Corriere della Sera - La Lettura
Arriva la fine E io chiamo Angela Merkel
L’ungherese László Krasznahorkai inventa un romanzo composto da una sola frase di quasi cinquecento pagine e ripropone il personaggio del «santo sempliciotto»: ora è il protagonista, convinto che l’universo volga al termine
Sono ormai lontani i tempi in cui László Krasznahorkai sembrava un oggetto misterioso atterrato da qualche lontano e oscuro pianeta, se non direttamente dalla materia oscura. Dopo che la vittoria del Man Booker Prize International del 2015 con Satantango (a trent’anni dall’uscita, varrà la pena ricordare) ha riportato l’autore ungherese sotto i riflettori internazionali, Bompiani, primo editore italiano ad accaparrarsi il libro in questione, ha imbastito un solido e regolare lavoro di pubblicazione di tutta la sua opera. Così, dopo Satantango, arrivato da noi nel 2016, sono stati editi, nel giro di sei anni, Melancolia della resistenza (2018), Il ritorno del Barone Wenckheim (2019), Guerra e guerra (2020), Seiobo è discesa quaggiù (2021) e adesso anche il più recente frutto della mente escatologica del «maestro ungherese dell’apocalisse»: Herscht 07769, nell’impeccabile traduzione di Dóra Várnai.
Vi si racconta la storia di Florian Herscht, classico «santo sempliciotto» dell’autore, messo però stavolta al centro della scena, con la sua innocenza, la sua fede in Bach, e la sua convinzione della prossima, anzi imminente, fine dell’universo, problema che sente al punto di scrivere lettere a chiunque, e soprattutto ad Angela Merkel (siamo infatti in Turingia, nella Germania centro-orientale, in
di
vece che nell’ «Ungheria imprecisata» dei precedenti romanzi). La storia di Herscht si incrocerà con quella di un’assai attiva cellula neonazista, con quella di un branco di lupi, e con una serie di eventi inspiegabili e spaventosi…
Con cinque romanzi e una raccolta di racconti a disposizione, il lettore italiano può ben farsi un’idea completa del lavoro dell’autore di Gyula, anche nel suo progressivo sviluppo: e di certo, se nei suoi capolavori Satantango e Melancolia della resistenza il tratto distintivo era una pertinace assenza di speranza, pian piano si è aperta una fessura da cui ha cominciato a entrare della luce. Lo si è visto coi racconti di Seiobo è discesa quaggiù, mai privi della presenza della grazia, nel senso teologico del termine; lo si è visto con l’ingresso di una dimensione ironica, e non più solo tragicamente sarcastica, in Guerra e guerra e nel Ritorno del Barone
Wenckheim, e lo vediamo in quest’ultimo romanzo, dove si va financo verso la commedia. Tragicommedia, certo, ma comunque commedia.
I temi classici di Krasznahorkai ci sono tutti: una provincia tanto rarefatta da farsi wasteland, la morte di Dio, lo sconvolgimento dell’ordine da parte di eventi inspiegabili, alla maniera delle piaghe bibliche (o, appunto, dei «sigilli» dell’Apocalisse), l’attesa di un salvatore, la totale insensatezza della realtà. Né manca lo stile consueto dell’autore, fatto di frasi lunghe o lunghissime; anzi, a ben guardare, Herscht 07769 è composto da una sola frase di quasi cinquecento pagine, un tour de force stilistico che potremmo definire mai visto, se non lo avesse già fatto (meglio) nel 2010 il francese Mathias Énard con la monofrase di Zona (Rizzoli; poi, e/o), 445 pagine senza tirare il fiato, un approccio estremo che però aggiungeva molto al libro, trattandosi di un fluviale monologo interiore.
In Herscht 07769, invece, la scelta dell’autore, pur nell’ammirazione che desta la sua messa in opera, appare pretestuosa, come pretestuosi risultano quelli che dovrebbero essere i «grandi temi» del romanzo, apocalisse a parte: nazismo, sinfonie di Johann Sebastian Bach e fisica quantistica, tutto materiale potenzialmente rovente, ma che risulta freddino una volta filtrato dal punto di vista di un obnubilato come Florian Herscht. In genere, i «santi sempliciotti» di Krasznahorkai hanno posizioni da comprimari e subiscono il contesto, essendone in fondo un prodotto. Qua, invece, il sempliciotto è protagonista unico, e la prima cosa a perdersi per strada è la credibilità del tono fatale e altisonante dell’autore, mentre la seconda è la possibilità di affrontare seriamente i grandi temi di cui sopra, che vengono infatti solo sfiorati; quando, poi, da anima innocente il buon Herscht si trasformerà in una sorta di angelo sterminatore, il risultato sarà più comico che tragico.
Ora, è evidente che, quando ci si trova di fronte a un romanzo di Krasznahorkai, se ne può parlare in questi termini solo in rapporto all’opera di Krasznahorkai medesimo, visto che straccia comunque la maggior parte dei suoi contemporanei; pure, rispetto a una produzione con cui ormai anche il lettore italiano ha una certa confidenza, è evidente come Herscht 07769 si collochi in posizione di minorità. Per quanto ci siano pagine di alta scrittura, e per quanto gli si debba riconoscere almeno un merito, quello di indicare nella «retorica del decoro» un primo seme dell’autoritarismo (il capo segreto dei nazisti del romanzo ha, come impiego alla luce del sole, un’impresa di cancellazione di graffiti), è chiaro che piccole e argute considerazioni sociologiche non sono sufficienti a tenere in piedi un romanzo che parta da ambizioni così grandi, né lo è la morale finale, per cui l’armonia del mondo si troverebbe solo nella natura selvaggia e nella musica di Bach.
Si potrebbe forse affermare che, essendo un libro più facile dei precedenti, potrebbe costituire un ingresso più agevole nell’opera di Krasznahorkai per chi ne è digiuno, ma anche questa affermazione sarebbe inconsistente: meglio inspirare e buttarsi direttamente su Satantango e Melancolia della resistenza, capolavori veri; oppure, se si cerca la storia di un uomo solo contro un mondo inspiegabile, si vada sull’archivista György Korin, protagonista del magistrale Guerra e guerra; o ancora, se si cerca maggior leggerezza (ma un lettore che si approccia a Krasznahorkai può mai cercare leggerezza?), la scelta cada sui racconti di Seiobo è discesa quaggiù o sul pure tragicomico, ma ben più solido, Ritorno del Barone Wenckheim.