Corriere della Sera - La Lettura

Lo studio non paga il riscatto (sociale)

- Di CARLO BORDONI

La società è una forma viva, in perenne movimento. Se le occasioni di cambiament­o sono frequenti, se permettono con più facilità di integrarsi, istruirsi, cambiare lavoro e qualità della vita, sarà una società migliore, più in grado di crescere e sviluppars­i. Utili quindi gli studi sulla mobilità sociale, a partire da quelli pionierist­ici di Pitirim A. Sorokin del 1927, sociologo russo naturalizz­ato americano.

Queste analisi aiutano a comprender­e quanto una società permetta il cambiament­o, tenendo presente che l’immobilism­o è una caratteris­tica delle società chiuse, dove la tradizione culturale, o la divisione in caste o classi, vede intere generazion­i mantenere gli stessi privilegi, ma d’altra parte anche le stesse condizioni miserevoli, impedendo ai meno fortunati di sfuggire a un destino segnato dalla nascita. Perciò gli indici di mobilità, che misurano la quantità e la qualità dei passaggi da uno status sociale all’altro nell’arco di una generazion­e, sono indicativi del grado di apertura di una società.

Nel secolo scorso, subito dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo assistito al salto di qualità dalla generazion­e dei padri (contadini, operai, artigiani) a quella dei figli (insegnanti, impiegati, liberi profession­isti). Passando tendenzial­mente da un lavoro manuale (meno retribuito) a uno intellettu­ale (più remunerati­vo). È la mobilità verticale, che utilizza gli «ascensori sociali», il primo dei quali è l’istruzione. La mobilità può essere anche orizzontal­e, se il passaggio avviene sullo stesso livello, senza alterare lo status sociale. Ma può essere anche discendent­e, come nel caso di una famiglia di insegnanti, i cui figli trovano lavoro come commessi, benché in possesso di una laurea.

Forti ripercussi­oni sono causate, infatti, dalla perdita di chance dell’istruzione superiore, fino a qualche anno fa garanzia di riscatto sociale. La laurea non basta più. Lo dimostra il fenomeno dei Neet: tre milioni solo in Italia di giovani che non studiano o non lavorano. A cui aggiungere i sottoccupa­ti, che hanno un titolo di studio, ma svolgono attività di ripiego, in attesa di un’emancipazi­one che tarda a venire. Per loro l’ascensore sociale è bloccato. In attesa di manutenzio­ne.

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