Corriere della Sera - La Lettura
Dio non va più
Orientale
Le parole possono cambiare la storia: l’ateneo di Nimega, nei Paesi Bassi, ha perso l’aggettivo cattolico (una questione soltanto in parte locale, perché rivela la crisi di identità delle istituzioni accademiche legate agli episcopati); l’università di Oxford ha cambiato nome alla Facoltà di Studi orientali (poiché il termine richiama l’epoca della colonizzazione). In entrambi i casi sono in gioco i rapporti all’interno delle società e nel dialogo tra le culture. In tutto il mondo
«Spiritus sancti gratia illuminet sensus et corda nostra». Comincia con quest’invocazione la difesa dottorale di Jeroen Jans. Splende il sole, nel settembre di Nimega. All’interno dell’edificio di rappresentanza della Radboud Universiteit, gli undici membri della commissione siedono in semicerchio, le toghe nere bordate di rosso. La presidente legge la formula latina: invoca la grazia dello Spirito Santo perché illumini il giudizio e il cuore dei commissari. Poi dà il benvenuto al candidato e al pubblico. Trentadue anni, fiammingo, Jeroen discute una tesi sui giovani leader cattolici, protestanti, musulmani e atei, sulla loro visione dei rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose e umaniste. Ne ha intervistati seicento, nelle Fiandre e nei Paesi Bassi e la sua tesi è stata pubblicata in primavera in Germania (State without Religion? An Empirical Study among Religious and Humanist Youth in the Netherlands and Flanders, Lit Verlag, Münster).
Jeroen, cattolico, è stipendiato dalla diocesi di Hasselt, la città capitale del Limburgo belga. Mette le sue competenze al servizio della riorganizzazione delle risorse diocesane, umane e materiali, a fronte di quella che nelle Fiandre, come già nei Paesi Bassi, si definisce comunemente «l’implosione» della chiesa. Scarseggiano preti e fedeli. Pezzi di territorio pastorale vengono accorpati in unità sempre più grandi e spesso più anonime. Si uniscono due parrocchie, poi cinque, poi dieci. Le chiese vengono vendute ai privati. I preti importati dall’India o dall’Africa, abituati a un eccesso di fedeli, non si capacitano che questi siano così pochi, e sempre di meno, nelle terre da cui partirono gli evangelizzatori dei loro antenati.
L’«implosione» è il contesto dello studio di Jeroen, delle preoccupazioni dei giovani leader su eguaglianza e diversità, sul ruolo dei poteri pubblici nel proteggere le comunità senza schiacciare gli individui, nel promuovere valori senza imporre ideologie. La discussione si anima. Seguono attenti, nell’anfiteatro, amici e colleghi di Jeroen, guidati dal vescovo di Hasselt in persona.
Della precarietà della Chiesa è testimone l’istituzione stessa che ospita la discussione dottorale. La Radboud Universiteit di Nimega è una prestigiosa università cattolica, ma la sua identità cattolica è oggetto, dal 2020, di una grave controversia. I commissari che alla difesa dottorale di Jeroen invocano lo Spirito Santo, affiliati a una delle facoltà di Teologia e Scienze religiose più rinomate d’Europa, rappresentano un ateneo di cui non è possibile dire con certezza, oggi, se sia ancora cattolico.
La crisi è stata preceduta da anni di contrasti su attività cliniche problematiche per l’etica medica cattolica e di incomprensioni sulla nomina dei membri del consiglio della fondazione che governa l’ateneo e l’ospedale universitario, la Stichting Katholieke Universiteit Nijmegen. I candidati proposti dalla conferenza episcopale sono stati via via ritenuti di insufficiente spessore scienti