Corriere della Sera - La Lettura
La nuova frontiera della pelle artificiale
L’utilizzo delle cellule staminali permette vasti interventi di innesto nell’epidermide a scopo terapeutico. E gli esiti fanno scuola e
Nel corso dell’evoluzione animale la capacità di registrare gli stimoli chimicofisici dell’ambiente che avvolge e circonda il corpo è andata progressivamente concentrandosi nel capo (vista, udito, olfatto, gusto e tatto): un processo di cefalizzazione degli organi deputati (occhi, orecchie, naso, bocca), con la sola eccezione della pelle. E così l’unico senso rimasto diffuso sull’intero corpo è quello deputato alla ricezione degli stimoli pressori: il tatto.
Non serve una lezione di biologia evolutiva per capire i meccanismi messi in atto dalla selezione naturale per promuovere darwinianamente questa distribuzione: basterà immaginare come potremmo sopravvivere se le nostre capacità tattili fossero confinate alla sola testa! La pelle costituisce il più grande organo del corpo umano ed è composta da uno strato epiteliale esterno, epidermide (con unità pilosebacee e ghiandole sudoripare) e da uno strato sottostante, derma (composto da due strati di fibroblasti, vasi sanguigni, matrice extracellulare e cellule del sistema immunitario), separati da una membrana connettivale. Sotto il derma si trova l’ipoderma (anche chiamato “tessuto adiposo sottocutaneo”) composto da adipociti, vasi sanguigni e cellule del sistema immunitario. Le cellule staminali epiteliali, capaci nell’uomo di assicurare un totale rinnovo della pelle all’incirca ogni mese, si trovano in specifiche nicchie e sono composte di vari tipi cellulari.
La funzione tattile non è però la sola svolta dalla pelle; a questa si affianca quella di prima barriera di protezione del corpo animale, come la breve descrizione della costituzione istologica sopra ricordata permette di capire. La pelle è in grado di riparare piccole e medie ferite grazie al processo di cicatrizzazione: con il formarsi del coagulo si blocca l’emorragia e si attivano segnali di richiamo per diverse cellule del sistema immunitario (tra queste neutrofili, macrofagi e linfociti) così da prevenire infezioni e processi infiammatori. La fase di proliferazione coordina la riepitelizzazione e il riparo del derma, mentre la fase di rimodellamento rimuove le cellule non più utili al riparo e riposiziona la matrice extracellulare. Quando si verifica un’estesa perdita della pelle (traumi, gravi ustioni) la disidratazione e le infezioni sono le prime cause di morte. Il trapianto di pelle assicura un buon successo terapeutico in dipendenza dell’estensione del danno e della fonte della pelle (maggior successo se autologo, minore se eterologo o da cadavere).
Le ricerche per ottenere pelle artificiale, svolte sin dagli anni Settanta del secolo scorso, hanno sensibilmente migliorato le opportunità terapeutiche grazie alla produzione di «impalcature» di collagene (miscele di collagene di tipo I, glicosaminoglicani, coindritin-solfato, etc.) con definite proprietà chimico-fisiche (porosità, densità, etc) capaci di rivestire le ferite impedendo infezioni e disidratazione e promuovendo la riepitelizzazione.
La biologia delle cellule staminali, con la capacità di produrre ad libitum la quantità di cellule e tessuti necessari, permette oggi un’ulteriore strategia di cura. Paradigmatico il successo del gruppo di Michele De Luca del Centro di medicina rigenerativa «Stefano Ferrari» dell’Università di Modena e Reggio Emilia nel trattamento dei «bimbi farfalla». Questi pazienti (i bimbi dalla pelle di cristallo) sono affetti da una
Successi
rara malattia genetica ereditaria, la epidermolisi bollosa, dovuta a mutazioni genetiche che impediscono all’epidermide di ancorarsi al derma. Anche solo piccole ferite, traumi banali e semplici sforzi meccanici provocano la frammentazione, e il distacco, della pelle con formazione di ulcere e vesciche intrattabili che portano allo sviluppo di continue infezioni, tumori della pelle e morte.
Le tecnologie più avanzate ottengono risultati positivi anche nel caso di malattie terribili come la epidermolisi bollosa
Il gruppo guidato da Michele De Luca è riuscito a salvare da morte sicura un bimbo siriano di soli sette anni affetto da epidermolisi bollosa su oltre l’80 per cento del corpo: da una biopsia di 4 centimetri quadrati di pelle sono state poste in coltura cellule staminali dotate della corretta versione del gene per la laminina beta3 (LAMB3, una proteina che lega l’epidermide al derma) sino ad ottenere 0,85 metri quadrati di pelle che in ben tre consecutive operazioni di innesto epidermale hanno permesso la guarigione. Il bimbo presenta un completo recupero e la sua pelle non forma più vesciche; inoltre è ben resistente alla trazione meccanica e cicatrizza normalmente.
Questo caso è paradigmatico poiché tutta la procedura fa scuola considerando la conferma conseguita sulla sicurezza dell’approccio adottato (una versione normale del gene è stata inserita nelle staminali, per terapia genica, grazie a un vettore retrovirale): sequenziando il Dna estratto dalla pelle geneticamente modificata del bimbo i ricercatori hanno dimostrato che l’integrazione del corretto gene per la laminina si verifica in sequenze non-codificanti del Dna del paziente, il che assicura grande sicurezza all’approccio terapeutico impiegato. Il prossimo futuro della pelle artificiale sarà prodotto dalle stampe tridimensionali di cellule staminali ottenute per riprogrammazione genetica diretta da fibroplasti dei pazienti.