Corriere della Sera - La Lettura
Neanche i ragazzini salvano il mondo
Recuperato il romanzo del francese dalla tormentata vicenda editoriale ma poi diventato nel 1952 un film da Oscar. Due bambini cercano di sfuggire con l’immaginazione all’orrore della guerra: gli adulti non lo consentono
La vicenda di Giochi proibiti dello scrittore francese François Boyer è bizzarra e interessante. Scritta inizialmente come sceneggiatura, la storia non ebbe alcuna fortuna nel mondo del cinema a causa delle atmosfere considerate troppo cupe. Boyer si risolse così a farne un romanzo che nel 1947 approdò nelle librerie francesi passando quasi completamente inosservato. Soltanto cinque anni più tardi il regista René Clément, insieme a Jean Aurenche e Pierre Bost, lo trasformò in una nuova sceneggiatura. Il film, noto anche per l’assolo di chitarra del virtuoso spagnolo Narciso Yepes (ma la paternità del brano è controversa), ebbe un enorme successo internazionale, vinse un Oscar per il miglior film in lingua straniera e il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il recupero che ora ne ha fatto Adelphi è particolarmente significativo, anche considerato il clima di guerra novecentesca, con bombardamenti, profughi, vittime in strada, in cui l’Europa è sprofondata. Nel romanzo di Boyer il conflitto non è visto semplicemente attraverso gli occhi dei bambini, ma vive nei loro gesti, nel loro modo di attraversare ed elaborare il lutto, nelle loro parole a volte sconnesse, nei pensieri che si affastellano nelle loro menti mescolando realtà, sogno, immaginazione.
È il giugno 1940, quando in Francia otto abitano in un casale appena fuori dalla strada maestra: cinque fattorie sparse, e una moltitudine di animali, una chiesetta, un’osteria e una rimessa per il carro funebre. Paulette viene accolta con riluttanza dalla famiglia di contadini ma anche lì la morte la insegue: Georges, il fratello maggiore di Michel, è moribondo, colpito dal calcio di un cavallo impazzito a causa dei bombardamenti e la sua fine viene accettata con una asciutta rassegnazione dalla famiglia. Boyer contrappone l’innocenza dei due bambini a un mondo adulto ottuso e violento, indurito dal lavoro nei campi, dai bicchieri di Pernod, dalla faida grottesca che contrappone le due famiglie di vicini, i Dollé e i Ganard, quasi una guerra tra Capuleti e Montecchi, considerata la storia romantica tra due giovani dei clan rivali.
Con una scrittura affidata a frasi paratattiche, reiterazioni ed elenchi, Boyer rende palpabile il senso martellante e angoscioso della guerra e della miseria che circonda i due bambini, l’indifferenza di adulti impietosi, a cui nemmeno il reverendo Joseph si sottrae: «Aprì la bocca e parlò della guerra, dell’esodo, dei tedeschi, dei francesi, degli inglesi, dei figli, dei genitori, dei soldati, dei caporali, dei sottufficiali, degli ufficiali, dei generali, dei vivi e dei morti, senza contare i feriti, poi degli aerei, dei carri armati, dei cannoni, delle granate fumogene, della Francia, dell’Europa, della Spagna, della