Corriere della Sera - La Lettura
Lo studio non paga il riscatto (sociale)
La società è una forma viva, in perenne movimento. Se le occasioni di cambiamento sono frequenti, se permettono con più facilità di integrarsi, istruirsi, cambiare lavoro e qualità della vita, sarà una società migliore, più in grado di crescere e svilupparsi. Utili quindi gli studi sulla mobilità sociale, a partire da quelli pionieristici di Pitirim A. Sorokin del 1927, sociologo russo naturalizzato americano.
Queste analisi aiutano a comprendere quanto una società permetta il cambiamento, tenendo presente che l’immobilismo è una caratteristica delle società chiuse, dove la tradizione culturale, o la divisione in caste o classi, vede intere generazioni mantenere gli stessi privilegi, ma d’altra parte anche le stesse condizioni miserevoli, impedendo ai meno fortunati di sfuggire a un destino segnato dalla nascita. Perciò gli indici di mobilità, che misurano la quantità e la qualità dei passaggi da uno status sociale all’altro nell’arco di una generazione, sono indicativi del grado di apertura di una società.
Nel secolo scorso, subito dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo assistito al salto di qualità dalla generazione dei padri (contadini, operai, artigiani) a quella dei figli (insegnanti, impiegati, liberi professionisti). Passando tendenzialmente da un lavoro manuale (meno retribuito) a uno intellettuale (più remunerativo). È la mobilità verticale, che utilizza gli «ascensori sociali», il primo dei quali è l’istruzione. La mobilità può essere anche orizzontale, se il passaggio avviene sullo stesso livello, senza alterare lo status sociale. Ma può essere anche discendente, come nel caso di una famiglia di insegnanti, i cui figli trovano lavoro come commessi, benché in possesso di una laurea.
Forti ripercussioni sono causate, infatti, dalla perdita di chance dell’istruzione superiore, fino a qualche anno fa garanzia di riscatto sociale. La laurea non basta più. Lo dimostra il fenomeno dei Neet: tre milioni solo in Italia di giovani che non studiano o non lavorano. A cui aggiungere i sottoccupati, che hanno un titolo di studio, ma svolgono attività di ripiego, in attesa di un’emancipazione che tarda a venire. Per loro l’ascensore sociale è bloccato. In attesa di manutenzione.