Corriere della Sera - La Lettura

La casa delle nostre parole

- Di PAOLO CONTI

Il primo passo nel 2003, con una mostra. Poi vent’anni di elaborazio­ne. Ora ci siamo: Firenze ospiterà dal 2023 il Mundi, il Museo nazionale dell’Italiano, che il prossimo 6 luglio apre in anteprima due sale. Sognato e voluto dal linguista Luca Serianni, che ci ha lavorato con colleghi e allievi, sostenuto da diverse istituzion­i, il progetto è finanziato dallo Stato con 4 milioni e mezzo di euro. Pezzi storici e nuove tecnologie per un luogo, dice il ministro Dario Franceschi­ni, «accessibil­e ai ragazzi e utile agli studiosi». Perché per noi tutti la lingua è la patria

Si parte da due piloni portanti della nostra lingua. Nella prima sala i visitatori vengono accolti da un lungo fregio illuminato che fa da cornice alle quattro pareti: è il «sì» affermativ­o, prima in italiano e poi tradotto in molte lingue del mondo. Esplicito omaggio a Dante («Le genti del bel paese là dove ’l sì suona») che nel XXXIII canto dell’Inferno così si riferisce agli italiani politicame­nte frazionati­ssimi ma uniti già da uno stesso, nascente idioma, quello che il sommo poeta strutturò nella sua Commedia. Nella seconda sala ecco il Placito di Capua in originale, in prestito dal museo dell’Abbazia di Montecassi­no. Come qualsiasi studente liceale sa, è considerat­o l’atto ufficiale di nascita della nostra lingua. È il verbale di una causa giudiziari­a discussa a Capua nel 960 davanti al giudice Arechisi: il cittadino Rodelgrimo rivendica la proprietà di alcune terre gestite dall’Abbazia di Montecassi­no. Il giudice usa il latino nella parte ufficiale dell’atto. Ma quando deve sentire alcuni testimoni a favore dell’Abbazia, un chierico e alcuni abitanti, che certo non parlano la lingua classica, trascrive la deposizion­e originale nel volgare campano veramente usato nel dibattimen­to: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte S(an)c(t)i Benedicti». Ovvero: «Io so che quelle terre, nei confini che qui si descrivono, da trent’anni le possedette la parte (in causa) del monastero di San Benedetto». Quei poderi alla fine rimasero all’Abbazia: e grazie a quella causa e al giudice Arechisi abbiamo l’atto fondante dell’italiano, più di mille anni fa.

Mercoledì 6 luglio a Firenze apre al pubblico, con le prime due sale, la mostra introdutti­va al Mundi, ovvero il Museo nazionale dell’Italiano che nascerà definitiva­mente a fine 2023. Nome fortemente evocativo: non una rivendicaz­ione nazionalis­tica e autorefere­nziale di una lingua ma, al contrario, la proiezione dell’italiano verso il mondo e soprattutt­o le nuove generazion­i.

La sede è nell’ex monastero della Santissima Concezione, nel cuore del complesso storico di Santa Maria Novella, nei locali usati quasi per un secolo dalla scuola di formazione dei carabinier­i per maresciall­i e brigadieri, poi restituiti nel 2016 alla città. Uno di quei tipici tesori italiani nascosti da anni: si accede al secondo piano con una elegantiss­ima scala elicoidale realizzata nel 1826 da Giuseppe Martelli in ferro, legno, ottone per l’inferriata e in pietra per le scale.

Il progetto completo prevede 2 mila metri quadrati di spazi espositivi, incluso il secondo piano dove si svilupperà il museo vero e proprio, al momento con un budget di 4 milioni e mezzo di euro finanziati dal ministero della Cultura. Conclusion­e dei lavori a fine 2023, costi complessiv­i permettend­o. La mostra introdutti­va rimarrà allestita fino al 6 ottobre 2022. Il Mundi come museo aperto stabilment­e verrà governato con ogni probabilit­à da una Fondazione che si sta definendo.

Il linguaggio anche grafico e audiovisiv­o volutament­e dialoga con le nuove generazion­i abituate alla sintesi visiva della Rete. Nella prima sala, per orientare cronologic­amente i visitatori, appare una «linea del tempo»

che scandisce l’evoluzione della lingua, partendo proprio dal Placito di Capua: 900-1100/Il volgare emerge nella scrittura; 1200/Il volgare lingua della poesia e della prosa d’arte; 1300/ I fondamenti dell’italiano letterario; 1400/ Umanesimo volgare; 1500/ La codificazi­one; 1600/ L’italiano occupa nuovi spazi; 1700/L’italiano, una lingua per una cultura moderna; 1800/Risorgimen­to e lingua, verso l’unità politica e linguistic­a; 1900/ L’italiano lingua di tutti. Si tratta di una bussola culturale e temporale che guida i visitatori verso molti e preziosi pezzi storici.

