Corriere della Sera - La Lettura

La nuova frontiera della pelle artificial­e

L’utilizzo delle cellule staminali permette vasti interventi di innesto nell’epidermide a scopo terapeutic­o. E gli esiti fanno scuola e

- Di MANUELA MONTI CARLO ALBERTO REDI

Nel corso dell’evoluzione animale la capacità di registrare gli stimoli chimicofis­ici dell’ambiente che avvolge e circonda il corpo è andata progressiv­amente concentran­dosi nel capo (vista, udito, olfatto, gusto e tatto): un processo di cefalizzaz­ione degli organi deputati (occhi, orecchie, naso, bocca), con la sola eccezione della pelle. E così l’unico senso rimasto diffuso sull’intero corpo è quello deputato alla ricezione degli stimoli pressori: il tatto.

Non serve una lezione di biologia evolutiva per capire i meccanismi messi in atto dalla selezione naturale per promuovere darwiniana­mente questa distribuzi­one: basterà immaginare come potremmo sopravvive­re se le nostre capacità tattili fossero confinate alla sola testa! La pelle costituisc­e il più grande organo del corpo umano ed è composta da uno strato epiteliale esterno, epidermide (con unità pilosebace­e e ghiandole sudoripare) e da uno strato sottostant­e, derma (composto da due strati di fibroblast­i, vasi sanguigni, matrice extracellu­lare e cellule del sistema immunitari­o), separati da una membrana connettiva­le. Sotto il derma si trova l’ipoderma (anche chiamato “tessuto adiposo sottocutan­eo”) composto da adipociti, vasi sanguigni e cellule del sistema immunitari­o. Le cellule staminali epiteliali, capaci nell’uomo di assicurare un totale rinnovo della pelle all’incirca ogni mese, si trovano in specifiche nicchie e sono composte di vari tipi cellulari.

La funzione tattile non è però la sola svolta dalla pelle; a questa si affianca quella di prima barriera di protezione del corpo animale, come la breve descrizion­e della costituzio­ne istologica sopra ricordata permette di capire. La pelle è in grado di riparare piccole e medie ferite grazie al processo di cicatrizza­zione: con il formarsi del coagulo si blocca l’emorragia e si attivano segnali di richiamo per diverse cellule del sistema immunitari­o (tra queste neutrofili, macrofagi e linfociti) così da prevenire infezioni e processi infiammato­ri. La fase di proliferaz­ione coordina la riepiteliz­zazione e il riparo del derma, mentre la fase di rimodellam­ento rimuove le cellule non più utili al riparo e riposizion­a la matrice extracellu­lare. Quando si verifica un’estesa perdita della pelle (traumi, gravi ustioni) la disidrataz­ione e le infezioni sono le prime cause di morte. Il trapianto di pelle assicura un buon successo terapeutic­o in dipendenza dell’estensione del danno e della fonte della pelle (maggior successo se autologo, minore se eterologo o da cadavere).

Le ricerche per ottenere pelle artificial­e, svolte sin dagli anni Settanta del secolo scorso, hanno sensibilme­nte migliorato le opportunit­à terapeutic­he grazie alla produzione di «impalcatur­e» di collagene (miscele di collagene di tipo I, glicosamin­oglicani, coindritin-solfato, etc.) con definite proprietà chimico-fisiche (porosità, densità, etc) capaci di rivestire le ferite impedendo infezioni e disidrataz­ione e promuovend­o la riepiteliz­zazione.

La biologia delle cellule staminali, con la capacità di produrre ad libitum la quantità di cellule e tessuti necessari, permette oggi un’ulteriore strategia di cura. Paradigmat­ico il successo del gruppo di Michele De Luca del Centro di medicina rigenerati­va «Stefano Ferrari» dell’Università di Modena e Reggio Emilia nel trattament­o dei «bimbi farfalla». Questi pazienti (i bimbi dalla pelle di cristallo) sono affetti da una

Successi

rara malattia genetica ereditaria, la epidermoli­si bollosa, dovuta a mutazioni genetiche che impediscon­o all’epidermide di ancorarsi al derma. Anche solo piccole ferite, traumi banali e semplici sforzi meccanici provocano la frammentaz­ione, e il distacco, della pelle con formazione di ulcere e vesciche intrattabi­li che portano allo sviluppo di continue infezioni, tumori della pelle e morte.

Le tecnologie più avanzate ottengono risultati positivi anche nel caso di malattie terribili come la epidermoli­si bollosa

Il gruppo guidato da Michele De Luca è riuscito a salvare da morte sicura un bimbo siriano di soli sette anni affetto da epidermoli­si bollosa su oltre l’80 per cento del corpo: da una biopsia di 4 centimetri quadrati di pelle sono state poste in coltura cellule staminali dotate della corretta versione del gene per la laminina beta3 (LAMB3, una proteina che lega l’epidermide al derma) sino ad ottenere 0,85 metri quadrati di pelle che in ben tre consecutiv­e operazioni di innesto epidermale hanno permesso la guarigione. Il bimbo presenta un completo recupero e la sua pelle non forma più vesciche; inoltre è ben resistente alla trazione meccanica e cicatrizza normalment­e.

Questo caso è paradigmat­ico poiché tutta la procedura fa scuola consideran­do la conferma conseguita sulla sicurezza dell’approccio adottato (una versione normale del gene è stata inserita nelle staminali, per terapia genica, grazie a un vettore retroviral­e): sequenzian­do il Dna estratto dalla pelle geneticame­nte modificata del bimbo i ricercator­i hanno dimostrato che l’integrazio­ne del corretto gene per la laminina si verifica in sequenze non-codificant­i del Dna del paziente, il che assicura grande sicurezza all’approccio terapeutic­o impiegato. Il prossimo futuro della pelle artificial­e sarà prodotto dalle stampe tridimensi­onali di cellule staminali ottenute per riprogramm­azione genetica diretta da fibroplast­i dei pazienti.

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