Corriere della Sera - La Lettura
Uno zoo di gatti apre il sillabario anarchico
La premessa è chiara: «Questo libro nasce dalla malattia». Una varicella contratta a cinquant’anni, diventata poi una lunga broncopolmonite che si trasforma in «una malattia dell’anima da curare con la scrittura». Nasce così Sillabario all’incontrario di Ezio Sinigaglia, ora proposto al Premio Strega, verso la fine degli anni Novanta in un periodo in cui — scrive l’autore nella prefazione del 2022 — «nelle ore di veglia ero altrettanto inutile che in quelle di sonno». È la perifrasi di una depressione e la scrittura è lo strumento per uscirne, indirizzata da un’intuizione compositiva: scrivere un «controsillabario» che dalla Z arrivi alla A, che dalla malattia giunga all’origine mescolando autobiografia, diario, saggio e un certo umorismo.
Si inizia con la Z di «Zoo», in pagine dove l’io narrante racconta il gruppo di dodici gatti, selvatici e non, che passano per la casa dello scrittore a Geremeas, in Sardegna, dove vive dopo avere abbandonato Milano. Fin da subito la cifra stilistica — tra lungo periodare, precisione descrittiva, elenchi — è decisiva, ma non soffoca mai il ragionare, anzi lo accompagna e svela. Come nello sguardo che rivolge alla V di «Vegetazione», in righe che oggi suonano molto attuali: «Le piante hanno una testa, questo è il fatto, e in testa hanno un concetto di bellezza che fa venire i brividi. Il loro dinamismo estetico è umiliante, bruciante, mi lascia senza fiato».
La gabbia alfabetica, ogni lettera ha un suo capitolo, più che un vincolo diventa una spinta narrativa per l’indagine, segnata anche da certi dubbi, come quello alla F dove tra «Figlio» e «Freud» sceglie lo psicoanalista, spingendo poi la E verso un «Eros» dal piglio bisessuale come in altre sue opere. Un figlio torna altrove nella figura di Umberto, ragazzo di cui ha l’affidamento, per cui scopre «l’esperienza più esaltante della vita: quella di essere intensamente per un altro». Dalla natura e dalle cose in cui è immerso nel presente, progressivamente Sinigaglia entra nella memoria e nella propria condizione di uomo e di scrittore che, al tempo della stesura, non pubblica e vive nell’«Inedito», abitato dai fantasmi della propria scrittura. Quest’ultima, spesso in grado di sorprendere, come nelle trenta pagine dedicate alla H di «Humour», il capitolo più lungo, che partendo da un dettaglio, una «rosetta» indomabile tra i propri capelli, diventano un riuscito omaggio a