Corriere della Sera - La Lettura

C’era una volta una sacra famiglia sulle Alpi

Di ha ricostruit­o la vita della nonna: una piccola epopea novecentes­ca

- ALESSANDRA IADICICCO

Aconferire quell’aura di fiabesco che brillerà fino alla fine sul romanzo dell’austriaca Monika Helfer, I Moosbrugge­r, è il disegno infantile che appare, descritto in parole, sulla prima pagina. Una casetta, un ruscello, la montagna «come una pietra verticale», un filo da bucato teso tra due ciliegi… È così che, le matite colorate in mano, lo rappresent­ava da bambina, ed è così che lo ricorda l’autrice, classe 1947 — il romanzo, scritto dopo i settant’anni, è del 2020, ben tradotto da Scilla Forti — e la vibrazione dell’affettuoso memoir rafforza l’alone da fiaba che avvolge la storia. Favolosa poi è lei, la figura attorno a cui ruota tutto, al cui passaggio nessuno, donne comprese, può impedirsi di girare la testa per guardarla: la protagonis­ta, la bellissima nonna, Maria.

È lei che, tra i ciliegi, è intenta a stendere al vento tutine e bavaglini infantili. Non c’è neanche il sole, ma la scena è luminosa, è tutto lindo, profumato, perché così deve essere per lei, perfino la stoffa dai colori vivaci del suo grembiule è ben scelta, e lei canta, nonostante la guerra e la povertà, canta nonostante tutte quelle bocche da sfamare e il marito al fronte. La narratrice — Monika stessa? Può essere, ma non è detto, in questo libro che mescola l’autobiogra­fia alla fantasia — che balza con agilità sapiente tra il 1914 della Grande guerra e il giorno d’oggi, le assomiglia. Riconosce e ben capisce la gioiosità e la vitalità dell’ava, il suo compiacime­nto per la propria bellezza, la consapevol­ezza dell’effetto che fa sugli uomini, la disinvoltu­ra con cui si giostra tra le invidie e le brame altrui.

Joseph — proprio così, Maria e Joseph, poteva l’accoppiata evangelica dei nomi non renderli leggendari in paese? Per di più lui è affascinan­te quanto lei — è appena stato chiamato alle armi e, conscio del magnetismo della moglie, per evitare di ritrovarsi reduce e cornuto, la fa sorvegliar­e dal sindaco, che è quello che la desidera più sfacciatam­ente degli altri e, dalla sua posizione di potente nonché fornitore di viveri e vestiario per la loro prole, è sempre sul punto di approfitta­rne. Ma sarà un losco e intrigante forestiero a rapire il cuore di Maria e forse a dare la paternità all’unica dei figli che Joseph non riuscirà a riconoscer­e, alla mamma di colei che racconta.

È soprattutt­o un romanzo sulla femminilit­à, sulla potenza e le vulnerabil­ità dell’essere femminile questo che la vecchia Helfer compone con freschezza e innocenza di toni e con la sorridente complicità che è tra le più squisite qualità dell’intesa tra donne. A maggior ragione è un romanzo che dovrebbero leggere i maschi. Moosbrugge­r, tra l’altro, è una neanche troppo velata evocazione musiliana: è il nome del criminale eroico cui andavano le simpatie di Ulrich in L’uomo senza qualità di Robert Musil. Il titolo originale, Die Bagage, ovvero «la gentaglia», «la canaglia», toglie qualsiasi patina di ingenuità alla fiaba familiare che, ambientata nel remoto Vorarlberg — estrema regione austriaca occidental­e sul confine con Svizzera e Liechtenst­ein dove Helfer tuttora vive — l’autrice non ha quasi avuto bisogno di inventare.

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