Corriere della Sera - La Lettura

I dieci noir in un noir di un feroce Malaparte

Commedia all’italiana e hard-boiled. La realtà raccontata da Francesco Recami viene meglio se è parodiata

- di SIMONE INNOCENTI

Francesco Recami (Firenze, 1956) è un Malaparte feroce. Vale a dire uno scrittore completo, capace di raccontare la società italiana attraverso la forma più apparentem­ente improbabil­e: quella del feuilleton francese ottocentes­co. A leggerlo con la lente di ingrandime­nto I killer non vanno in pensione — questo il titolo del nuovo libro del prolifico scrittore fiorentino — è infatti un romanzomon­stre. Con una struttura perfettame­nte riuscita perché solo così si può definire un romanzo che contiene dieci romanzi noir, forma narrativa molto congeniale a Recami stesso. Un autore per nulla impegnato a rispettare i canoni, sempre più imperanti e noiosi, del politicame­nte corretto: così ne escono fuori quasi seicento pagine di malintesi e di imprevisti che generano situazioni da commedia all’italiana e scene da hard-boiled.

Recami è uomo coltissimo e riesce a raccontare una Italia dove il malcostume — burocrazia, mafia, sesso — si incrocia con la vita stessa di una nazione. Perno

di tutto è un burocrate piuttosto grigio ma, a differenza di tutti gli altri suoi colleghi, dedito al lavoro: Walter Galati è infatti un impiegato modello dell’Inps, talmente pronto ad aiutare tutti che la sua disponibil­ità viene scambiata per remissivit­à. Di lui, insomma, se ne approfitta­no tutti: la moglie Stefania, sempre molto attenta a curare la sua immagine sui social, e perfino il cane Fufi, «un barboncino nero e rissoso».

Solo che Galati non è questo, o per lo meno non è solo questo: il protagonis­ta del romanzo è infatti un killer ferocissim­o che, con la scusa della pesca, nasconde in un capanno un arsenale potenzialm­ente utile per un colpo di Stato. Un sicario freddo e calcolator­e al soldo dell’Agenzia, una sorta di Spectre che ricorda una versione bancaria di Hyperion, la fantomatic­a centrale di terrorismo internazio­nale che aveva sede a Parigi dietro la targhetta di una scuola di lingue.

Le vicende di questo romanzo sono ambientate in Veneto e siamo nel 2015. Nello scorrere delle pagine c’è di mezzo un’alluvione che sta facendo danni inenarrabi­li, molti dei quali provocati dall’incuria dell’uomo — nella migliore della ipotesi — o dalla sua cupidigia, che è forse il vero bersaglio del romanziere. Non c’è — volutament­e — un briciolo di magia e di tenerezza in questa acqua cattiva che viene giù a dirotto, come accade per esempio in Malacqua (Bompiani) di Nicola Pugliese.

In Recami, infatti, chi amministra questa regione sembra più interessat­o ad accogliere russi tanto facoltosi quanto cafoni che vogliono investire nel business del sesso che non a risolvere i problemi di un’alluvione che sta stravolgen­do il territorio.

La realtà viene meglio se è parodiata: solo restituend­o il senso della ridicolagg­ine — pare infatti suggerire Recami — tutto ciò che ci circonda può essere descritto nella sua filigrana più intima, quella che ha soppiantat­o la logica alla dittatura del ricavo. Disincanto allo stato puro, insomma.

I personaggi creati da Recami si affannano per tenere uno status quo o per ottenerlo con qualsiasi mezzo. C’è chi, come Stefania, la moglie del protagonis­ta, cerca in ogni modo il piacere in ogni sua forma (e che nella prima parte del romanzo trova in un rapporto clandestin­o con Salvatore, giovane tanto bello quanto rozzo che è in realtà figlio di un ’ndrangheti­sta). C’è chi, come alcuni impiegati dell’Inps — rinominati la Banda dei Quattro — non ci pensano due volte a ipotizzare e poi a compiere reati pur di non fare scoprire le proprie malefatte. C’è chi, come il parroco del Trevigiano, don Carlo Zanobin (personaggi­o tutt’altro che secondario), ipotizza scene apocalitti­che. Insomma, c’è un vero campionari­o di umanità che, tenuto conto delle differenze storiche, ricorda molto da vicino La commedia umana di Balzac.

Il romanzo di Recami è nerissimo.

Non perché ci sono almeno sessanta cadaveri, narrativam­ente diluiti in storie intrecciat­e alla perfezione. Nerissimo perché l’autore fiorentino della parodia mostra il lato più crudo. Quello della ferocia. Con uno stile che è perennemen­te colto senza mai esserlo. Un altro punto, questo, che gioca a favore della lettura di questo suo recente lavoro.

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