Corriere della Sera - La Lettura
L’età a cui si risorge? È scritto: trent’anni
Con il quinto volume dedicato allo Spirito Santo, Città Nuova completa la traduzione della mastodontica opera nata e realizzata in ambiente protestante dalla casa editrice americana InterVarsity Press, sulle parole del Credo niceno-costantiniano commentate dai Padri della Chiesa nei secoli che corrono dal primo all’ottavo.
Una letteratura sterminata che va dalle Lettere di San Paolo ad Agostino, da Origene ai santi della Cappadocia (Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianze, Gregorio di Nissa), da Cirillo di Alessandria a Gregorio Damasceno a Ilario di Poitiers, e a molti altri, ed è il riflesso dell’immenso sforzo compiuto dai primi teologi cristiani, orfani di Gesù, condannati dalle persecuzioni, per combattere le eresie e spiegare le parole della fede codificate appunto in quei due concili, che si svolsero nel 325 (Nicea) e nel 381 (Costantinopoli).
Parole che, a tutt’oggi identiche, i cristiani pronunciano a memoria nelle chiese durante le celebrazioni, chissà quanto consapevoli che, in alcuni punti, quelle affermazioni concise li confrontano con il mistero: il mistero della Trinità, quello dell’incarnazione, quello del Cristo risorto, quello della risurrezione dei morti.
Nelle Sacre Scritture — scrive Sant’Agostino in uno dei suoi Discorsi — non c’è questione più complessa di quelle che riguardano lo Spirito Santo. «Ecco perché», confessa con quel linguaggio suo particolare, che viene da dentro, «nei discorsi ai fedeli l’ho sempre evitata, perché non credevo di poter essere capace di spiegare, con le parole che mi si presentavano lì per lì, il senso che mi si affacciava all’intelligenza».
Mentre nel fondamentale Trattato sullo Spirito Santo, San Basilio è netto nello scolpire la vera e piena dignità dello Spirito, e dunque il dogma trinitario («Uno solo è il Principio degli esseri, che opera mediante il Figlio e perfeziona nello Spirito»), si specchiano, le parole con le quali Agostino descrive la salita del suo percorso spirituale e intellettivo, in quelle che Gregorio di Nazianze pronunciò nei suoi Cinque discorsi teologici, a Costantinopoli. Gregorio sostiene che la rivelazione dello Spirito sia stata progressiva: l’Antico Testamento aveva annunciato in modo esplicito l’esistenza del Padre, mentre quella del Figlio era stata annunciata più oscuramente; il Nuovo Testamento aveva manifestato in modo altrettanto esplicito l’esistenza del Figlio, mentre la natura divina dello Spirito l’aveva lasciata soltanto intravvedere. Perché? Spiega Gregorio: «Non era opportuno, allorquando la voce di Cristo non era ancora apparsa alla maggioranza degli uomini, gravare i deboli cuori degli uomini con un peso a cui non avrebbero creduto. A chi ha degli occhi ancora coperti dall’oscurità si potrebbe far vedere tutta intera la fiamma del fuoco e saziarlo di luce troppo abbondante?».
Gli fa eco, nelle Omelie sul Cantico dei Cantici, Gregorio di Nissa. Egli afferma che, essendo incommensurabile e infinita, la natura della sostanza divina, come appunto quella dello Spirito, rimane sempre al di là di ogni possibilità di comprensione, e comunque quel poco che gli uomini possono comprendere dipende da quanto il loro cuore è puro. Tuttavia, aggiunge, nella «salita» quello che di volta in volta si comprende è sempre superiore a quello che era stato compreso prima. E qui propone una prospettiva esaltante, avendo sicuramente letto Platone: «Perché il desiderio di chi ascende non si ferma mai alle realtà che sono conosciute, ma l’anima sale successivamente spinta da un desiderio più grande a un altro più grande ancora, e continuamente procede verso l’infinito».
A questa altezza — scrive Sant’Agostino — si è sollevato Giovanni con l’ultima parte del suo Vangelo: «Giovanni si distingue rispetto agli altri tre evangelisti, perché lo vediamo sollevarsi ad altezze molto superiori nel presentarci la figura di Cristo. Una immagine molto più ricca, quasi che l’avesse desunta dal petto del