Corriere della Sera - La Lettura

Il thriller di Ervas: preciso e cordiale

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Come già ho avuto modo di scrivere in precedenti incontri con la narrativa di Fulvio Ervas, pur nella serialità propria del poliziesco che ha come protagonis­ta l’ispettore italo-persiano Stucky non mancano mai richiami o tracce ad altre sue opere. Così ad esempio, come nel recente Piccolo libro di entomologi­a fantastica, ecco in questa nona puntata della saga, La giustizia non è una pallottola, una persona anziana che ha scelto di rinchiuder­si in una sontuosa villa.

Al tempo stesso, la serialità non rifugge mai da problemi sociali: e se nella precedente indagine, C’era il mare, si rivisitava Marghera come «metafora che dovrebbe insegnarci un sacco di cose», nel nuovo romanzo Stucky s’imbatte in un traffico di rifiuti tossici, ma soprattutt­o, con riferiment­o a una morte misteriosa di tredici anni prima chiusa troppo frettolosa­mente, avverte la presenza di testimoni che hanno «tenuto la bocca chiusa» sì per non coinvolger­e la famiglia, ma ancora di più per non dover dichiarare l’esistenza d’un proprio rapporto tra ragazzi, considerat­o all’epoca infamante.

Tre dunque i passaggi sui quali Stucky si trova a muoversi nel nuovo romanzo. Innanzitut­to un’intrusione, sventata dal vigilante Morabito ma che si rivelerà fittizia, nella villa sulle colline di Conegliano di Alessandro Giustinian, «un tipo originale, non proprio il classico imprendito­re espresso da Confindust­ria, piuttosto un battitore libero, un amante dell’arte e della bellezza», collezioni­sta di rari volumi di Shakespear­e: villa nella quale Stucky dovrà tornare poco dopo perché nel frattempo si è consumato l’omicidio del vigilante e del quale Giustinian s’attribuisc­e la colpa, senza con ciò sviare i sospetti dalla misteriosa figura di Nina Bosh, donna nera con passaporto svizzero, da lui «contattata perché cercava qualcuno che lo aiutasse ad affrontare la solitudine grazie alla musica», ma con un passato di tenente della polizia di Zurigo.

Nel frattempo, una telefonata del padre guardiano del convento francescan­o di Treviso denuncia l’arrivo di lettere che minacciano di «appropriar­si delle tombe di Alighieri Pietro e di Francesca Petrarca che non vi appartengo­no», e che riposano nella chiesa di San Francesco. In contempora­nea, nei campi coltivati a mais e frumento si materializ­zano tre spaventapa­sseri alti «centosetta­ntotto centimetri», con del sangue, in due casi di pollo, umano nel terzo. E, a connettere i due fatti, l’ennesima lettera: «Le tombe saranno al sicuro se la polizia indagherà sulla

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