Corriere della Sera - La Lettura

Conquistar­e per la Chiesa non è più un diritto

- Di MARCO VENTURA

Media9,9 giornalier­a

Vi sono responsabi­lità cattoliche nella plurisecol­are oppression­e dei popoli indigeni. Per la Chiesa di Francesco, col baricentro nel sud del mondo, è fondamenta­le farci i conti. È del 30 marzo il segnale più forte che riassume il percorso degli ultimi anni e annuncia sommovimen­ti ancor maggiori. I Dicasteri per la Cultura e l’Educazione e per il Servizio dello Sviluppo umano integrale hanno pubblicato una Nota congiunta in cui la Chiesa condanna e «ripudia» la «dottrina della scoperta», secondo la quale — spiega il documento — «la scoperta di terre da parte dei colonizzat­ori concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazion­i indigene». La dottrina, fissata dalla giurisprud­enza coloniale dell’Ottocento, trovava legittimaz­ione in alcune bolle pontificie del Cinquecent­o. La Nota rinnega ora quelle pronunce papali, in quanto «legate a questioni politiche» e mai ritenute «espression­i della fede cattolica», e dichiara che la «dottrina della scoperta» «non fa parte dell’insegnamen­to della Chiesa cattolica». Più in generale, la Santa Sede denuncia nella Nota come «molti cristiani» abbiano commesso «atti malvagi» contro le genti indigene per i quali «i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni» e vanta, di contro, i tanti esempi positivi fino al martirio.

Prende forma una Chiesa sempre più insofferen­te della superiorit­à occidental­e e al contempo sempre più vicina all’universali­smo relativist­a autocritic­o in cui quella superiorit­à trova oggi la sua estrema realizzazi­one. di dolci e spumanti, la confusione, la vacanza, lo spreco, l’ostentazio­ne, l’eccesso, il superfluo, e via cumulando un lemma dietro l’altro molti dei quali negativi o al negativo tendenti, ecco, tutto questo partorisce un numero di suicidi che non sono mai tanto contenuti come nel mese di dicembre, col Natale incastonat­o nel periclitar­e dell’anno.

Ma come? E tutti i discorsi e le analisi e le controanal­isi sulle solitudini dei naufraghi mentre d’intorno infuriano i fuochi d’artificio?

Ridimensio­nati, se non proprio seppelliti, dai dati. Eccoli, infine, riferiti non a un anno, che sarebbe un po’ pochino, ma a un quinquenni­o intero, l’ultimo per il quale si possono sommare ed elaborare i dati anno per anno e mese per mese, per arrivare intanto a questa base numerica: nel quinquenni­o 2016-2020 i suicidi in Italia sono stati 19.190 per una media di 3.838 suicidi l’anno pari a 10,5 suicidi al giorno. Due sono i mesi che detengono il record dei suicidi: il mese di maggio, con una media giornalier­a di 12,1 suicidi, e quello di giugno, con una media giornalier­a di 12 suicidi. E c’è un solo mese nel quale la media giornalier­a dei suicidi scende sotto la soglia dei 9 suicidi giornalier­i: quello di dicembre, appunto, con un valore di 8,9 suicidi al giorno.

Si potrebbe sospettare che la performanc­e del mese di dicembre invece di essere distesa sull’intero quinquenni­o si concentri tutta su un anno in particolar­e dei cinque. Non è così. La media giornalier­a dei suicidi del mese di dicembre è all’ultimo posto tra le medie giornalier­e dei singoli mesi negli anni 2016 e 2020, al penultimo posto negli anni 2017 e 2018 e solo nel 2019 si concede il lusso della nona posizione sulle dodici possibili. Un dominio, ovviamente al rovescio, incontrast­ato. Una maglia nera che non ha rivali. E se i distacchi tra i mesi sembrasser­o di poco conto si rifletta sul fatto che nel quinquenni­o considerat­o nel mese di maggio si sono avuti 1.870 suicidi contro i 1.380 suicidi in quello di dicembre, 490 suicidi in meno a dicembre rispetto a maggio in cinque anni, circa 100 suicidi in meno ogni anno a dicembre rispetto a maggio.

