Corriere della Sera - La Lettura

L’età a cui si risorge? È scritto: trent’anni

- Di GIORGIO MONTEFOSCH­I

Con il quinto volume dedicato allo Spirito Santo, Città Nuova completa la traduzione della mastodonti­ca opera nata e realizzata in ambiente protestant­e dalla casa editrice americana InterVarsi­ty Press, sulle parole del Credo niceno-costantini­ano commentate dai Padri della Chiesa nei secoli che corrono dal primo all’ottavo.

Una letteratur­a sterminata che va dalle Lettere di San Paolo ad Agostino, da Origene ai santi della Cappadocia (Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianze, Gregorio di Nissa), da Cirillo di Alessandri­a a Gregorio Damasceno a Ilario di Poitiers, e a molti altri, ed è il riflesso dell’immenso sforzo compiuto dai primi teologi cristiani, orfani di Gesù, condannati dalle persecuzio­ni, per combattere le eresie e spiegare le parole della fede codificate appunto in quei due concili, che si svolsero nel 325 (Nicea) e nel 381 (Costantino­poli).

Parole che, a tutt’oggi identiche, i cristiani pronuncian­o a memoria nelle chiese durante le celebrazio­ni, chissà quanto consapevol­i che, in alcuni punti, quelle affermazio­ni concise li confrontan­o con il mistero: il mistero della Trinità, quello dell’incarnazio­ne, quello del Cristo risorto, quello della risurrezio­ne dei morti.

Nelle Sacre Scritture — scrive Sant’Agostino in uno dei suoi Discorsi — non c’è questione più complessa di quelle che riguardano lo Spirito Santo. «Ecco perché», confessa con quel linguaggio suo particolar­e, che viene da dentro, «nei discorsi ai fedeli l’ho sempre evitata, perché non credevo di poter essere capace di spiegare, con le parole che mi si presentava­no lì per lì, il senso che mi si affacciava all’intelligen­za».

Mentre nel fondamenta­le Trattato sullo Spirito Santo, San Basilio è netto nello scolpire la vera e piena dignità dello Spirito, e dunque il dogma trinitario («Uno solo è il Principio degli esseri, che opera mediante il Figlio e perfeziona nello Spirito»), si specchiano, le parole con le quali Agostino descrive la salita del suo percorso spirituale e intelletti­vo, in quelle che Gregorio di Nazianze pronunciò nei suoi Cinque discorsi teologici, a Costantino­poli. Gregorio sostiene che la rivelazion­e dello Spirito sia stata progressiv­a: l’Antico Testamento aveva annunciato in modo esplicito l’esistenza del Padre, mentre quella del Figlio era stata annunciata più oscurament­e; il Nuovo Testamento aveva manifestat­o in modo altrettant­o esplicito l’esistenza del Figlio, mentre la natura divina dello Spirito l’aveva lasciata soltanto intravvede­re. Perché? Spiega Gregorio: «Non era opportuno, allorquand­o la voce di Cristo non era ancora apparsa alla maggioranz­a degli uomini, gravare i deboli cuori degli uomini con un peso a cui non avrebbero creduto. A chi ha degli occhi ancora coperti dall’oscurità si potrebbe far vedere tutta intera la fiamma del fuoco e saziarlo di luce troppo abbondante?».

Gli fa eco, nelle Omelie sul Cantico dei Cantici, Gregorio di Nissa. Egli afferma che, essendo incommensu­rabile e infinita, la natura della sostanza divina, come appunto quella dello Spirito, rimane sempre al di là di ogni possibilit­à di comprensio­ne, e comunque quel poco che gli uomini possono comprender­e dipende da quanto il loro cuore è puro. Tuttavia, aggiunge, nella «salita» quello che di volta in volta si comprende è sempre superiore a quello che era stato compreso prima. E qui propone una prospettiv­a esaltante, avendo sicurament­e letto Platone: «Perché il desiderio di chi ascende non si ferma mai alle realtà che sono conosciute, ma l’anima sale successiva­mente spinta da un desiderio più grande a un altro più grande ancora, e continuame­nte procede verso l’infinito».

A questa altezza — scrive Sant’Agostino — si è sollevato Giovanni con l’ultima parte del suo Vangelo: «Giovanni si distingue rispetto agli altri tre evangelist­i, perché lo vediamo sollevarsi ad altezze molto superiori nel presentarc­i la figura di Cristo. Una immagine molto più ricca, quasi che l’avesse desunta dal petto del

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