Corriere della Sera - La Lettura
La donna cardinale nel dedalo delle leggi
«Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale»: così recita il Codice di Diritto canonico (can. 351). Che cosa pensare allora dei rumors giornalistici, peraltro mai smentiti ufficialmente, che da anni riportano allusioni più o meno esplicite, da parte di alcuni ecclesiastici e perfino degli ultimi tre pontefici, riguardo alla possibilità che, per dare alle donne maggiore peso decisionale nel funzionamento della macchina vaticana, sarebbe possibile anche ordinarne qualcuna cardinale?
In due deliziosi romanzi, che hanno come sfondo il Vaticano e per intreccio le trame da corridoio dei sacri palazzi, con grande arguzia e sottile ironia due noti giornalisti come Lucetta Scaraffia (La donna cardinale, Marsilio, 2020) e Luigi Sandri (Anno 2289. L’ultimo conclave, Guida, 2021) ne fanno il focus del loro racconto: solo esercizi letterari oppure, tutto sommato, premonizioni su un futuro ormai già alle porte? In fondo oggi, su Netflix, un interessante documentario (Il genio femminile. Donne in Vaticano) ci informa sul numero ormai crescente di donne che fanno parte dell’organigramma vaticano. Soprattutto con Papa Francesco, diverse donne sono state inserite nei vari dicasteri, organismi e uffici, sia pure non ancora in posti apicali.
Questo può far pensare che finalmente nella Chiesa cattolico-romana l’esercizio di ruoli e funzioni non sarà più ipotecato dall’ordinamento gerarchico e dalla convinzione che l’appartenenza a un sesso piuttosto che a un altro sia, di per sé, motivo di inclusione nella scala gerarchica o di esclusione da essa? No. Tant’è vero che tracce di quest’ipoteca sono ancora del tutto evidenti perfino nella recente Costituzione apostolica Praedicate evangelium sulla curia romana e sul suo servizio alla Chiesa nel mondo (2022) con cui Francesco, dopo molti anni di consultazioni e di lavoro, ha portato a termine la tanto attesa riforma della curia.
Da una parte, il quinto dei principi generali posti alla base del servizio reso dalla Curia riguarda anche le donne, e si tratta di un principio in qualche modo rivoluzionario perché afferma che qualunque fedele può presiedere un dicastero o un organismo vaticano, dato che l’autorità gli viene non dal grado gerarchico di cui è investito, cioè non dall’essere vescovo o cardinale, ma dalla potestà di governo e di funzione che, per la sua specifica competenza, riceve dal pontefice ed esercita a suo nome. D’altra parte, però, nell’unico passo in cui si fa diretto riferimento alle donne, cioè nel capitolo riguardante il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, la stessa Costituzione continua a invischiarsi nella «rispettiva specificità, reciprocità, complementarietà e pari dignità» di uomini e donne per ribadire che le «peculiarità femminili e maschili» impongono di elaborare «modelli di ruoli guida per la donna nella Chiesa» (Art. 131).
Il problema, insomma, è sempre lo stesso. Lo abbiamo visto nella discussione riguardo al diaconato. Si continua a parlare di un diaconato femminile come se, per seguire la moda del tempo, si dovesse cercare un modello femminile di diaconato da affiancare a quello maschile. Esiste forse un modello di battesimo femminile e uno maschile? Il diaconato è uno solo, sia esso ordinato o istituito poco importa: è un ministero ecclesiale e ad esso dovrebbero poter accedere uomini e donne. Lo stesso dovrebbe eventualmente valere anche per gli altri gradi gerarchici, cioè presbiterato ed episcopato nel momento in cui cadessero le attuali preclusioni rispetto alle donne. Fatto abbastanza difficile da prevedere, però, dato che la convinzione cattolica secondo cui un ordinamento gerarchico della chiesa, per di più fondato sull’esclusione delle donne, sia stato voluto da Gesù stesso viene ulteriormente ribadita anche nel contesto della recente riforma della Curia (Preambolo, 5).
Non così, comunque, per quanto riguarda il cardinalato. È vero, stando al citato canone del Codice di Diritto canonico, cioè all’attuale codificazione della disciplina della Chiesa, sono esclusi esplicitamente dalla nomina a cardinale sia laici che diaconi. La storia però insegna che, come tutti i fondamentalismi, anche quello giuridico è tutt’altro che immutabile. In fondo, l’istituto del cardinalato nasce tra V e VI secolo per motivi organizzativi, il nome di «cardinale» (cardinalis) appare solo nel Liber pontificalis del VII secolo, solo dal 1059 il Papa Nicolò II stabilisce che i cardinali hanno il dovere/diritto di eleggere il nuovo papa, solo Giovanni XXIII introduce l’obbligo della loro consacrazione episcopale e Francesco dispensa nomine cardinalizie anche a chi, per limiti di età, non può entrare in conclave. Difficile insomma fare risalire l’istituzione del cardinalato, e per di più nei termini del canone 351, alla volontà di Gesù stesso. Per quanto riguarda poi le funzioni legate al titolo — eleggere il papa, consigliare il papa, essere delegato dal papa — non si vede perché debbano dipendere dall’essere preti e, quindi, dall’essere maschi.
Il nodo, però, è sempre rappresentato dall’aver stabilito un vincolo indissolubile tra sacralità e maschilità. E, finora, nessun Papa ha ritenuto opportuno trarre ispirazione dalla famosa leggenda del nodo gordiano!