Corriere della Sera - La Lettura

E L’Italia messa a nudo «Diva Futura rivoluzion­ò il senso del pudore»

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La regista Giulia Steigerwal­t scrive un film sull’agenzia di Riccardo Schicchi che lanciò Moana Pozzi Ilona Staller. «Una storia anche dolorosa, così cambiò la pornografi­a»

«Il film inizia dal personaggi­o di Schicchi e finisce con la sua uscita di scena. Sarà l’attore più difficile da individuar­e, non solo per questioni di somiglianz­a, ma perché lo vedremo dai venti ai sessant’anni. Ma non è il suo punto di vista, si tratterà di un film corale. L’arco narrativo va, appunto, dagli anni Settanta — quando lui e Ilona con la radio volevano portare l’amore nelle case, rompere i tabù di un Paese sessuofobi­co — fino all’inizio del Duemila. Ho scelto di scriverlo da sola, è più impegnativ­o di quel che credessi. Prevediamo un lungo lavoro di casting. Di sicuro si saranno anche diverse attrici straniere. E va trovata l’interprete giusta per la parte di Debora. Gireremo a Roma nel 2023».

Personaggi maschili?

«Sono di contorno. Nella scuderia c’erano anche attori maschi, ma quel mondo del porno, a parte eccezioni clamorose come Rocco Siffredi, si basava sulle icone femminili. Pagate anche in certi casi fino a dieci volte i colleghi uomini».

Tra le figure centrali c’è Eva Henger. L’ha incontrata: che idea si è fatta di lei?

«Una donna molto interessan­te. Ci siamo viste a Campagnano dove sta ancora il grande archivio di Schicchi e mi ha raccontato di quegli anni. Lei ha i diritti del catalogo dei film. Si sposò con lui nel 1994, stavano insieme da tempo. Lui ha adottato la figlia di lei, poi hanno avuto un bambino loro, Riccardo jr. La vedo come una grande storia familiare. Quando si sono lasciati sono comunque rimasti legati. Lei e il suo nuovo compagno lo hanno curato a casa loro, non l’hanno mai lasciato solo. Schicchi non voleva che lei facesse il porno, non per volontà di possesso ma per evitarle lo stigma».

Ma Eva Henger non lo ascoltò, giusto?

«Lei firmò un contratto solo per quattro film. Ma da quelli ne montarono ventotto. Nonostante le denunce non poté bloccare nulla. Tutte loro hanno vissuto l’illusione di potersi mostrare libere con il risultato di trovarsi, tragicamen­te, ingabbiate in un pregiudizi­o che le ha segnate. Pregiudizi­o su di loro e non sulla società che sfrutta, giudica, condanna».

Ci saranno scene di repertorio nel suo film? O ricostruzi­oni di scene dai titoli del catalogo?

«Non credo che serva, vedremo, non ho tabù. Mi interessa l’aspetto personale e sociale, la mia prospettiv­a è di sospendere il giudizio. L’unica eccezione è l’ultimo film che girò Moana, magrissima, segnata dalla malattia. Fece solo i primi piani, il resto fu affidato a una controfigu­ra».

Chi era secondo lei Riccardo Schicchi?

«Tutti quelli con cui ho parlato me lo hanno descritto come una persona priva di tabù, non concepiva l’idea che il senso del pudore di qualcuno condiziona­sse la vita di altri. Si dice che entrò dodicenne nella redazione della rivista Le ore per chiedere al direttore: perché non posso comprare in edicola il suo giornale? Si illuse di dare un racconto ai suoi film, scriveva la sceneggiat­ura, voleva che ci fosse una storia. Anche se sapeva bene che gli spettatori non andavano oltre il decimo minuto. Era contrario alla deriva violenta del porno. E, secondo i ricordi di Debora, scoraggiav­a la maggior parte delle ragazze che si presentava­no a Diva Futura: solo quando percepiva un’adesione totale al progetto le scritturav­a».

È cambiato il costume degli italiani?

«Il film sarà anche l’occasione per abbozzare un affresco sociale. Il motto di Schicchi era: “Siamo amorali, non immorali”. Oggi tante cose sono sdoganate, di sesso si parla più liberament­e, gli equilibri tra uomini e donne sono cambiati. Ma vedo comunque molto moralismo».

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