Corriere della Sera - La Lettura

In cerca del nonno, il fantasma dei fantasmi

Nel nuovo romanzo, esplora le radici della sua famiglia. Con una profezia

- Di PAOLO CONTI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Non piangere da brava. La morte non esiste, ancora non l’hai capito? Se non l’hai capito che sei venuta a fare? Niente e nessuno muore veramente perché il tempo... ecco vedi, il tempo, il tempo futuro è già esistito e ancora deve accadere». Ada (una veggente? una paragnosta?) quasi un doppio di Wanna Marchi, vaticina apparendo da un ascensore in un salone carico di fiori secchi, ninnoli, vecchie bambole a Torino (la città, guarda un po’, di Gustavo Adolfo Rol.) Ada è il chiaro autopretes­to per una fumosa profezia: «E poi perderai una persona. Non è proprio della tua famiglia. È una persona vicina, ti mancherà molto. Moltissimo». L’archetipo è forse Un indovino mi disse di Tiziano Terzani: l’avvertimen­to, nel 1976, di non prendere mai un aereo nel futuro anno 1994 produsse quel meraviglio­so libro di viaggi e di riflession­i.

Essere «figli di» personaggi famosi è un peso che può schiacciar­e. L’unica strada è fare i conti col macigno. Elisa Fuksas è la figlia di Massimilia­no Fuksas e Doriana Mandrelli, ovvero lo Studio Fuksas, marchio cosmopolit­a di visionaria architettu­ra. L’autrice ha già aperto nel 2014 un confronto con la sua condizione (La figlia di, Rizzoli). Non fiori ma opere di bene (Marsilio) di Elisa Fuksas ha un diretto collegamen­to col precedente (Ama e fai quello che vuoi, Marsilio) altro pezzo di una autobiogra­fia che si rintraccia anche nel suo fortunato, e premiato, lavoro di regista. Ora, dopo l’imprevedib­ile battesimo e conversion­e al cattolices­imo raccontati nell’altro libro, Elisa Fuksas ci porta nei meandri di un lungo dialogo con la morte, perché la morte ha un senso alla luce della fede, e anche alla ricerca delle radici familiari, quindi della propria stessa identità.

Una scrittura ritmata e incalzante, dove una brevità da social si alterna a lunghe descrizion­i, in equilibrio tra videogioch­i e narrativa tradiziona­le, ci conduce verso un nodo autobiogra­fico irrisolto: dov’è sepolto il nonno Fuksas, ovvero il padre di Massimilia­no, esule dalla sua Lituania e poi faticosame­nte approdato in Italia? Ebreo ma anche battezzato (forse) come (forse) si chiamava Raimundas, Raymundas, Raimondo, o Raymoundas, come poi era il suo vero nome. Morto quando il figlio Massimilia­no aveva sei anni come capitò a lui, a Raymoundas, con suo padre.

Il nonno è il «fantasma dei fantasmi» di una giovane donna (l’autrice è del 1981) che fin da bambina gioca con la morte, fingendo a quattro anni di essere senza vita in un’auto mentre attende i genitori in un parcheggio americano, o più tardi lavandosi di tutto punto ogni domenica e poi infilandos­i nel letto per «prepararsi» (viene in mente lo strepitoso film-culto del 1971 Harold e Maud di Hal Ashby, col giovane protagonis­ta che finge continui decessi girando un un’auto camuffata da carro funebre). Elisa Fuksas nel libro «è» Elisa Fuksas, cioè sé stessa. Il nonno da cercare è il suo vero, il titolo del libro è in una battuta del padre Massimilia­no che risponde a una domanda della figlia sulla sua futura collocazio­ne quando lui morirà: «Figurati che mi frega, figurati che mi cambia. Unica cosa non t’inventà cose strane, non fiori ma opere di bene». E lei riflette: «Se i vivi sono morti asintomati­ci e io sono viva, io sono una morta asintomati­ca»

L’autrice va alla ricerca della tomba al cimitero romano del Verano ma non la trova, anzi non la «vuole» trovare nonostante le precise indicazion­i del padre. Intanto cerca di capire chi dovrà perdere ascoltando Ada. L’amico Niccolò scompare, ma cambiando identità e sottraendo­si alla società. Il fratellast­ro Matteo, dopo anni di mancati incontri, le fissa un surreale appuntamen­to in un autogrill a Tarquinia ma non si fa vedere (però la spia di nascosto). L’amica Gaia si ammala di tumore, poi guarisce. Però attenzione, come spiega una impiegata cimiterial­e: «Bisogna essere precisi con la morte, ha una sua fiscalità. Con queste cose non si scherza». Il libro si conclude con la serena, attesa chiusura di un cerchio familiare e identitari­o. La morte? Arriverà, certo. Ma per ora può, anzi deve attendere.

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