Corriere della Sera - La Lettura
Coreografi per sette peccati
li tableaux multimediali per il suo collettivo di artisti catalani La Veronal e ospite della Compañía Nacional de Danza, della svedese Göteborg Operans Danskompani e del Kongelige Ballet danese) firma Hermana, uno dei quadri più riusciti della serata: la scena, illuminata dal metafisico blu elettrico delle luci e dei costumi, accoglie le genuflessioni di cinque ragazze, le cui preghiere intrecciano braccia, mani, capelli, nell’esercizio di una compulsa quanto voluttuosa devozione.
Il peccato di gola è una cicatrice del passato da compensare per Marco Goecke in Gluttony. Yesterday’s Scars, strepitoso assolo affidato al talento nervoso di Luca Pannacci (in alternanza all’altro italiano della compagnia, Gaetano Signorelli) su musica dei Velvet Underground. Tremori, avvitamenti, gesti convulsi evocano la crisi di astinenza di una dipendenza che è fisica, ma soprattutto intima, com’è tipica dell’esplorazione dell’interiorità del coreografo tedesco, direttore del Balletto di Hannover e artista associato al Nederlands Dans Theatre e alla Gauthier Dance.
La lussuria è un peccato corale per Hofesh Shechter, autore della coreografia e della musica di Lust. Luxury Guilt. Dal celebre Uprising degli esordi, il coreografo israeliano radicato a Londra (anch’egli in residenza alla Gauthier Dance) ci ha abituato alle masse scultoree di corpi percussivi e tribali: il rito è qui celebrato da dieci danzatori candidamente vestiti ma dilaniati dal conflitto interiore tra pulsione animale e cervello raziocinante. In un paesaggio sonoro psichedelico, il desiderio li incalza, li infiamma con un’urgenza che trascende il controllo.
Accolta a Stoccarda con la devozione che si deve a un’icona della danza contemporanea tedesca, Sasha Waltz firma la coreografia, la regia e i costumi di Wrath. Ira, duo femminile in smoking nero per Louiza Avraam e Sydney Elizabeth Turtschi. Con le due danzatrici, la coreografa cinquantanovenne, direttrice artistica del Balletto di Berlino, ha indagato il binomio rabbia-peccato nell’ampiezza avviluppante di un’emozione che ricorre in 47 lingue antiche, radicata profondamente nel tessuto umano e sociale tanto da esserne uno dei fondamenti basici, miccia di guerre epiche dall’Iliade in avanti. L’ira funesta, madre di tutti i conflitti, ci accompagna fino ai mesi sanguinosi dell’Ucraina cui Waltz dedica il lavoro.
L’invidia s’insinua candida e femminile in Envy. Point di Sharon Eyal per il trio di danzatrici composto da Bruna Andrade, Nora Brown e Izabela Szylinska. L’armonia apparente si incrina e raggela l’intesa tra le tre ragazze, in un duello di sguardi, di posture speculari, di corpi che si antepongono nel confronto, in una competizione strisciante e velenosa che tende a escludere e annientare. Con affilata eleganza e cognizione di causa, l’artista israeliana (fondatrice nel 2013, con il partner Gai Behar della compagnia Lev, a Tel Aviv) gioca con il potere ammaliante delle linee femminili che stregano e seducono attraverso la bellezza di fisicità diversamente assortite. Esploratrice degli abissi dell’amore ferito, Eyal ci consegna il fiore avvizzito dell’invidia, resto melmoso di un peccato capitale, derubricato a vizio veniale dal pulpito globale degli hater.