Corriere della Sera - La Lettura
Le lacrime della musica
Oksana Lyniv (prima donna a Bayreuth; prima donna a guidare una fondazione lirico-sinfonica, a Bologna) sarà a Lucerna con l’Orchestra giovanile ucraina. «Suoniamo e piangiamo per la pace»
Della direttrice d’orchestra ucraina Oksana Lyniv (Brody, 1978) si possono dire tante cose. Per esempio che è stata la prima donna a salire sul podio dell’intoccabile festival wagneriano di Bayreuth, in Germania (tra i frequentatori abituali figura Angela Merkel), la prima donna alla guida di una fondazione lirico-sinfonica (è la direttrice musicale del Teatro Comunale di Bologna). Ma a lei la questione dei generi interessa il giusto («Ormai tanti festival cercano donne del podio», dice a «la Lettura»). Apprezzata e stimata da molti colleghi (fra i quali Kirill Pertrenko, direttore dei Berliner Philharmoniker, di cui è stata assistente in tempi non sospetti alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera), Lyniv la pragmaticità la tiene in pugno. Bravura, convinzione, caparbietà e metodo l’hanno portata lontano. Da quando è stato invaso il suo Paese dalla Russia di Putin, Lyniv è la musicista che lotta di più per la pace. Per la sua Ucraina. È diventata un simbolo da quando, fra i numerosi impegni europei, si è ritagliata uno spazio specialissimo per la sua Orchestra giovanile ucraina, ragazzi e ragazze fra i 12 e i 22 anni che provengono da 32 città del Paese.
Michael Haefliger, sovrintendente e direttore artistico del prestigioso Festival di Lucerna, in Svizzera, l’ha voluta con i suoi ragazzi, per il concerto inaugurale dell’8 agosto (nella scheda alcuni dettagli della manifestazione che ospiterà diciotto orchestre internazionali) nell’edizione intitolata Diversità. In programma la Sinfonia Praga nr. 38 in Re maggiore K 504 di Wolfgang Amadeus Mozart e due pagine dei compositori ucraini Zoltan Almashi (1975) e Vitaliy Hubarenko (1934): rispettivamente la Sinfonietta ela Kammersinfonie per violino e orchestra nr. 1 (solista Andrii Murza, marito di Lyniv).
Non c’erano prima orchestre giovanili in Ucraina?
«No, da noi non c’è mai stata una tradizione in questo senso. La nostra formazione musicale, di vecchia scuola russa, è sempre stata più individualista, legata alla costruzione di solisti e virtuosi, non di giovani da far suonare in orchestra».
Come si è avvicinata a questa idea?
«Nel 2004, quando vinsi il terzo premio al concorso di direzione Gustav Mahler a Bamberg, in Germania, mi invitarono a dirigere un programma per il Bayerisches Landesjugendorchester (la giovanile dell’Orchestra sinfonica della Radio bavarese, ndr)».
Come si trovò?
«Fu un’esperienza straordinaria, una scoperta. Non avrei mai immaginato che suonassero così bene giovani fra i 14 e i 16 anni. Da allora ho sempre sognato di poter fondare anch’io un’orchestra così. Volevo farlo per i giovani del mio Paese».
Non sarà stato facile...
«Molti colleghi erano scettici. Dicevano che non avrebbe riscosso l’interesse né del pubblico, né dei giovani».
E invece?
«Nel 2016 il festival tedesco di Bonn mi invitò e mi chiese di portarmi un’orchestra giovanile ucraina, ma non esisteva. Allora pensai che quello fosse il momento giusto per fondarla».
Da quale idea è partita?
«Che l’orchestra sinfonica è una società perfetta. Tutti guidano e si fanno guidare, si fanno ascoltare e ascoltano. Abbiamo fondato una squadra nazionale che riunisce i migliori di Mariupol, Kharkiv, Leopoli, Odessa, Kiev, e di tante altre città. I ragazzi non solo diventano musicisti migliori, ma anche amici fra di loro, perché con la musica si aprono al prossimo e capiscono la democrazia».
La guerra ha cambiato tutto.
