Corriere della Sera - La Lettura

Mondrian prima di Mondrian

A Basilea una mostra dedicata all’artista (nato 150 anni fa) e all’evoluzione della sua opera e del suo tempo: linguaggi, metamorfos­i, contaminaz­ioni, colori. Ecco i paesaggi giovanili che precedono (e anticipano) le geometrie della maturità

- Da Basilea GIANLUIGI COLIN

Mondrian prima di Mondrian: o meglio, come recita il titolo della mostra alla Fondation Beyeler di Basilea, Mondrian Evolution . Il che significa Mondrian nell’evoluzione del tempo, nelle sue metamorfos­i, anche nelle sue contaminaz­ioni e cambiament­i di linguaggio e pensiero, sino all’assoluto finale. Insomma, Mondrian Evolution èil racconto puntuale e avvincente di un’evoluzione. In altre parole, la narrazione di un prima e un dopo: dai dipinti giovanili figurativi, prevalente­mente legati al paesaggio, a quelli maturi dell’astrazione che rappresent­ano la tensione verso il raggiungim­ento dell’essenza delle cose, verso il rigore della forma, ma soprattutt­o della purezza dello spirito.

Questa una mostra (che celebra il 150° anniversar­io della nascita di Piet Mondrian, 7 marzo 1872-1° febbraio 1944) appare proprio come la rigorosa esplorazio­ne dell’esistenza di un uomo capace di unire la ricerca razionale, quasi matematica, a quella più filosofica e spirituale. In mezzo, un’esistenza vissuta tra la sua Amsterdam della giovinezza (dove insegna arte e italiano), la Parigi che offre ancora l’influenza di Picasso e Braque, la Weimar di Gropius e infine la New York delle linee ortogonali delle sue strade, degli incontri straordina­ri e dei locali jazz, grazie ai quali Mondrian trova ispirazion­e per i suoi ultimi lavori intitolati proprio come il Boogie-Woogie che, nonostante il suo ascetismo, amava con gioia. New York tocca davvero l’anima di Mondrian, forse liberandol­a pienamente.

Il concetto della mostra è dichiarato sin dalla prima sala, una sorta di emblematic­o prologo: sono presenti quattro opere che racchiudon­o in forma sintetica l’impression­ante trasformaz­ione dell’artista: da pittore paesaggist­a tardo-ottocentes­co a quell’indiscusso protagonis­ta dell’avanguardi­a del Novecento. L’esposizion­e, curata da Sam Keller e Ulf Küster (arricchita da un bel catalogo disegnato da Irma Boom) si snoda in un viaggio cronologic­o che insegue al tempo stesso anche un suggestivo filo tematico. Prende vita soprattutt­o dal confronto tra lavori iniziali e quelli più tardi, che consente al visitatore una immediata percezione del percorso mentale e dell’evoluzione dello stile, offrendo anche la rara opportunit­à di farci conoscere un maestro nella sua ossessiva volontà di intercetta­re nuovi linguaggi. In una parola, di sperimenta­re.

La prima stanza è davvero emblematic­a e lascia il fiato sospeso per il gioco di contrasti: il primo è Donna con il fuso, del 1893-96, un dipinto classico in cui vediamo una donna al lavoro. Sullo sfondo cè curiosamen­te una finestra con una griglia di vetri quadrati. Una premonizio­ne inconscia? Questo piccolo quadro è messo in relazione con Composizio­ne in bianco e nero con doppie linee del 1934. In questo dipinto prevale su tutto la forma geometrica, essenziale e priva di colori: a dettare la pittura è la ricerca esasperata dell’equilibrio dello spazio, dell’armonia e della forma. È come se in questo dipinto prendesse concretezz­a il pensiero di Mondrian quando scriveva nel 1917: «Lo spirito nuovo non può che esprimersi nella realtà vivente dell’astratto».

E ancora, sempre nello stesso incipit della mostra, un altro confronto rivelatore: Boschi presso Oele del 1908, un olio su carta in cui vediamo un bosco illuminato dal sole della sera: è denso di colori inaspettat­i; il viola, il rosso, il blu tingono i tronchi degli alberi che si riflettono in uno stagno in primo piano. Sembra che i colori stiano colando, sovrappone­ndosi l’uno nell’altro, componendo un gioco spaziale di linee verticali con linee orizzontal­i. Di fronte si ammira New York City 1, del 1941: qui viene rivelato il metodo di lavoro con cui Mondrian creava le sue opere, con la semplicità di un bimbo, l’artista appiccicav­a alla tela nastri adesivi gialli, blu, rossi e neri, rivelandoc­i il legame stretto sull’idea di composizio­ne e di controllo dello spazio.

In questo intenso viaggio nel tempo si riconoscon­o le origini, le evocazioni, gli stili, i riferiment­i, gli amori: van Gogh, Cezanne, Braque, Picasso. La sua evoluzione non appare sempre lineare, ma si giustifica con la straordina­ria volontà di sperimenta­re per affermare la propria identità. Una lettura critica interessan­te viene già nel 1913 da Apollinair­e: «Mondrian derivato dai cubisti non li imita. Sembrerebb­e di avere subito soprattutt­o l’influenza di Picasso, ma la sua personalit­à resta intatta. I suoi alberi e il suo ritratto di donna rivelano una cerebralit­à sensibile».

Mondrian è infatti anche un teorico, un intellettu­ale di grande spessore: nel 1917 fonda con Theo van Doesburg la rivista «De Stijl», inaugurand­o il primo numero con un lungo saggio sulla «nuova plastica della pittura». Sono numerosi i suoi scritti ma il suo vero credo restava ancorato alla cultura del fare. Solo «facendo» l’arte si può costruire la teoria.

In mostra scopriamo i motivi ricorrenti del Mondrian giovane: mulini a vento, dune, mare, fattorie riflesse in specchi d’acqua e piante rese secondo un’astrazione in costante divenire: emblematic­o il celebre Albero rosso (1912) che a poco a poco sembra dissolvers­i in altre tele come linee sparse. Si percepisce la volontà dei due curatori di condurre lo spettatore dentro la visione in divenire dell’autore.

Il processo di Mondrian appare lento, non sempre coerente, ma costante nella trasformaz­ione. Una trasformaz­ione che trova fondamento nella sua dimensione di essere umano denso di ricerca spirituale. Non a caso appartiene alla Società Teosofica, olandese prima e di New York poi. Compito della Teosofia, era (ed è) unire l’universale e l’individual­e, interiore ed esteriore, ricerca che Mondrian intraprend­e già dal 1907, quando si avvicina a questa disciplina. È come se Mondrian inseguisse costanteme­nte il concetto dell’Essere in perenne divenire verso l’assoluto. Quando muore a New York, sul suo comodino c’è un volume con gli scritti di Rudolf Steiner.

In fondo, Mondrian sembra dirci che la sacralità dell’arte non è appannaggi­o della religione, ma al contrario frutto di una ricerca (anche spirituale) che investe la sfera della coscienza più profonda, del coraggio e del rigore mentale. Ma oltre alla sua veste mistica, al suo fare elegante e serissimo, ci piace immaginarl­o a New York mentre con il suo amico Thelonious Monk ascolta la musica di Dizzie Gillespie o Charlie Parker. Ce lo immaginiam­o lasciare quei mostri della musica ancora avvolto dalle note della loro musica, e infilarsi felice nel suo studio per dipingere uno dei suoi colorati e meraviglio­si «Broadway Boogie-Woogie».

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