Corriere della Sera - La Lettura
Le pie donne contro la straniera
La seconda indagine del luogotenente Nardi a Volterra riguarda l’omicidio di una romena. La confessione del colpevole non chiarisce i misteri e l’autrice, costruisce un giallo a più strati che parla (anche) di gelosia e razzismo
Trattandosi di una «nuova indagine di Maurizio Nardi», non son pochi, in Madre terra di Chiara Marchelli, gli elementi in comune con Redenzione, prima indagine del luogotenente dei carabinieri: da Volterra al suo stretto collaboratore, l’«inquieto» maresciallo Filippo Mileto, «un tipo solitario, preciso, puntuale e taciturno»; al pm Isa i cui incontri con Nardi si giocano tra battute scherzose e senso di colpa per «essersi inserita» nella relazione tra Nardi e sua moglie Lena; e il medico legale Simoncini, dalla «profondissima incazzatura contro il suo Dio che gli monta quando arriva il cadavere di un bambino».
Notazioni, queste, che già dicono del lavorio intervenuto nelle sfumature dei personaggi; e anche di Lena, presenza umanamente densa, di chi «da sempre è brava a capire e calcolare quando è meglio parlare e quando aspettare»: figura, come Mileto, per nulla di spalla, nel dare equilibrio a un Nardi sempre preda di ossessioni che si materializzano fantasmaticamente nel caso dell’omicidio dell’amico d’infanzia Giulio, lasciato solo che parte dei vestiti. Sulla schiena, sulle braccia e sulle gambe ha lesioni profonde da taglio, e la mano, che spuntava dal terreno, è graffiata e smangiata, probabilmente da qualche animale selvatico che ha raspato la terra». Mirela, appunto. Un’indagine dalla quale Nardi finisce per «lasciarsi possedere», procedendo con quella «ostinazione» che «è il metodo peggiore che puoi scegliere», e troppo fidandosi di «questo intuito che l’ha tradito più di una volta».
L’indagine gira a vuoto perché via via Taddei, Bellorini, don Pasquale, lo stesso Yanko ne entrano ed escono. E anche quando il Dna indicherà un colpevole, con tanto di confessione, il dubbio che non sia questa la verità continua a martoriare Nardi e Mileto. Una sconfitta, al pari del mistero irrisolto del suicidio di Lorenzo e del suo malessere.
Ne viene un romanzo a più strati: da un lato il percorso investigativo, ben gestito nei passaggi tra dubbi e certezze, nei risvolti che ha sulle intense figure di chi indaga; e dall’altro la componente sociale: dal razzismo, che resta però poi sullo sfondo lasciando spazio alla componente gelosia; all’elemento religioso, nelle due facce del vecchio parroco don Guerrino avverso a quelle «fanatiche convinte di essere le unte del Signore»; e di don Pasquale, immagine della «nuova leva africana» conseguente alla crisi delle vocazioni, con, di passaggio, la solitudine del prete e la debolezza della sua componente umana: un piano ben reso, anche se troppo calcato nel tocco esotico. Un eccesso spinto sino al macchiettismo nella rappresentazione del fanatismo della Bellorini, specie nella versione da caccia alle streghe, così come la troppo caricata figura di Yanko e il reiterare delle sue rabbiose reazioni, mentre per converso poco convincente, quasi sospesa, mi suona la figura di Lorenzo. Queste, in contrasto con la levità e grazia di certe figure marginali, quali le femminili della Romania, l’umanità del Taddei, le inquietudini di Mirela, oltre ovviamente alle macerazioni interiori di Nardi, più equilibrate rispetto al primo romanzo dove già costituivano uno degli elementi di pregio.