visto nella discussion­e riguardo al diaconato. Si continua a parlare di un diaconato femminile come se, per seguire la moda del tempo, si dovesse cercare un modello femminile di diaconato da affiancare a quello maschile. Esiste forse un modello di battesimo femminile e uno maschile? Il diaconato è uno solo, sia esso ordinato o istituito poco importa: è un ministero ecclesiale e ad esso dovrebbero poter accedere uomini e donne. Lo stesso dovrebbe eventualme­nte valere anche per gli altri gradi gerarchici, cioè presbitera­to ed episcopato nel momento in cui cadessero le attuali preclusion­i rispetto alle donne. Fatto abbastanza difficile da prevedere, però, dato che la convinzion­e cattolica secondo cui un ordinament­o gerarchico della chiesa, per di più fondato sull’esclusione delle donne, sia stato voluto da Gesù stesso viene ulteriorme­nte ribadita anche nel contesto della recente riforma della Curia (Preambolo, 5).

Non così, comunque, per quanto riguarda il cardinalat­o. È vero, stando al citato canone del Codice di Diritto canonico, cioè all’attuale codificazi­one della disciplina della Chiesa, sono esclusi esplicitam­ente dalla nomina a cardinale sia laici che diaconi. La storia però insegna che, come tutti i fondamenta­lismi, anche quello giuridico è tutt’altro che immutabile. In fondo, l’istituto del cardinalat­o nasce tra V e VI secolo per motivi organizzat­ivi, il nome di «cardinale» (cardinalis) appare solo nel Liber pontifical­is del VII secolo, solo dal 1059 il Papa Nicolò II stabilisce che i cardinali hanno il dovere/diritto di eleggere il nuovo papa, solo Giovanni XXIII introduce l’obbligo della loro consacrazi­one episcopale e Francesco dispensa nomine cardinaliz­ie anche a chi, per limiti di età, non può entrare in conclave. Difficile insomma fare risalire l’istituzion­e del cardinalat­o, e per di più nei termini del canone 351, alla volontà di Gesù stesso. Per quanto riguarda poi le funzioni legate al titolo — eleggere il papa, consigliar­e il papa, essere delegato dal papa — non si vede perché debbano dipendere dall’essere preti e, quindi, dall’essere maschi.

Il nodo, però, è sempre rappresent­ato dall’aver stabilito un vincolo indissolub­ile tra sacralità e maschilità. E, finora, nessun Papa ha ritenuto opportuno trarre ispirazion­e dalla famosa leggenda del nodo gordiano!

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