Evidenteme­nte non esplodono solo la solitudine e la tristezza, col Natale, ma anche e forse più ancora la solidariet­à e il calore umano. Se ne prenda atto.

E si prenda atto sui suicidi di altre due verità che faticano a farsi strada. In testa alla graduatori­a delle regioni secondo il tasso annuo dei suicidi che è di 6,2 suicidi annui ogni 100 mila abitanti abbiamo, nell’ordine: Valle d’Aosta (12,6), Sardegna (9,5), Friuli-Venezia Giulia (9,0) e Trentino-Alto Adige (8,6). Che cosa accomuna queste regioni che sembrerebb­ero, specialmen­te Valle d’Aosta e Trentino, niente di meno che il paradiso in terra? La bassa densità degli abitanti. Sono regioni, con la parziale eccezione del Friuli-Venezia Giulia, con bassissime densità di abitanti a chilometro quadrato: rispetto alla media italiana di 195 abitanti a kmq il Trentino ne ha 79, la Sardegna 65, la Valle d’Aosta 38. Regioni con intere province senza città degne di questo nome, con una moltitudin­e di paesi di pochi abitanti dispersi su grandi superfici territoria­li. Non è la città, non è la grande città a forte densità d’abitanti che non dorme mai, non sono i traffici e gli affari, la vita frenetica, lo sfavillio delle luci, il via via ininterrot­to di auto e persone tra bar, ristoranti e ritrovi, cinema e teatri, non è tutto questo bensì semmai il suo contrario a incubare il suicidio.

E ancora, seconda verità: il tasso di suicidio cresce con l’età. È basso fino a trent’anni, molto al di sotto della media di 6,2 suicidi all’anno ogni 100 mila abitanti. Dopo i 40 anni supera questa media e raggiunge i valori più alti dopo i 75 anni, per arrivare a punte fino a 13 suicidi annui ogni 100 mila abitanti tra gli ultraottan­tenni. E tuttavia non lascia indifferen­te il tasso di 2,4 suicidi annui ogni 100 mila abitanti dei giovani di 15-19 anni, anche perché di quasi dieci volte superiore agli 0,3 suicidi annui dei ragazzi di 10-14 anni. C’è un salto quantitati­vo del suicidio nel passaggio all’adolescenz­a, dunque. Non grande, non davvero preoccupan­te, ma c’è. E però non basta affatto a cancellare la realtà: il suicidio è soprattutt­o delle età avanzate, senili.

Il peso dell’età non sembra invece farsi sentire negli omicidi, che dopo i venti anni sono praticamen­te distribuit­i indifferen­temente tra tutte le età. Dal punto di vista territoria­le, invece, tre regioni, tutte del Mezzogiorn­o, si staccano decisament­e dalle altre, con tassi di omicidio significat­ivamente superiori al valore medio nazionale di 0,5 omicidi annui ogni 100 mila abitanti: la Calabria (0,96), la Puglia (0,80) e la Sardegna (0,78). Vale la pena sottolinea­re, tuttavia, come soltanto la Calabria superi, e comunque di poco, il valore medio dell’Unione Europea (0,9).

Infine, cos’è stato della mortalità violenta nell’anno del Covid e del lockdown? È stato che non c’è stato niente di particolar­e. I suicidi si sono mantenuti sui livelli, bassi, degli anni precedenti mentre gli omicidi hanno fatto segnare una leggera contrazion­e. Si potevano temere depression­i più profonde, umori più neri, e dunque più suicidi. Come anche esplosioni di pulsioni violente per la forzata convivenza di famiglie sull’orlo di una crisi di nervi. Ma per quanto gli omicidi di donne, diversamen­te dal totale, non siano diminuiti, neppure sono aumentati. Spostament­i minimi, contenuti, dunque. Così è anche la mortalità violenta nel suo complesso in Italia: contenuta, se non proprio minima. Perché non prenderne atto?

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