Corriere della Sera - La Lettura
Benvenuti in Scozia, purgatorio infernale
A lungo incasellato nell’intrattenimento (come se fosse un delitto), il francese Frédéric Dard è oggetto di una riscoperta meritoria. Talentuoso nerista, fluviale come Simenon, raffinato caratterista, qui sconfina nelle brume di Edimburgo
Copertina intrigante, con una breve frase civetta, formato tascabile, poco più di 200 pagine totali, la fascetta bicolore a identificare la collana «nero Rizzoli». Gli ingredienti perché Prato all’inglese si faccia notare sugli scaffali di una libreria ci sono tutti, specialmente da chi è in cerca di una lettura estiva, poco impegnativa ma coinvolgente, perfetta da affrontare sotto l’ombrellone o in una rigenerante pausa dopo un percorso di trekking in quota o una passeggiata in riva al lago. Conoscere l’autore del romanzo, in questi casi, non è rilevante ai fini del marketing editoriale (che infatti relega l’informazione a una terza di copertina particolarmente succinta), eppure dietro questo agile libro si cela uno tra i più importanti nomi della narrativa «nera» del secondo Novecento europeo (vedi la «Pagella» di Antonio D’Orrico della scorsa settimana).
Si tratta del francese Frédéric Dard (1921-2000), ideatore del celeberrimo commissario San-Antonio (175 titoli!), uno scrittore raffrontabile al solo Georges Simenon — di cui era amico — quanto a volume di produzione libraria e successo editoriale: circa 200 romanzi pubblicati e 400 milioni di copie vendute in oltre mezzo secolo di attività. Un autore, tuttavia, a lungo ingiustamente incasellato sotto la voce della narrativa di puro intrattenimento, all’ombra dei grandi nomi della letteratura francese coeva, ma che la meritoria opera di ristampa in corso da parte di Rizzoli (siamo al quarto titolo uscito dopo Il montacarichi, I bastardi vanno all’inferno e Gli scellerati), sta da qualche anno facendo riscoprire in Italia, rivelandone le notevoli qualità letterarie, messe a lucido anche grazie all’ottima traduzione di Elena Cappellini.
Dard è un formidabile inventore di trame noir, ma è anche un sottile indagatore della psiche umana, di cui fa emergere gradualmente i tratti nell’agire (e nel pensare) dei personaggi, cesellati con precisione chirurgica e, al contempo, con poche pennellate, un tocco di leggerezza e la giusta dose di ironia.
Qualità che emergono al massimo livello in questo Prato all’inglese (l’aggiunta geografica rispetto all’originale La pelouse, del 1962, si deve all’ambientazione prevalentemente britannica, in Scozia, della storia).
Siamo davanti a un piccolo gioiello che incede dapprima lento sotto il sole estivo della sfavillante Juan-les-Pins per poi accelerare progressivamente verso il doppio colpo di scena finale, bagnato dall’immancabile pioggia della grigia, nebbiosa e spenta Edimburgo. Tre i principali attori della vicenda: il giovane agente di commercio Jean-Marie Velaise; la fidanzata Denise, con cui si prende e si lascia con regolare costanza; e l’inafferrabile inglesina Marjorie Faulks, una donna affascinante anche se di non eccelsa bellezza, in grado di intrigare JeanMarie al punto da fargli perdere la testa e indurlo a raggiungerla oltre Manica per coronare il coup de foudre esploso casualmente in terra francese. Per farlo non esita ad abbandonare la ben più saggia Denise, che lo liquida con una battuta sarcastica mentre lo accompagna, bontà sua, all’aeroporto: «Hai bisogno di essere Ivanhoe, tesoro? Ammettilo! Andiamo, è il sogno di tutti gli uomini».
In Scozia, però, l’inesperto commerciante si scontra con una realtà ben diversa da quella inseguita e desiderata, dapprima inchiodato in un’attesa snervante dell’amata («Edimburgo per me era un tetro Purgatorio in cui dovevo espiare le mie colpe in attesa di una telefonata o dell’arrivo di qualcuno») e quindi progressivamente avviluppato nella rete abilmente costruitagli attorno da un’oscura regia criminale che sembra definitivamente fiaccarne la volontà: «Lasciavo che gli eventi facessero il loro corso, le mani incrociate dietro la testa. Adesso toccava agli altri agire, agli altri cercare di capire!». E a capire — e dipanare l’intricata matassa — contribuirà un apparentemente anonimo funzionario di polizia scozzese, il commissario Brett, flemmatico e metodico come si comanda a un uomo d’ordine suddito di Sua Maestà...
Al di là della trama, che risulta comunque solida e avvincente soprattutto nella progressione finale, a restare impressi nel lettore una volta chiuso il volume sono le figure che la vivono con i loro vizi e le loro virtù, siano essi «il re dei polli» Jean-Marie, l’imperscrutabile Marjorie, l’intuitiva Denise o il puntiglioso Brett.
Dard dimostra qui, infatti, il suo talento di acuto bozzettista di caratteri e profondo conoscitore dell’animo umano. Quel talento che sfruttò anche come autore teatrale (I bastardi vanno all’inferno fu una pièce prima di essere un libro e quindi un film tra il 1953 e il 1955) e che portò sul grande schermo un film come Il montacarichi, diretto nel 1962 da Marcel Bluwal, con Robert Hossein e Lea Massari.
Talenti Un formidabile inventore di trame noir e un sottile indagatore della psiche che cesella personaggi con precisione chirurgica