Corriere della Sera - La Lettura
Nell’Europa occidentale cadono i confini tra istituti pubblici e privati, tra profit e non profit, tra confessionali e non confessionali
criticato da una parte come il teologo che soffoca il confronto teologico, e del papa argentino, criticato da altri come il pastore che mortifica il rigore intellettuale. Fondamentale nella sua dimensione interna alla Chiesa, il bivio è non meno fondamentale nella sua dimensione esterna. Il sistema della ricerca e della didattica globale, e in particolare occidentale, si fa sempre più selettivo e competitivo, presuppone una crescente schizofrenia tra micro-specializzazioni e visioni grandiose, richiede tanta fede nella missione aziendale e nessuna nel trascendente, quantifica tutto e progetta ogni cosa.
La sfida per le università cattoliche è enorme, tanto più mentre cadono i confini che almeno nell’Europa occidentale hanno a lungo strutturato menti e spazi: tra università pubbliche e private, tra profit e non profit, tra confessionale e non confessionale, tra enti di tendenza o neutrali. Di nuovo, ecco il bivio: ritrarsi, abbandonare, lasciare il campo; o viceversa attaccare, occupare, scendere nell’arena.
Saggezza pratica
A una settimana dalla difesa dottorale di Jeroen a Nimega, quattrocento studiosi dei rapporti tra Stato e Chiesa si ritrovano a Cordoba per il convegno mondiale dell’International Consortium for Law and Religion Studies. Nella sessione inaugurale prende la parola Sophie van Bijsterveld. Per dodici anni senatrice democristiana, la sessantaduenne olandese insegna alla Radboud Universiteit. Ha co-diretto assieme a Carl Sterkens e Eric Venbrux la ricerca dottorale di Jeroen. Era lì anche lei, in toga e tocco, durante la discussione. Ora, a due passi dalla moschea-cattedrale più discussa del mondo, condivide con il pubblico la sua preoccupazione per le divisioni religiose d’una società ridotta a «terreno di battaglia di posizioni confliggenti che le persone abbracciano con forza». Auspica un «discorso alternativo» che mitighi il fenomeno, una «saggezza pratica che faccia calare la temperatura». Le comunità religiose come attori sociali, conclude, sono cruciali, specialmente su scala locale, «dove possono essere viste per ciò che fanno e non immaginate per ciò in cui credono». Di qui la sua esortazione alle comunità medesime: «Fatevi conoscere meglio, investite nella società».
Appuntamento a Cordoba
Il ragionamento, conferma più tardi Sophie van Bijsterveld a «la Lettura», affonda le radici nella sua esperienza di cattolica olandese, pioniera dei diritti umani dapprima nell’università di Tilburg e ora a Nimega. Si sente davanti al bivio, come ci si sentono i vari colleghi di università cattoliche che l’hanno ascoltata e i tanti che non sono qui a Cordoba ma provano la stessa inquietutedesco,
dine. Per ciascuno, naturalmente, il bivio si presenta in termini diversi. Mentre alla Pázmány Péter di Budapest si fanno i conti con la formazione di una classe dirigente complice della deriva ungherese, il portavoce della cattolica di Lublino, in Polonia, invia a «la Lettura» il lungo elenco delle attività a sostegno degli ucraini e sottolinea come l’impegno sia ideale oltre che umanitario, perché «l’Ucraina difende i valori europei, i valori della nostra cultura, che include il cristianesimo». Dal canto suo Dimitry Gegenava, trentatreenne vice-rettore della cattolica Sulkhan-Saba Orbeliani di Tbilisi, in Georgia, spiega a «la Lettura» quanto sia importante il suo ateneo «per una democrazia moderna dal passato sovietico». Con l’autorizzazione del suo rettore, il vescovo italiano Giuseppe Pasotto, Gegenava precisa che in quanto cattolica la sua università «promuove il dialogo delle culture e delle tradizioni cristiane, meccanismo di sviluppo dell’intera società».
