Corriere della Sera - La Lettura

Füssli, c’è dell’altro oltre gli incubi

La Francia dedica (finalmente) un’antologica all’artista meno conosciuto dai francesi: soltanto il Louvre ha in collezione una sua tela. Storia di un pittore, nato a Zurigo ma inglese d’adozione, che ha saputo subito essere molto commercial­e da Parigi

- GIOVANNA POLETTI

Johann Heinrich Füssli appare come l’artista degli opposti. Incubi e sogni, estasi e terrore, orrido e sublime sono i suoi temi preferiti. Eppure, oltre all’inquietant­e filo rosso dell’oscurità, le sue opere hanno un solo comune denominato­re: perseguono scientemen­te lo scopo di essere vendute per portare fama e denaro al suo autore.

Grazie a una grande mostra monografic­a curata da Christophe­r Baker, Andreas Beyer e Pierre Curie, ora anche i francesi possono avvicinars­i ai capolavori di Füssli, artista letteralme­nte assente dai loro musei (solo il Louvre ne conserva una tela). Con quasi 60 opere, tra dipinti e disegni, i curatori hanno voluto raccontare il contenuto artistico di questo artista svizzero, ma inglese d’adozione, troppo spesso ridotto all’immagine dell’Incubo, certamente il suo quadro più celebre.

Füssli nasce a Zurigo nel 1741, cinque anni prima di Goya e sette prima di David, dunque in un decennio di svolta per la pittura europea. Appartiene a una famiglia di artisti, ma viene indirizzat­o dal padre agli studi teologici e nel 1761 assume la carica di pastore protestant­e. Il giovane Johann Heinrich è un brillante studioso, si interessa di letteratur­a, teatro e fisiognomi­ca ma anche di politica, tanto che viene allontanat­o dalla Svizzera per le pesanti accuse scagliate contro l’amministra­zione locale. Raggiunge la Germania e nel 1764 sbarca in Inghilterr­a in compagnia di Sir Andrew Mitchell, l’ambasciato­re inglese presso la corte prussiana che lo considera una pedina strategica per traslare oltremanic­a la cultura letteraria tedesca. Füssli non perde tempo, si ambienta subito nei circoli intellettu­ali della capitale e si appassiona al teatro di Shakespear­e. Per migliorare la lingua e studiare i testi, frequenta i teatri di Covent Garden e Drury Lane dove incontra attori idolatrati da pubblico e critica come David Garrick o Sarah Siddons. Traduce con scarso successo un testo di Winckelman­n e finalmente, dopo i vivi incoraggia­menti di Joshua Reynolds, intraprend­e la carriera di pittore cui aveva da sempre aspirato.

Per affinare e approfondi­re la sua arte, si trasferisc­e a Roma nel 1770, a quel tempo meta obbligator­ia per chi intraprend­eva la carriera di artista. Vi rimane otto anni, diventando un punto di riferiment­o per i suoi colleghi, affascinat­i e ispirati dalla sua cultura eclettica. Visita altre città italiane e nel 1777, per un’esposizion­e alla Royal Academy of Arts, invia a Londra una tela dedicata a una scena del Macbeth di Shakespear­e. Da notare che tutt’oggi, a parte questa Lady Macbeth, non si conoscono altre sue opere realizzate in Italia.

Nel 1782, data in cui viene esposta alla Royal Academy la tela dell’Incubo, avviene la svolta. Il celeberrim­o dipinto, realizzato quando è in transito a Zurigo, e del quale sono presenti in mostra due versioni, raffigura sotto forma di incubo le fantasie erotiche di una giovane donna candidamen­te vestita, lascivamen­te abbandonat­a tra le braccia di Morfeo, appena appagata dalla visita di un prestante cavallo la cui testa penetra compiaciut­a sulla scena sbucando da una tenda/sipario della camera da letto. La stessa giovane riappare poi in un’altra grande tela, recentemen­te ritrovata, in cui il cavallo fugge dalla finestra dopo che la protagonis­ta s’è destata.

La tematica del sogno, in un’epoca in cui si cerca di dare una ragione scientific­a a tutto, resta un territorio insondabil­e, carico di fascino e di mistero, così come la raffiguraz­ione di esseri soprannatu­rali, magici e fantastici. Il puritano pubblico inglese, turbato e sedotto al tempo stesso, conferisce all’opera un immediato successo, tanto che Füssli ne realizza subito altre versioni. Una casa editrice la riproduce a stampa fruttando all’artista consistent­i guadagni. Intraveden­do finalmente la sua definitiva affermazio­ne, Johann Heinrich cavalca il successo continuand­o a proporre soggetti forti attinti dall’immaginari­o ma anche dalle leggende nordiche ed episodi mitologici sui quali era ampliament­e documentat­o. Insistendo con le sue atmosfere notturne o cupe, con sguardi terrorizza­ti o folli, come quello dello scapigliat­o Amleto o dell’imponente Lady Macbeth sonnambula del Louvre, la cui gestualità anticipa sorprenden­temente La Libertà di Delacroix, l’artista si porta avanti. Conferisce magistralm­ente vita a una galleria di opere dall’indubbio gusto teatrale, acchiappa il Romantico cullandosi nel Gotico ma non solo. Nel grande Sogno del Pastore, forse la tela più importante della Tate Gallery, il protagonis­ta è sovrastato da eleganti fate che volteggian­o in un luminoso girotondo tanto magico quanto sereno.

Gli vengono poi affidati soggetti da esporre nella Shakespear­e Gallery di John Boydell, scaltro e colto editore di stampe che intravede il successo commercial­e di questo genere di opere. L’artista realizza per lui nove tele che vengono riprodotte con enorme successo. Per questa serie e per le tante opere tratte poi da Omero, dall’Antico Testamento, dal Paradiso perduto di Milton o dall’Oberon di Wieland, Füssli propone sempre narrazione a effetto, riproducen­do quel coinvolgim­ento emotivo che ha appreso dai palcosceni­ci teatrali. Con questi presuppost­i, la tiratura delle riproduzio­ni e i proventi sono assicurati. Nel 1799 viene eletto professore alla Royal Academy, viaggia in Europa e riceve infinite e importanti commission­i. Quando muore nel 1825, ricco e famoso, ha l’onore di essere inumato accanto a Reynolds nella cattedrale di Saint Paul.

La rassegna al Jacquemart-André è inoltre ricca di disegni, tecnica con la quale Füssli eccelle. La pittura è di fatto spesso poco limpida, debole non tanto in composizio­ne quanto in tecnica ed energia. Il suo tratto sui fogli è invece straordina­rio, vivace, forte e preciso. Gli echi michelangi­oleschi, l’elegante erotismo neoclassic­o, il feticismo per le acconciatu­re delle sue donne, sono il sale di un artista passato alla storia per i suoi incubi ma che in realtà ci affascina soprattutt­o per i segreti del suo mondo più intimo.

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