Corriere della Sera - La Lettura

L’erbario contiene la corolla degli amici

- Di DANIELE PICCINI

Strana figura di poeta-artigiano, quella di Luigi Bressan. Usiamo il termine artigiano per dire che lavora le sue poesie con un fare sapiente e insieme geloso, come il maestro di un’arte ormai al tramonto, come a illuminare con un bell’oggetto un mondo alla fine. Intanto c’è da dire che Bressan, nato nel 1941, viene da Agna, in provincia di Padova, anche se vive in Friuli, a Codroipo.

Due sono le sue lingue: il dialetto nativo, di area veneta, e l’italiano. E queste due lingue si spartiscon­o lo spazio della sua creatività ariosa, fantastica e insieme terragna. In italiano ha scritto Quando sarà stato l’addio? (2007), la sua produzione dialettale è raccolta in El paradiso brusà (2014), mentre in Quetzal (2019) i due idiomi vengono un po’ a un confronto, si mescolano, si ammiccano. Tutti i libri che abbiamo citato sono editi da Il Ponte del Sale, per le cure attente, amorose, di Marco Munaro. Se Quetzal era una sorta di bestiario di soli volatili, in cui Bressan seguiva l’esempio del suo maestro, il dialettale friulano Amedeo Giacomini (autore, si ricorderà, di un singolare trattato in prosa italiana, Andar per uccelli), ora il nuovo lavoro del poeta, in lingua e non in dialetto, si concentra su cespi, fiori, piante: La viola di Strauss. Strauss’s violet (Ronzani Editore, con traduzione in inglese di Gabriele Codifava e una «lettera all’autore» di Danilo Cavaion).

Un erbario, dunque, come accenna la nota editoriale. Ma bisogna intendersi: come l’autore fa capire citando Claude Monet («Il soggetto è secondario»), non si tratta di obbedire alla schiavitù di un tema dato, ma di servirsene per liberare il proprio estro profondo, che significa poi, per Bressan, dare parola a un mondo, a una comunità. E qui siamo dentro il segreto di questo poeta-artigiano, dalla grazia ruvida, dalla voce impura, grezza, capace di aprirsi all’improvviso a un verso nudo, memorabile e fulminante (tipo «La solitudine si posa su ogni cosa»). L’arte di Bressan infatti è conversevo­le e comunitari­a: fa spazio a un giro di voci, a una corolla di presenze amiche e benevole, soprattutt­o richiamate nel ricordo, ripescate dall’ombra che le cinge.

Rispuntano, con i loro fiori carnosi, i loro orti miracolosi, tali figure, e parlano del cerchio misterioso e semplice, terreno e umorale, della vita. Sì, ecco, è una poesia vitale quella di Bressan, sotto l’apparente predominio del tempo che tutto cancella, della morte che mette a tacere. In realtà questa poesia, in cui ormai la lingua è impastata segretamen­te di dialetto, dice la persistenz­a della vita, nella sua umiltà e tenacia, nel suo fulgore, al pari delle erbe, dei frutti, delle piante di cui racconta le fioriture: «Dall’alto una bignonia — ha camminato/ lunghe vite — estesa sugli spalti/ lascia cadere la festa delle braccia/ a consolare: pacifico incendio/ di mezzogiorn­o sotto lo splendore./ Dall’alto dove una donna, una ragazza,/ libero fiore si denuda». Spesso specie botaniche e flora danno l’occasione di raccontare piccoli apologhi, storie, sapienti parabole, che rimandano irresistib­ilmente a certo Pascoli: il nume in ombra, certo, di una simile poesia.

 ?? ?? LUIGI BRESSAN La viola di Strauss. Strauss’s violet Con la traduzione in inglese di Gabriele Codifava e un testo di Danilo Cavaion RONZANI EDITORE Pagine 120, € 12
Bressan (Agna, Padova, 1941) è stato insegnante
LUIGI BRESSAN La viola di Strauss. Strauss’s violet Con la traduzione in inglese di Gabriele Codifava e un testo di Danilo Cavaion RONZANI EDITORE Pagine 120, € 12 Bressan (Agna, Padova, 1941) è stato insegnante

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