Corriere della Sera - La Lettura
Affilo i denti al coccodrillo di Purcell
La francese Jeanne Candel riscrive l’opera «Didone ed Enea» del compositore barocco
Qui tutti in scena si danno da fare in maniera frenetica, si addentrano in una terra di nessuno dando forma a una jam session squilibrata. Bisogna districare i fili di un groviglio che contiene riferimenti a Virgilio, al cinema dei Monthy Python, ai documentari, alla pittura di Jan Brueghel: «Ho pensato al suo quadro L’allegoria dell’udito nel concetto di uno spazio allegorico e concreto». Spinta dal criterio dell’«indisciplina», Jeanne Candel definisce la sua riscrittura di Didone e Enea di Purcell (1689), il 24 al Festival di Spoleto, intitolata Il coccodrillo ingannevole, «una farsa contemporanea». Non a caso la parola che usa di più è jouer nella doppia valenza: «recitare» ma anche «giocare».
«Assieme al coregista Samuel Achache, ho scelto una forma che oscilla in modo dinamico fra una tragedia e una commedia. Era quello il modo in cui mi parlava l’opera di Purcell, come una polifonia di emozioni». Jeanne Candel ha 43 anni, è francese, il suo riferimento estetico è Pina Bausch. Nasce attrice, si è formata con il regista polacco Krystian Lupa. È la prima volta che lavora in Italia. A Spoleto il 30 ha anche un secondo spettacolo, Demi-Véronique, ispirato alla quinta Sinfonia di Mahler: si parte dallo scatto di un artista belga che ha fotografato la casa della sua infanzia completamente incendiata. «In quell’immagine potevi percepire la vita di prima, oltre il muro di fuoco. Lo stesso sentimento suscita in me la Quinta di Mahler. Ciò che mi colpisce e affascina di quella sinfonia è l’alternanza tra un’umanità sconfinata e qualcosa che si può classificare come parodia, ironia».
L’idea della morte, declinata in modo del tutto diverso, è l’elemento che lega i due spettacoli, nel destino della protagonista, la bella e sfortunata regina di Cartagine. Ma con Purcell si compie un viaggio visionario che semmai celebra il battito pulsante della vita. I dodici protagonisti in scena sono musicisti e attori che vengono dal jazz, forma d’arte che ha
«un rapporto diretto e semplice con l’improvvisazione, e la musica di Purcell è aperta, è un modello di libertà. Volevamo smontare i muri tra teatro, opera, musica. Ed è una provocazione che abbiamo girato ai musicisti-attori, gli uomini in smoking, le donne in lungo. Tutti i partecipanti sono coautori. Alternano il francese all’inglese». Grande artigianato dietro l’apparente fai-da-te. «Questa è una creazione collettiva. Non c’è una gerarchia, non abbiamo qualcosa che viene prima, tutto può avere la stessa importanza. Il gesto primordiale è di eccitare l’immaginazione».
Esempio massimo di democrazia orizzontale anche sul piano amministrativo, la regista dice che la paga è eguale per chiunque, per chi recita, suona, canta in scena, per i macchinisti e i fonici che lavorano dietro le quinte.
L’organico dell’orchestra diretta da Florent Hubert non ha nulla a che vedere col mondo barocco di Purcell, che pure è centrale in questa creazione: clarinetto, sax, contrabbasso, violino, tromba e batteria. «Gli strumenti diventano attori e gli attori a loro volta sono grandi strumenti che giocano con i codici dell’opera in una euforia comunicativa».
Lo spettacolo, nato nel 2013 a Parigi, «concilia e armonizza il minimalismo e la spettacolarità, l’elemento fantastico con quello realistico». Un cantiere dove si infrangono i confini in un arcobaleno di sfumature, dove le carte si mischiano, «il rapporto con la convenzione teatrale, la riscrittura del mito…». Doveva essere uno spettacolo in forma di concerto. Quando Jeanne ha avuto la possibilità di andare in scena, con i tempi di prova di uno spettacolo vero, nella forma compiuta della piéce ha giocato anche su ciò che spinge gli artisti a compiere «l’atto della creazione». Uno spettacolo profondamente francese con una doppia anima, dice: «Intellettuale e sentimentale».
Jeanne dice che lo spettatore assiste «a qualcosa di caotico, l’inizio è una digressione ispirata a L’anatomia della malinconia di Robert Burton, un trattato scientifico-letterario sulla melanconia amorosa uscito nel 1621. Poi gli scienziati letteralmente si tuffano nel corpo di colei che è morta di amore, Didone». La difficoltà sta nel fatto che nell’opera di Purcell la parola di Virgilio è più descrizione che azione? «Non abbiamo giocato con l’azione drammatica ma con la percezione dello spettatore. La storia in fondo è semplice, diretta, senza fronzoli: lui arriva, i due si innamorano, lui riparte, lei muore. Ciò che a me interessa maggiormente è capire come rappresentare le vicende evitando il naturalismo e il troppo diretto “ti amo, ti odio”». Lei come fa? «Faccio ricorso ad allegorie per entrare nelle scene in modo più suggestivo. Penso che qui ci spingiamo oltre la sperimentazione teatrale».
Il titolo, L’ingannevole coccodrillo è una frase pronunciata da Didone a Enea nel terzo atto dell’opera di Purcell: «Come sulla fatale sponda del Nilo/ piange il falso coccodrillo,/ così gli ipocriti,/ rei d’assassinio,/ chiaman cielo e dèi/ responsabili del fatto!».