Parla il rettore
I mille toni dei contesti sembrano sfumare i contorni. La potenza delle singole storie appare nemica di significati generali. Invece bisogna tornare al bivio. Usare i dettagli per volare alto e poi guardare in profondità. Dal 2016 il rettore della Radboud Universiteit, Han van Krieken, ha testimoniato il precipitare della crisi; dal 2020 ha poi diretto la risposta. Racconta a «la Lettura» la «sorpresa» davanti alla decisione dei vescovi di non accettare un «compromesso» che pareva ragionevole, i diversi stati d’animo, la maggioranza indifferente, il gruppo soddisfatto di potersi finalmente liberare del controllo episcopale, l’altro gruppo deluso, dispiaciuto, infine quelli che si sono accorti solo allora dell’identità cattolica di Radboud. Il rettore si è subito collocato tra quanti difendevano la storia e i valori dell’università: «Dopotutto, vi sono sempre state tensioni, da un lato si è sempre difesa la libertà accademica e dall’altro si è sempre avuta cura del rapporto con i vescovi». La priorità è allora divenuta «il dialogo» con i vari interlocutori ecclesiastici e soprattutto all’interno dell’ateneo: «Questa crisi ci dà una chance, la gente sta finalmente riflettendo su che cosa significhi essere oggi una università cattolica, parte di una comunità mondiale». Insiste su questo, il rettore sessantaseienne, professore di una facoltà di Medicina di cui rivendica prassi forse in contrasto con la dottrina della Chiesa, ma seguite in modo assai più attento che altrove: «Riconosco e rispetto la visione dei vescovi, ora mi preme soprattutto il dialogo».
La conferenza episcopale olandese spiega il proprio punto di vista a «la Lettura» tramite la segretaria generale Suzan Daalmans, una voce impensabile in Italia dove il segretario generale della conferenza episcopale è sempre stato un vescovo. Sessantaduenne, Daalmans chiarisce che la decisione dei vescovi è venuta solo dopo avere constatato «l’irriducibile differenza di visioni circa il modo in cui l’università e l’ospedale avrebbero dovuto interpretare la loro cattolicità». I vescovi, comunque, «hanno sempre riconosciuto il valore di buoni contatti con i funzionari e le istituzioni dell’università» e dopo la decisione si sono impegnati a prolungare i rapporti. Circa il ruolo di Roma, la segretaria generale sottolinea come i vescovi olandesi siano stati sempre «in stretto contatto» con il dicastero per l’educazione cattolica e ne abbiano «chiesto e ricevuto» il consiglio «tanto prima quanto dopo» la decisione di ritirare il predicaat cattolico. I vescovi ora «non vedono ragioni» per affrontare la questione nell’imminente visita a Roma, ma sono pronti a parlarne se il dicastero lo chiedesse. Circa il senso del conflitto, per Suzan Daalmans «dalle organizzazioni che desiderano chiamarsi cattoliche ci si aspetta che diano forma e sostanza alla cattolicità e i vescovi olandesi, in proposito, sono sempre aperti al dialogo».
«Gratias tibi agimus»
Se si colgono le due alternative del bivio, se si apprezzano nella loro differenza, si può ancora comprendere quanto esse in fondo si evochino, si richiamino, quanto possano essere viste come le due anime della stessa esigenza, dello stesso travaglio. Oppongono fronti, separano persone, ma possono anche avvicinare, forse persino unire. Al termine della difesa dottorale di Jeroen, la presidente chiude ancora in latino: «Gratias tibi agimus, omnipotens deus, pro omnibus beneficiis tuis. Qui vivis et regnas per omnia saecula saeculorum». I commissari in processione escono dalla sala, tornano alla fatica d’essere un ateneo cattolico o di non esserlo più. Hanno reso grazie all’onnipotente e solo ciascuno di loro sa con quale animo, quali dei suoi benefici pensano di avere ricevuto, e cosa credono davvero di un Dio che vive e regna nei secoli dei secoli. Più tardi, Sophie van Bijsterveld andrà a fare le valige per Cordoba e Jeroen Jans tornerà a Hasselt, a preparare la chiesa del futuro.
Marco Ventura
La comunità episcopale «Dalle organizzazioni che desiderano chiamarsi cattoliche ci si aspetta che diano forma e sostanza alla cattolicità e i vescovi olandesi, in proposito, sono aperti al dialogo»