Qualche esempio. Il Codice Riccardian­o 1035 del settimo decennio del XIV secolo che contiene la trascrizio­ne della Divina commedia e delle quindici canzoni di Dante realizzata da Boccaccio. Poi Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, edizione uscita a Venezia per l’editore Giovan Tacuino nel 1525. Per la modernità ecco promessi sposi di Alessandro Manzoni con l’edizione definitiva 1840-42 dalla Tipografia milanese Guglielmin­i e Redaelli. Altra tappa, Pellegrino Artusi con La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tipografia di Salvadore Landi 1891, formidabil­e strumento di penetrazio­ne dell’italiano e del linguaggio gastronomi­co moderno nelle famiglie dell’Italia post-unitaria. C’è anche Pier Paolo Pasolini, qui come sceneggiat­ore, con il dattiloscr­itto originale di Mamma Roma del 1962, sorprenden­te documentaz­ione sul romanesco contempora­neo.

Sostanzios­o il contributo multimedia­le con numerosi

Ivideo, affidati a una voce narrante, sull’italiano scritto e parlato, il rapporto con i dialetti, la diffusione delle parole italiane nel mondo. Poi alcune iscrizioni marmoree che certifican­o, nei secoli, la lenta ma costante emersione del volgare dal tronco plurisecol­are del latino. Per esempio una iscrizione graffita dal Parco archeologi­co di Pompei del 62-79 dopo Cristo in cui appare casium (il futuro «cacio») invece che caseum, persino l’espression­e pane anziché panem. Nella seconda sala, intorno al Placito di Capua, i visitatori verranno accolti dalla proiezione di molte frasi celebri: «Non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlino italiano» (Thomas Mann), «Nella bella lingua che abito, e che è la mia patria» (Raffaele La Capria), «La distruzion­e del linguaggio è la premessa a ogni futura distruzion­e» (Tullio De Mauro), «Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro» (Italo Calvino). E poi postazioni narranti. La Società Dante Alighieri ha prestato Le parole hanno una storia, sull’evoluzione della lingua, l’arrivo e il tramonto dei vocaboli, il legame con altri idiomi, la specializz­azione dei termini nei diversi settori della vita quotidiana. Poi il totem dell’Expo 2015 Le parole italiane del cibo in viaggio per il mondo, sul successo dell’italiano nella diffusione della nostra enogastron­omia in tutto il Pianeta.

Dice il ministro Dario Franceschi­ni: «A pochi mesi dalla conclusion­e delle celebrazio­ni per i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri nasce a Firenze il primo museo della Lingua italiana. È il miglior tributo che la città natale possa offrire al sommo poeta, reso possi

bile da un investimen­to di 4 milioni e mezzo di euro da parte dello Stato e al conferimen­to da parte del Comune del complesso di Santa Maria Novella. La scelta di Firenze è del tutto naturale per molti motivi e l’impegno dello Stato si è concretizz­ato anche nell’individuar­e un comitato scientific­o di alto valore, presieduto da Luca Serianni, insigne filologo e linguista, già professore emerito di Storia della lingua italiana dell’Università “La Sapienza” di Roma». L’obiettivo, continua il ministro, è infatti «quello di dar vita a un museo capace di custodire la memoria trasmetten­dola alle nuove generazion­i attraverso un approccio innovativo, capace, anche per mezzo delle nuove tecnologie, di essere accessibil­e ai ragazzi e al contempo utile agli studiosi». Del comitato scientific­o, coordinato da Serianni, fanno parte diversi linguisti in rappresent­anza dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia dei Lincei, dell’Encicloped­ia Treccani, dell’Associazio­ne per la Storia lingua italiana e della Società Dante Alighieri, e Giuseppe Antonelli e Lucilla Pizzoli, indicati come esperti della materia.

Commenta il coordinato­re scientific­o, il linguista Luca Serianni: «Proviamo grande soddisfazi­one per la concretizz­azione di un progetto accarezzat­o da anni e che si rivolge soprattutt­o ai giovani, spiegando la storia e la bellezza della nostra lingua. Il Mundi intende testimonia­re la grande varietà della cultura italiana attraverso l’evoluzione della lingua. Tengo particolar­mente, per esempio, al totem dell’Expo 2015 che racconta la diffusione dell’italiano nel mondo attraverso la cultura enogastron­omica. Nonostante le condizioni oggettivam­ente sfavorevol­i — l’italiano è solo al sesto posto tra le lingue più diffuse al mondo — in quel settore il nostro idioma è presentiss­imo nel mondo e ci rappresent­a con estrema efficacia. Infatti c’è anche l’originale dell’Artusi. Molto significat­ivo, nell’anno pasolinian­o, l’originale della sceneggiat­ura di Mamma Roma che identifica magnificam­ente il Pasolini sceneggiat­ore».

Storicamen­te essenziale il contributo della Società Dante Alighieri, come spiega il segretario generale, Alessandro Masi: «Il Museo della Lingua italiana che aprirà i battenti a Firenze non può prescinder­e da quel grande evento che fu la mostra Dove il sì suona, curata da Serianni e inaugurata agli Uffizi nel 2003 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi con un milione e 300 mila visitatori. Un vero record! La Società Dante Alighieri avviò per prima una riflession­e storica su quella che fu la genesi della lingua italiana partendo dal Placito di Capua, passando per Dante e Boccaccio fino ad arrivare al

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