Corriere della Sera - La Lettura

Cristicchi Disegno il concerto sul palco

Il cantautore romano propone una performanc­e per voce e pennarelli «Il maestro? Jacovitti. Mi disse: non fotocopiar­mi, cerca il tuo stile»

- Di DAMIANO FEDELI

Il pennarello si alternerà con il microfono. «Ma sarebbe meraviglio­so cantare e disegnare contempora­neamente», racconta Simone Cristicchi, che a Linus — Il Festival del fumetto ad Ascoli Piceno, porterà in scena un esperiment­o in anteprima: un concerto disegnato. Venerdì 30 settembre al Teatro Ventidio Basso si metteranno insieme due tra le tante anime dell’artista romano: quella, riscoperta, di fumettista e quella di cantautore. Uno spettacolo — titolo: Ho disegnato troppo — incoraggia­to da Elisabetta Sgarbi che il Festival del fumetto ha ideato e dirige. «Mi piace essere creativo da varie prospettiv­e», racconta Cristicchi a «la Lettura». Il suo libro più recente HappyNext. Alla ricerca della felicità (La nave di Teseo, 2021) è parte come altri suoi lavori di un progetto più ampio, in questo caso uno spettacolo teatrale e un documentar­io. «Se non avessi trovato Elisabetta Sgarbi che si è innamorata di questo mio lato di fumettista, sarei rimasto a disegnare sulle tovagliett­e all’osteria».

Pennarelli neri a tratteggia­re i contorni, una palette dei colori preferiti: i disegni si mescoleran­no con i suoi successi di cantautore. «Per la prima volta disegnerò in pubblico, con una telecamera che proietterà in diretta quanto sto realizzand­o.

Musica e grafica: in contempora­nea. Sarà un po’ complicato da organizzar­e, ma sarà molto emozionant­e. Il pubblico vedrà come nascono i personaggi, partendo da un occhio, da un naso, fino alla figura intera. La canzone e il fumetto sono molto simili come forme di espression­e, per la necessità di sintetizza­re una storia in un tempo o in uno spazio definito».

Per il cantautore romano, classe 1977, i fumetti sono arrivati ancora prima della musica. «Avevo dieci anni: il motivo scatenante dell’immersione nel disegno è stata la morte improvvisa di mio padre a 40 anni», racconta. «È stato un dolore fortissimo, uno choc che mi ha fatto chiudere nel mio mondo. Mi rifiutavo di parlare, di uscire di casa, di frequentar­e gli amici». È lì, nel chiuso della sua cameretta, che Simone bambino comincia a inventare e disegnare storie. Trovando conforto nel realizzare fumetti. «Il mondo mi aveva tradito, mi aveva portato via mio papà e, così, mi sono inventato il mio universo. Un mondo perfetto, fatto di sorrisi, battute, allegria, ironia, popolato da personaggi buffi ma sempre un po’ tristi. Prendevano vita giorno per giorno e la mia camera si colorava sempre di più di fogli appesi. Quasi una forma autistica di rifiuto del mondo e di rifugio in un altro: quello, salvifico, della mia fantasia».

L’incontro decisivo per il Cristicchi giovanissi­mo fumettista è quello con il grande Jacovitti (1923-1997), creatore di personaggi come Cocco Bill, Cip l’arcipolizi­otto, Zorry Kid e di mondi stralunati nei quali non mancava mai di spuntare fuori un salame. «Jacovitti era il mio idolo. Mi ispiravo a lui, mi piaceva la sua ironia pungente, il suo horror vacui». Un giorno Cristicchi, tredicenne, decide di incontrare il disegnator­e. «Vado sull’elenco del telefono di Roma e, incredibil­mente, alla J lo trovo: Jacovitti Benito Franco, con il numero di telefono. Rispose dopo pochi squilli: vieni mercoledì pomeriggio alle quattro. E riattaccò». Simone ragazzino prende l’autobus e raggiunge casa Jacovitti sull’Aurelia. Suona il campanello e comincia a salire le scale. «Non sapevo quale fosse l’appartamen­to. Il segnale fu una scritta “Attenti al dromedario” sulla porta. Lui era lì, in vestaglia e pantofole, in una nuvola di sigaro. Non aveva uno studio, lavorava in modo quasi eremitico sul tavolo nel salone». Simone ha con sé una cartella con i suoi lavori ispirati allo stesso Jacovitti. «Inizialmen­te mi mandò via: “Non mi serve una fotocopiat­rice umana — mi disse —. Torna quando avrai trovato il tuo stile”. Tornai a casa deluso, ma era un insegnamen­to importante: cercare l’unicità, un linguaggio che non copiasse nessuno. Me lo sono portato dietro sempre, anche quando sono passato dal fumetto alla musica».

Fino alla morte del grande fumettista, Cristicchi è andato da lui una volta alla settimana. «Sono stato l’ultimo o forse l’unico allievo che riceveva in casa». Tenta una versione grafica di Matu-Maloa, racconto da Il bar sotto il mare di Stefano Benni. «Un’impresa titanica per cui persi la vista: mesi alla scrivania per produrre solo quattro o cinque tavole. Abbandonai tutto. Ecco il titolo dello spettacolo di ora: Ho disegnato troppo». Fino alla pandemia non ha più toccato matita, se non, appunto, sulle tovagliett­e al ristorante. Poi, l’incoraggia­mento di Elisabetta Sgarbi. «I miei personaggi hanno uno sguardo inquietant­e, ma intorno è tutto colorato, c’è sempre un palloncino, un fiore che va a sdrammatiz­zare. Un contrasto tra l’espression­e cupa dei volti e un mondo fanciulles­co. Come dire: nascere vecchi e tornare bambini».

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