«Per cinque anni ho insegnato i valori della fratellanza e mi hanno creduto. Mi sentivo obbligata a dare loro delle spiegazioni. Che non avevo».
E che cosa ha fatto?
«Ho mandato una lettera a tutte le istituzioni musicali internazionali: ho descritto la situazione dei ragazzi che vivono nascosti nelle cantine, che hanno paura di suonare, di esercitarsi, di tirare fuori lo strumento dalla custodia perché ogni cinque minuti parte una sirena... E in tanti ci hanno aiutato fattivamente».
I ragazzi vivono ancora in Ucraina?
«Molti di loro sì. Si sentono in dovere di stare lì per aiutare le famiglie».
Lei li ha convinti a continuare con la musica, che non è poco.
«È stato importante fare di tutto per riprendere l’attività concertistica. La musica è la nostra voce. Dobbiamo farla sentire, portarla fuori dai confini».
Dirige sempre lei?
«Oltre a me, ci sono altri quattro direttori, donne e uomini. Ci dividiamo il lavoro delle prove e dei concerti, perché i nostri programmi sono impegnativi e le date numerose».
Quali sono i problemi principali per fare uscire i giovani dal Paese?
«Riguardano soprattutto i musicisti maschi di età superiore ai 18 anni. Hanno dovuto ottenere permessi speciali con richieste da parte dei festival per uscire».
Qual è la sua sensazione prima e dopo un concerto con questi giovani?
«Quando lavoro con loro capisco che la musica ci può unire. E che fa bene non solo agli ascoltatori ma anche a noi. Ci serve per rimanere lucidi, non impazzire. Perché vediamo violenza, distruzione e morte tutti i giorni. Le faccio un esempio: se i bambini devono preparare una sinfonia hanno bisogno di esercitarsi tutto il giorno e non hanno tempo per altro, non si mettono a guardare cose depressive sui social. Se si studia, si prova, si suona e si fa un concerto, alla fine ci si sente più forti, anche se il dolore profondo rimane».
Come stanno questi ragazzi?
«Di recente, dopo un concerto, una bambina dell’orchestra in un’intervista diceva che per lei era un’esperienza bellissima poter suonare e che era felice. Qualcuno le chiede della famiglia. Lei risponde che suo papà è al fronte e non riesce ad avere contatti con lui. Improvvisamente scoppia a piangere e non si ferma fino a che qualcuno non la abbraccia. Vi rendete conto che sofferenza si devono portare dentro questi bambini? Il dolore lo portano anche in musica. E la musica restituisce però loro qualcosa. Allevia».
All’inizio della guerra lei aveva chiesto ai musicisti di farsi dei video con gli smartphone per raccontare come stavano vivendo in Ucraina.
«Molti mentre si riprendevano scoppiavano a piangere e si vergognano a mostrarsi così. Ma io insistevo, dicevo di raccontare al mondo quell’orrore».
Si rivede da giovane quando guarda i suoi ragazzi?
«La mia gioventù è stata molto difficile. Riguardo alla professione che volevo intraprendere, sentivo solo cose negative: “Ma cosa fai? Non ce la farai mai...”».
Come si risolse?
«La mia prima e unica occasione fu di partecipare al concorso Mahler».
In quell’anno, il 2004, vinse il venezuelano Gustavo Dudamel.
«Sì... Fu anche la prima volta che sentii parlare del Sistema orchestrale giovanile e infantile venezuelano che coinvolge e aiuta tantissimi ragazzi. Bellissimo. Come lì, anche musicisti della nostra orchestra sono emersi e stanno cominciando una loro carriera internazionale».
È giusto boicottare i musicisti russi?
«Bisogna differenziare. A Bayreuth per esempio lavoro con Dmitri Tcherniakov (il 6 agosto faranno insieme L’olandese volante di Wagner, ndr), che è russo ma è da sempre contro Putin. Un’altra cosa: è sbagliato boicottare la musica russa».
Il caso Anna Netrebko?
«È una cantante che ha una popolarità enorme, in Russia e nel resto del mondo. Avrebbe potuto rilasciare subito una dichiarazione a favore della pace».
E di Zelensky cosa pensa?
«Non ho competenze politiche. Faccio ciò che posso usando la musica».