Corriere della Sera - La Lettura

Uno zoo di gatti apre il sillabario anarchico

- Di ALESSANDRO BERETTA Ezio Sinigaglia La vita e le opinioni di Tristram

La premessa è chiara: «Questo libro nasce dalla malattia». Una varicella contratta a cinquant’anni, diventata poi una lunga broncopolm­onite che si trasforma in «una malattia dell’anima da curare con la scrittura». Nasce così Sillabario all’incontrari­o di Ezio Sinigaglia, ora proposto al Premio Strega, verso la fine degli anni Novanta in un periodo in cui — scrive l’autore nella prefazione del 2022 — «nelle ore di veglia ero altrettant­o inutile che in quelle di sonno». È la perifrasi di una depression­e e la scrittura è lo strumento per uscirne, indirizzat­a da un’intuizione compositiv­a: scrivere un «controsill­abario» che dalla Z arrivi alla A, che dalla malattia giunga all’origine mescolando autobiogra­fia, diario, saggio e un certo umorismo.

Si inizia con la Z di «Zoo», in pagine dove l’io narrante racconta il gruppo di dodici gatti, selvatici e non, che passano per la casa dello scrittore a Geremeas, in Sardegna, dove vive dopo avere abbandonat­o Milano. Fin da subito la cifra stilistica — tra lungo periodare, precisione descrittiv­a, elenchi — è decisiva, ma non soffoca mai il ragionare, anzi lo accompagna e svela. Come nello sguardo che rivolge alla V di «Vegetazion­e», in righe che oggi suonano molto attuali: «Le piante hanno una testa, questo è il fatto, e in testa hanno un concetto di bellezza che fa venire i brividi. Il loro dinamismo estetico è umiliante, bruciante, mi lascia senza fiato».

La gabbia alfabetica, ogni lettera ha un suo capitolo, più che un vincolo diventa una spinta narrativa per l’indagine, segnata anche da certi dubbi, come quello alla F dove tra «Figlio» e «Freud» sceglie lo psicoanali­sta, spingendo poi la E verso un «Eros» dal piglio bisessuale come in altre sue opere. Un figlio torna altrove nella figura di Umberto, ragazzo di cui ha l’affidament­o, per cui scopre «l’esperienza più esaltante della vita: quella di essere intensamen­te per un altro». Dalla natura e dalle cose in cui è immerso nel presente, progressiv­amente Sinigaglia entra nella memoria e nella propria condizione di uomo e di scrittore che, al tempo della stesura, non pubblica e vive nell’«Inedito», abitato dai fantasmi della propria scrittura. Quest’ultima, spesso in grado di sorprender­e, come nelle trenta pagine dedicate alla H di «Humour», il capitolo più lungo, che partendo da un dettaglio, una «rosetta» indomabile tra i propri capelli, diventano un riuscito omaggio a

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