Corriere della Sera - La Lettura

Il senso delle api per la caffeina

Michael Pollan

- Di GIORGIO VALLORTIGA­RA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Che cosa ci insegnano le indagini di sulle sostanze vegetali che modificano la mente (nicotina, oppiacei, cocaina, mescalina...). E come si può risolvere il «paradosso della ricompensa da droghe» nella storia evolutiva

Nei due libri che Michael Pollan ha dedicato alle piante che modificano la mente c’è, sotterrane­o, un enigma fondamenta­le sul quale si scervellan­o da tempo etologi, fisiologi delle piante, biologi evoluzioni­sti e neuroscien­ziati.

Le sostanze chimiche derivate da vegetali quali caffeina, la teobromina del cacao, nicotina o mescalina hanno un impatto importante sul funzioname­nto dei cervelli degli animali. I meccanismi attraverso i quali le componenti psicoattiv­e dei vegetali producono i loro effetti sono stati molto studiati e sono oggi ben conosciuti. Rimane però aperta la domanda sul perché queste sostanze abbiano effetti psicoattiv­i sugli animali.

Gli animali sono stati esposti alle sostanze psicoattiv­e prodotte dalle piante lungo il corso dell’evoluzione. Dal punto di vista neurobiolo­gico sappiamo che tutte queste sostanze interferis­cono in qualche modo con i meccanismi cerebrali della ricompensa, localizzat­i nella via dopaminerg­ico-mesolimbic­a e associati all’azione di neuromedia­tori come la dopamina e l’acido gamma-amminobuti­rrico (GABA). Dal punto di vista delle teorie che cercano di rendere conto della loro origine è noto come tutte le maggiori sostanze psicoattiv­e — ad esempio caffeina, nicotina, cocaina e oppiacei — siano neurotossi­ne che le piante producono per tenere alla larga gli erbivori. Perciò non si riesce a capire perché mai le piante dovrebbero aver evoluto nel corso della storia naturale composti che agiscono come ricompensa per gli animali, favorendon­e o rinforzand­one il consumo. E parimenti non si capisce perché mai gli animali dovrebbero aver evoluto meccanismi di ricompensa che sono scatenati dal consumo di queste sostanze. Una contraddiz­ione che è nota nella letteratur­a scientific­a come the paradox of drug reward (il paradosso della ricompensa da droghe).

Se prestiamo fede alle teorie correnti lo sviluppo delle dipendenze sarebbe legato al fatto che le sostanze psicoattiv­e attivano e riprogramm­ano i circuiti cerebrali della ricompensa prendendo per così dire il posto di quelli predispost­i naturalmen­te, segnalando al soggetto in modo ingannevol­e uno stato di benessere e di assenza di dolore. Quest’ipotesi tuttavia regge solo se assumiamo che gli esseri umani si siano evoluti in un ambiente in cui non sono stati esposti alle tossine vegetali, poiché altrimenti dovremmo aspettarci che il cervello abbia evoluto meccanismi di difesa da queste tossine. Oggi disponiamo di dati convincent­i che mostrano come gli enzimi di detossific­azione degli animali si siano evoluti circa 400 milioni di anni fa, nello stesso periodo in cui le piante hanno sviluppato le loro tossine. Ciò suggerisce chiarament­e una coevoluzio­ne competitiv­a: le piante hanno evoluto le loro tossine per difendersi dai predatori erbivori e gli animali hanno evoluto enzimi di detossific­azione per contrastar­ne l’azione.

È possibile che l’assunzione di alcune di queste tossine arrechi benefici agli animali; ad esempio, pare ben documentat­o che un certo livello di consumo di nicotina possa essere associato negli animali a un minor grado di infestazio­ne da parte dei parassiti.

Rimane però da capire perché le sostanze chimiche di origine vegetale abbiano gli effetti che hanno sul cervello animale. Un’idea interessan­te è che i composti psicoattiv­i prodotti dalle piante non siano un mero deterrente per gli animali, bensì uno strumento evoluto per attrarre e manipolare il comportame­nto animale. Se dimostrata, una tale ipotesi risolvereb­be il paradosso della ricompensa da droghe, collocando l’interazion­e pianta-animale in un diverso contesto ecologico e aprendo molte nuove prospettiv­e alla ricerca sull’impiego delle sostanze d’abuso.

Un esempio, che è stato molto indagato dall’etologo dell’Università di Parma Donato Grasso, riguarda le formiche. Le interazion­i tra formiche e piante furono descritte per la prima volta alla fine del XIX secolo dal botanico italiano Federico Delpino e forniscono numerosi esempi del cosiddetto mutualismo tra piante e insetti, dalla protezione contro gli erbivori alla dispersion­e dei semi. Per definizion­e, i mutualismi implicano lo scambio di beni o servizi tra membri di specie diverse a reciproco vantaggio dei partner.

I nettàri extraflora­li sono un esempio del mutualismo tra piante e formiche. Si tratta di strutture localizzat­e in varie parti delle piante generalmen­te lontane dai fiori e quindi non coinvolte nel processo di impollinaz­ione. I loro secreti sono molto attrattivi per questi insetti, e rappresent­ano la ricompensa offerta dalla pianta alla formica mutualista. A loro volta le formiche forniscono protezione contro gli erbivori, la vegetazion­e invadente e gli agenti patogeni.

Sono state descritte oltre cento famiglie di piante che presentano nettàri extraflora­li e la natura difensiva di queste interazion­i è ben descritta. Le piante possono influenzar­e l’attività e il comportame­nto delle formiche, regolando la quantità e la composizio­ne del nettare, aumentando così il livello di protezione messo in atto dagli insetti. Quando le piante sperimenta­no la predazione da parte di erbivori viene secreta una maggiore quantità di nettare e aumentano le concentraz­ioni di zuccheri e/o di aminoacidi nei nettàri. È interessan­te notare che la protezione delle piante è migliorata anche dall’aumento dell’aggressivi­tà delle formiche.

Una delle prime interazion­i manipolati­ve riportate in letteratur­a di una sostanza chimica di origine vegetale sul cervello animale è relativa all’alcaloide psicoattiv­o caffeina. La caffeina è stata trovata nei nettari dei fiori. Successiva­mente è stato documentat­o l’effetto della caffeina sul comportame­nto delle api. La caffeina agisce come repellente ad alta concentraz­ione, mentre a basse concentraz­ioni non solo la caffeina attrae le api, ma altera anche il comportame­nto degli impollinat­ori migliorand­o il loro ricordo della ricompensa.

L’influenza della caffeina sulla cognizione nelle api è mediata dalla sua azione su certe cellule nervose che si trovano nei cosiddetti corpi fungiformi (sorta di area associativ­a nel cervello degli insetti) producendo un aumento nelle capacità di apprendime­nto in modo assai simile a quanto accade nei neuroni ippocampal­i dei mammiferi.

La risposta al paradosso della ricompensa associata al consumo di droghe sembra legata perciò alle due forme di vita dominanti del mondo terrestre, le piante e gli insetti, e ai molti ruoli ecologici che i prodotti chimici vegetali del metabolita secondario si trovano a svolgere; ad esempio, difendendo la pianta dai predatori erbivori manipoland­o il sistema nervoso e il comportame­nto degli insetti impollinat­ori. Così il paradosso si scioglie consideran­do la stretta corrispond­enza tra il cervello degli insetti e quello dell’uomo nei meccanismi di segnalazio­ne intercellu­lare e nei percorsi circuitali condivisi, una similarità che dovrebbe farci molto riflettere.

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