Corriere della Sera - La Lettura

Sono Seyoum, trafficant­e di sogni

Superati i cinquant’anni, Stéphanie Coste esordisce con una storia potente e credibile — «Lo scafista» — dalla parte del carnefice. «Mostri si nasce? Si diventa? Così immagino questo giovane eritreo che domina il business dei migranti» di

- ALESSANDRA COPPOLA © RIPRODUZIO­NE RISERVATA UUUUU UUUUU UUUUU

Quale uomo è disposto a trattare i suoi fratelli come merce? A lasciare la zavorra di vecchi e bambini lungo la strada del deserto, ad affamare i superstiti in un capannone sudicio per spingerli infine al largo verso morte quasi certa, a bordo di un catino che già in partenza non sta a galla; senza carburante né acqua potabile e senza nemmeno un’ombra di pietà?

Stéphanie Coste gratta la superficie di cinismo e follia, per scrivere un romanzo originale dalla parte de Lo scafista (La nave di Teseo). È un mostro Seyoum, trentenne eritreo che domina il business del traffico di migranti sulla costa libica? La risposa non è bianca né nera. Ma una traccia si trova nella citazione in esergo da Hemingaway: «Tutte le cose davvero atroci cominciano dall’innocenza». Anche il feroce passeur, allora, è stato un ragazzino sognante di Asmara, costretto alla fuga dalla dittatura, dall’ingiustizi­a, dai tradimenti. Se fa affari con le speranze dei suoi simili è perché ha smarrito le proprie. Finché, un giorno, forse, non gli si presenterà l’occasione per redimersi.

Coste compare in video dalla sua residenza portoghese, quasi si scusa per non essere una giornalist­a, né una cooperante, né tanto meno una migrante. «Sono solo una scrittrice», dice, arrivata a questo primo romanzo dopo i cinquant’anni. Si spiega così una scrittura densa, pungente, efficaciss­ima. E un libro che ha fatto incetta di premi in Francia, in via di traduzione in molti Paesi, in grado di raccontare meglio di un reportage. Un testo con una genesi lunghissim­a e uno studio intenso.

Nata in Germania, figlia di un militare francese, cresciuta per lo più in Africa Orientale, tra Senegal e Gibuti, «molto vicina all’Eritrea», Coste ha una biografia atipica. Giovane studentess­a a Londra, ha imboccato negli anni Novanta la via della finanza e si è ritrovata solo di recente a dedicarsi alla scrittura. L’ha affrontata con umiltà e impegno. «Ho trascorso due anni interi a documentar­mi — racconta al “la Lettura” —, altri due per completare il libro». Nemmeno 140 pagine ma senza sbavature su un terreno scivolosis­simo di cliché e buonismi.

«Il primo tema che mi interessav­a affrontare è l’esilio — continua — non il mio di giramondo felice, senza problemi. Volevo indagare l’esilio forzato». L’innesco

Stéphanie Coste (sopra) ha trascorso la giovinezza tra il Senegal e Gibuti, in Africa. Da qualche anno vive a Lisbona, in Portogallo. Lo è il suo romanzo d’esordio: per il libro ha ricevuto il Prix Chambonsur-Lignon, il Prix de la Closerie des Lilas, il Prix littéraire du Barreau de Marseille e ha vinto il Festival du premier roman de Chambéry L’immagine Christoph Büchel (1966), Barca Nostra (2019): l’opera, esposta alla Biennale di Venezia nel 2019, è l’imbarcazio­ne affondata la notte del 18 aprile 2015, nel Canale di Sicilia con centinaia di migranti. La tragedia, una delle peggiore nella storia recente delle migrazioni, causò quasi mille vittime tra morti e dispersi

è stata una foto di cronaca apparsa su un giornale che, senza didascalia, ritraeva un ammasso di corpi su uno scafo nel Mediterran­eo. «Come se fossero stati un organismo unico, una piovra spaventosa che si avvicina alle nostre coste. Io volevo dare un nome, un’identità a queste persone che componevan­o il disegno». Era il 2015 delle peggiori stragi in mare, quasi mille morti solo nel naufragio del 18 aprile nel Canale di Sicilia.

Coste inizia a leggere e ritagliare articoli, e poi anche i romanzi sulle rotte, gli arrivi, gli strazi. Tenta di entrare nella «giungla» di Calais, con l’idea di intervista­re migranti, ma non fa in tempo perché l’accampamen­to viene smantellat­o (mancato incontro che in realtà le permetterà di conservare la magia della finzione e di evitare le costrizion­i della cronaca). Avanzando nelle ricerche, l’autrice comincia a notare che in questa ampia letteratur­a manca una prospettiv­a diversa, quella del «carnefice», è lei stessa a metterlo tra virgolette. «Il secondo tema che mi ha sempre affascinat­o è quello della costruzion­e del mostro. Grande questione del ’900, certo. Come si crea un mostro? Ci si nasce? Si diventa? È così che ho iniziato a immaginare il punto di vista del passeur, per provare a capirlo, non a giustifica­rlo».

L’intento è nobile, «cercare di coinvolger­e il lettore, portare all’attenzione queste storie». Ma (per fortuna) è lo scafista a prendere la guida anche del romanzo. «Dopo avere tanto letto, avere parlato con persone che erano state sul campo, la storia si è messa nella mia testa da sola». Quel che al principio aveva pensato di scrivere si è stravolto pagina per pagina e Seyoum stesso l’ha condotta nella sua baracca infelice, le serate annebbiate dal gin e dalle foglie di khat, la crudeltà come un’abitudine. E infine un ultimo imprevisto slancio. «Uso un termine poco letterario, ma si rende conto di essere fottuto. Di avere ucciso il ragazzino idealista che era». L’incontro con una donna del passato, la possibilit­à di proteggere lei e la sua famiglia, diventa la possibilit­à dopo tanto male, di «salvare malgrado tutto un barlume di umanità». E a sua volta salvarsi. Comunque vada, non è un lieto fine. Ed è per questo che il libro di Stéphanie Coste è potente e credibile.

Stile Storia Copertina

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L’autrice
STÉPHANIE COSTE Lo scafista Traduzione di Cettina Caliò LA NAVE DI TESEO Pagine 135, e 19 scafista L’autrice
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