Corriere della Sera - La Lettura
In cerca del nonno, il fantasma dei fantasmi
Nel nuovo romanzo, esplora le radici della sua famiglia. Con una profezia
«Non piangere da brava. La morte non esiste, ancora non l’hai capito? Se non l’hai capito che sei venuta a fare? Niente e nessuno muore veramente perché il tempo... ecco vedi, il tempo, il tempo futuro è già esistito e ancora deve accadere». Ada (una veggente? una paragnosta?) quasi un doppio di Wanna Marchi, vaticina apparendo da un ascensore in un salone carico di fiori secchi, ninnoli, vecchie bambole a Torino (la città, guarda un po’, di Gustavo Adolfo Rol.) Ada è il chiaro autopretesto per una fumosa profezia: «E poi perderai una persona. Non è proprio della tua famiglia. È una persona vicina, ti mancherà molto. Moltissimo». L’archetipo è forse Un indovino mi disse di Tiziano Terzani: l’avvertimento, nel 1976, di non prendere mai un aereo nel futuro anno 1994 produsse quel meraviglioso libro di viaggi e di riflessioni.
Essere «figli di» personaggi famosi è un peso che può schiacciare. L’unica strada è fare i conti col macigno. Elisa Fuksas è la figlia di Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli, ovvero lo Studio Fuksas, marchio cosmopolita di visionaria architettura. L’autrice ha già aperto nel 2014 un confronto con la sua condizione (La figlia di, Rizzoli). Non fiori ma opere di bene (Marsilio) di Elisa Fuksas ha un diretto collegamento col precedente (Ama e fai quello che vuoi, Marsilio) altro pezzo di una autobiografia che si rintraccia anche nel suo fortunato, e premiato, lavoro di regista. Ora, dopo l’imprevedibile battesimo e conversione al cattolicesimo raccontati nell’altro libro, Elisa Fuksas ci porta nei meandri di un lungo dialogo con la morte, perché la morte ha un senso alla luce della fede, e anche alla ricerca delle radici familiari, quindi della propria stessa identità.
Una scrittura ritmata e incalzante, dove una brevità da social si alterna a lunghe descrizioni, in equilibrio tra videogiochi e narrativa tradizionale, ci conduce verso un nodo autobiografico irrisolto: dov’è sepolto il nonno Fuksas, ovvero il padre di Massimiliano, esule dalla sua Lituania e poi faticosamente approdato in Italia? Ebreo ma anche battezzato (forse) come (forse) si chiamava Raimundas, Raymundas, Raimondo, o Raymoundas, come poi era il suo vero nome. Morto quando il figlio Massimiliano aveva sei anni come capitò a lui, a Raymoundas, con suo padre.
Il nonno è il «fantasma dei fantasmi» di una giovane donna (l’autrice è del 1981) che fin da bambina gioca con la morte, fingendo a quattro anni di essere senza vita in un’auto mentre attende i genitori in un parcheggio americano, o più tardi lavandosi di tutto punto ogni domenica e poi infilandosi nel letto per «prepararsi» (viene in mente lo strepitoso film-culto del 1971 Harold e Maud di Hal Ashby, col giovane protagonista che finge continui decessi girando un un’auto camuffata da carro funebre). Elisa Fuksas nel libro «è» Elisa Fuksas, cioè sé stessa. Il nonno da cercare è il suo vero, il titolo del libro è in una battuta del padre Massimiliano che risponde a una domanda della figlia sulla sua futura collocazione quando lui morirà: «Figurati che mi frega, figurati che mi cambia. Unica cosa non t’inventà cose strane, non fiori ma opere di bene». E lei riflette: «Se i vivi sono morti asintomatici e io sono viva, io sono una morta asintomatica»
L’autrice va alla ricerca della tomba al cimitero romano del Verano ma non la trova, anzi non la «vuole» trovare nonostante le precise indicazioni del padre. Intanto cerca di capire chi dovrà perdere ascoltando Ada. L’amico Niccolò scompare, ma cambiando identità e sottraendosi alla società. Il fratellastro Matteo, dopo anni di mancati incontri, le fissa un surreale appuntamento in un autogrill a Tarquinia ma non si fa vedere (però la spia di nascosto). L’amica Gaia si ammala di tumore, poi guarisce. Però attenzione, come spiega una impiegata cimiteriale: «Bisogna essere precisi con la morte, ha una sua fiscalità. Con queste cose non si scherza». Il libro si conclude con la serena, attesa chiusura di un cerchio familiare e identitario. La morte? Arriverà, certo. Ma per ora può, anzi deve attendere.