Corriere della Sera - La Lettura
Omero e Virgilio fanno Don Winslow
Il romanzo, primo di una trilogia, è scandito dai poemi di Omero e Virgilio. Una grigliata di mare su una spiaggia del Rhode Island è annunciata dai versi dell’Iliade: «Ora andate a mangiare, in vista della battaglia». Città in fiamme è un rifacimento di Iliade ed Eneide così come l’Ulisse di Joyce lo era dell’Odissea. Elena di Troia qui si chiama Pam (Pamela) e alla prima riga del libro esce dall’acqua, simile a Venere (e a Fede Pellegrini), «come una visione che emerge dai sogni del mare», foriera di guai. A metà degli anni Ottanta i Murphy (mafiosi irlandesi) e i Moretti (nostrali) da amici diventano nemici. Segue massacro. Casus belli: Pam di Troia che un Murphy ruba a un Moretti. Il vecchio capo Pasco Ferri, in età pensionabile, non si dà pace: «Una guerra per una tastata di tette!». L’eroe è Danny Ryan, figlio di Marty, il boss precedente persosi nell’alcol perché Madeleine, una Marilyn rediviva, lo mollò con il piccolo Danny a carico ed è diventata ricchissima. Danny si è poi sposato con Terri, figlia del boss dei Murphy, ma questi lo usano per sbrigare affari minori (recupero crediti, rapine ai camion). In palio tra le due tribù non c’è solo Pam, ma il mercato degli stupefacenti che la vecchia generazione disdegnava (così come la prostituzione). Loro erano cattolici, si confessavano, facevano la comunione, avevano una morale ormai perduta. Per Winslow l’unica fonte ispiratrice oggi di un racconto epico all’altezza degli antichi è la droga, il suo colossale giro d’affari e di morte. Ha ragione e mette in pratica alla grande la sua teoria con ferocia, spietatezza, pietà e divertimento (il caso alla Sopranos del killer gay). È esplosiva, narrativamente parlando, la sua doppia fascinazione. Per l’italianità: da ’O surdato ’nnamurato al provolone Auricchio. E per l’irlandesità:
«Gli irlandesi ce l’hanno nel sangue, il complesso del martire. Vanno verso la morte». Già nel 2012 dissi che era il Numero Uno. Dieci anni dopo restiamo imbattuti.