Corriere della Sera - La Lettura
Mondrian prima di Mondrian
A Basilea una mostra dedicata all’artista (nato 150 anni fa) e all’evoluzione della sua opera e del suo tempo: linguaggi, metamorfosi, contaminazioni, colori. Ecco i paesaggi giovanili che precedono (e anticipano) le geometrie della maturità
Mondrian prima di Mondrian: o meglio, come recita il titolo della mostra alla Fondation Beyeler di Basilea, Mondrian Evolution . Il che significa Mondrian nell’evoluzione del tempo, nelle sue metamorfosi, anche nelle sue contaminazioni e cambiamenti di linguaggio e pensiero, sino all’assoluto finale. Insomma, Mondrian Evolution èil racconto puntuale e avvincente di un’evoluzione. In altre parole, la narrazione di un prima e un dopo: dai dipinti giovanili figurativi, prevalentemente legati al paesaggio, a quelli maturi dell’astrazione che rappresentano la tensione verso il raggiungimento dell’essenza delle cose, verso il rigore della forma, ma soprattutto della purezza dello spirito.
Questa una mostra (che celebra il 150° anniversario della nascita di Piet Mondrian, 7 marzo 1872-1° febbraio 1944) appare proprio come la rigorosa esplorazione dell’esistenza di un uomo capace di unire la ricerca razionale, quasi matematica, a quella più filosofica e spirituale. In mezzo, un’esistenza vissuta tra la sua Amsterdam della giovinezza (dove insegna arte e italiano), la Parigi che offre ancora l’influenza di Picasso e Braque, la Weimar di Gropius e infine la New York delle linee ortogonali delle sue strade, degli incontri straordinari e dei locali jazz, grazie ai quali Mondrian trova ispirazione per i suoi ultimi lavori intitolati proprio come il Boogie-Woogie che, nonostante il suo ascetismo, amava con gioia. New York tocca davvero l’anima di Mondrian, forse liberandola pienamente.
Il concetto della mostra è dichiarato sin dalla prima sala, una sorta di emblematico prologo: sono presenti quattro opere che racchiudono in forma sintetica l’impressionante trasformazione dell’artista: da pittore paesaggista tardo-ottocentesco a quell’indiscusso protagonista dell’avanguardia del Novecento. L’esposizione, curata da Sam Keller e Ulf Küster (arricchita da un bel catalogo disegnato da Irma Boom) si snoda in un viaggio cronologico che insegue al tempo stesso anche un suggestivo filo tematico. Prende vita soprattutto dal confronto tra lavori iniziali e quelli più tardi, che consente al visitatore una immediata percezione del percorso mentale e dell’evoluzione dello stile, offrendo anche la rara opportunità di farci conoscere un maestro nella sua ossessiva volontà di intercettare nuovi linguaggi. In una parola, di sperimentare.
La prima stanza è davvero emblematica e lascia il fiato sospeso per il gioco di contrasti: il primo è Donna con il fuso, del 1893-96, un dipinto classico in cui vediamo una donna al lavoro. Sullo sfondo cè curiosamente una finestra con una griglia di vetri quadrati. Una premonizione inconscia? Questo piccolo quadro è messo in relazione con Composizione in bianco e nero con doppie linee del 1934. In questo dipinto prevale su tutto la forma geometrica, essenziale e priva di colori: a dettare la pittura è la ricerca esasperata dell’equilibrio dello spazio, dell’armonia e della forma. È come se in questo dipinto prendesse concretezza il pensiero di Mondrian quando scriveva nel 1917: «Lo spirito nuovo non può che esprimersi nella realtà vivente dell’astratto».
E ancora, sempre nello stesso incipit della mostra, un altro confronto rivelatore: Boschi presso Oele del 1908, un olio su carta in cui vediamo un bosco illuminato dal sole della sera: è denso di colori inaspettati; il viola, il rosso, il blu tingono i tronchi degli alberi che si riflettono in uno stagno in primo piano. Sembra che i colori stiano colando, sovrapponendosi l’uno nell’altro, componendo un gioco spaziale di linee verticali con linee orizzontali. Di fronte si ammira New York City 1, del 1941: qui viene rivelato il metodo di lavoro con cui Mondrian creava le sue opere, con la semplicità di un bimbo, l’artista appiccicava alla tela nastri adesivi gialli, blu, rossi e neri, rivelandoci il legame stretto sull’idea di composizione e di controllo dello spazio.
In questo intenso viaggio nel tempo si riconoscono le origini, le evocazioni, gli stili, i riferimenti, gli amori: van Gogh, Cezanne, Braque, Picasso. La sua evoluzione non appare sempre lineare, ma si giustifica con la straordinaria volontà di sperimentare per affermare la propria identità. Una lettura critica interessante viene già nel 1913 da Apollinaire: «Mondrian derivato dai cubisti non li imita. Sembrerebbe di avere subito soprattutto l’influenza di Picasso, ma la sua personalità resta intatta. I suoi alberi e il suo ritratto di donna rivelano una cerebralità sensibile».
Mondrian è infatti anche un teorico, un intellettuale di grande spessore: nel 1917 fonda con Theo van Doesburg la rivista «De Stijl», inaugurando il primo numero con un lungo saggio sulla «nuova plastica della pittura». Sono numerosi i suoi scritti ma il suo vero credo restava ancorato alla cultura del fare. Solo «facendo» l’arte si può costruire la teoria.
In mostra scopriamo i motivi ricorrenti del Mondrian giovane: mulini a vento, dune, mare, fattorie riflesse in specchi d’acqua e piante rese secondo un’astrazione in costante divenire: emblematico il celebre Albero rosso (1912) che a poco a poco sembra dissolversi in altre tele come linee sparse. Si percepisce la volontà dei due curatori di condurre lo spettatore dentro la visione in divenire dell’autore.
Il processo di Mondrian appare lento, non sempre coerente, ma costante nella trasformazione. Una trasformazione che trova fondamento nella sua dimensione di essere umano denso di ricerca spirituale. Non a caso appartiene alla Società Teosofica, olandese prima e di New York poi. Compito della Teosofia, era (ed è) unire l’universale e l’individuale, interiore ed esteriore, ricerca che Mondrian intraprende già dal 1907, quando si avvicina a questa disciplina. È come se Mondrian inseguisse costantemente il concetto dell’Essere in perenne divenire verso l’assoluto. Quando muore a New York, sul suo comodino c’è un volume con gli scritti di Rudolf Steiner.
In fondo, Mondrian sembra dirci che la sacralità dell’arte non è appannaggio della religione, ma al contrario frutto di una ricerca (anche spirituale) che investe la sfera della coscienza più profonda, del coraggio e del rigore mentale. Ma oltre alla sua veste mistica, al suo fare elegante e serissimo, ci piace immaginarlo a New York mentre con il suo amico Thelonious Monk ascolta la musica di Dizzie Gillespie o Charlie Parker. Ce lo immaginiamo lasciare quei mostri della musica ancora avvolto dalle note della loro musica, e infilarsi felice nel suo studio per dipingere uno dei suoi colorati e meravigliosi «Broadway Boogie-Woogie».