Corriere della Sera - La Lettura
Vado in metropolitana con Eraclito
Il prof argentino «Szeta» (si chiama Darío Sztajnszrajber, ma è troppo difficile per chiunque) ha mescolato in un libro Sant’Agostino e il tango, Hobbes e una grigliata, Nietzsche eil calcio. Perché «il pensiero è un’avventura popolare»
Sant’Agostino e un passo di tango, Hobbes e una grigliata con gli amici, Nietzsche e una partita della nazionale di calcio: professor «Szeta», ma davvero la filosofia può essere applicata a ogni attività umana? «Quella che a me piace praticare sì, ha questa capacità. Non tutta la filosofia. Noi che mettiamo in discussione il monopolio del sapere filosofico non possiamo a nostra volta stabilire qual è il modo corretto di esercitarla. Il campo della filosofia è per sé stesso un campo di battaglia, ed è un bene...». Alla pugna Darío Sztajnszrajber — impronunciabile cognome di origine polacca semplificato dagli allievi e dai suoi numerosi fan in «Szeta» — va coi capelli grigi legati in una coda e all’occorrenza una maglietta dei Ramones, battendo le mani per scandire il ritmo e cantare la strofa di una canzone. Singolare introduzione a una lezione universitaria sulla felicità «che riconosciamo solo quando è già passata».
È la sua idea di divulgazione, spiega collegato da Buenos Aires, che si contraddistingue «non solo per la facilità pedagogica, ma anche per l’ibridazione con altri generi, affini o meno, che le permettono di aprire prospettive diverse. Per dire, ora sto facendo una nuova stagione del mio programma televisivo Mentira la verdad sulla filosofia e la danza...». Milioni di seguaci in tutto il mondo di lingua spagnola, conferenze, inviti, trattamento da star per questa capacità singolare di fondere rigore e spettacolo. Lo stesso volume Filosofia in undici passi. Dalla caverna alla città, portato adesso in Italia da Tlon per la traduzione di Francesco Fava, si può considerare un manuale mescolato a un giallo.
La sua idea di filosofia ha infinite possibilità di contaminazione?
«La forma che a me piace è più vicina all’arte che alla scienza. Chi crede che la verità sia sempre una metafora non può che pensare alla filosofia come arte. La risposta è sì: io ritengo che la filosofia possa leggere molto bene questioni del nostro quotidiano. Ed è quello per cui i miei lettori e ascoltatori mi sono più riconoscenti: abbassare la filosofia a situazioni di tutti giorni».
In questo, lei rivendica, anzi reclama, un contrasto con l’«accademia»...
«Bisogna vincere l’avversione a pensare fenomeni popolari nell’idea che la filosofia si degradi; perdere questa vergogna e avventurarsi a usare la filosofia per pensare qualunque cosa. Da Dio a una mosca. Quello che ti propone la filosofia è un modo di pensare che non è opportunistico, strategico o matematico. Per questo a me piace dire che è artistico ed estetico».
Nello specifico del libro, la disciplina scende assieme al protagonista nella metropolitana di Buenos Aires, e già sulla scala mobile si cimenta con il «panta rei» di Eraclito e la frase che gli è stata attribuita: «Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume».
«Ho cominciato da un presocratico, dunque dalla nascita della filosofia in Grecia, per arrivare alla filosofia che possiamo definire contemporanea con Foucault: la mia idea era anche quella di fare un viaggio nella storia della filosofia».
Undici capitoli che corrispondono ad altrettante frasi. Come le ha scelte?
«È così che procedo nelle mie lezioni, per frasi. Il gioco del libro consiste nel decontestualizzare le frasi senza rinunciare a spiegare da dove sono venute. Nel mio archivio ne ho oltre 70. Perché 11? Le hanno associate ai giocatori di una squadra di calcio o alla destrutturazione di un decalogo. In realtà il numero risponde a ragioni editoriali».
Quali frasi ha dovuto escludere a malincuore?
«Ne avevo selezionate 12. È rimasta fuori quella di Walter Banjamin: “Non c’è un solo documento di cultura che non sia anche documento di barbarie”. Non posso fare a meno di pensare oggi che avere escluso questa frase sia esso stesso un modo di spiegarla...».
Dio è un filosofo? Perché è sua la seconda frase, tratta dall’Antico Testamento: «Sono colui che sono»...
«Non presento Dio come filosofo, ma come autore della frase. Quello che cercavo non erano frasi all’interno del canone filosofico, ma parole che segnassero un superamento dei suoi limiti canonici. Se c’è una situazione originaria della filosofia, è proprio il dialogo con la narrativa religiosa. In particolare quella frase — ed è quello che mi importa, degli autori quasi non parlo — offre un’ermeneutica infinita e anche molto battuta, penso a Deridda, per esempio. Vale per la religione quello che dicevamo per ogni altra questione. Offrire una versione in più. Perché il massaggio della filosofia arrivi, ispiri e trasformi. Che si tratti di una festa di compleanno o di un incontro sportivo».
Da buon argentino, si è esercitato ampiamente col fútbol. Come si analizza filosoficamente un fenomeno calcistico come è stato Diego Armando Maradona, per esempio?
«Si prendono categorie filosofiche e — allo stesso modo in cui si possono analizzare questioni di politica o società — si analizza un fenomeno concreto come Maradona. La filosofia offre il quadro concettuale all’interno del quale pensare il fenomeno. C’è molta filosofia che pensa l’idolatria, per esempio, e può essere interessante applicarla a “El Diego”. Oppure possiamo partire da categorie filosofiche epicuree per analizzare come ci relazioniamo a una partita di calcio. Per Epicuro la felicità si raggiungeva allontanandosi dal dolore e cercando il piacere, con questa sola definizione possiamo iniziare a capire che cosa pretendiamo dal calcio: vedere uno spettacolo, divertirci, oppure non soffrire dunque non perdere? Lo storico dibattito del calcio — meglio giocare bene o meglio vincere? — incontra nella filosofia un milione di cornici concettuali possibili».
La frase finale di Foucault — «Dove c’è potere, c’è resistenza» — sembra una scelta politica, oltre che cronologica.
«In un libro mescolato a un romanzo poliziesco, in una situazione di violenza politica, terminare con questa frase è parte del progetto. Ed è anche un modo per me di dire che al fondo “tutto è politica”. Il concetto del potere come lo ha sviluppato Foucault interpreta molto bene il mondo in cui viviamo».
Le tappe si chiudono agli anni Settanta del secolo scorso, ma ci sono diverse citazioni di filosofi contemporanei. Numerose dell’italiano Roberto Esposito.
«Ho tratto grande ispirazione dai filosofi italiani. Sono laureato su Vattimo; ho studiato Agamben e ho una venerazione per Esposito, di cui ho letto tutto».
Del pensiero attuale ha dichiarato che la filosofia di genere rappresenta un pilastro.
«E oggi aggiungo che anche tutto quello che è la filosofia in dialogo con l’ecologia, con l’ambientalismo, sta facendo avanguardia nella nostra forma di pensare il mondo, anzi la fine del mondo, il collasso imminente. Sono proposte di lettura che vanno al di là dello status quo e riescono a decostruire la formula foucaultiana binaria potere/resistenza, in cui bene e male sembrano due amici che si spartiscono il mondo. Penso che tanto la filosofia di genere quanto l’ambientalismo stiano provando a rompere lo schema».