Corriere della Sera - La Lettura
Non c’è anestetico che addormenti la vita
La cruda onestà della danese nel volume che chiude la trilogia autobiografica
«Passano i giorni, passano le settimane, passano i mesi. Mi sono messa a scrivere e la cortina calata tra me e la realtà è di nuovo compatta e sicura». Questo racconta Tove Ditlevsen, autrice e poetessa danese pluripremiata in patria, la cui opera è stata recentemente riscoperta e molto apprezzata per l’intensa e coraggiosa attualità.
La capacità di sfuggire allo spleen della vita di tutti i giorni è da sempre un’ossessione dell’autrice e quando l’arte dimostra di non essere un anestetico abbastanza potente, fa ricorso ad altre sostanze. Come racconta in Dipendenza, ultima parte dell’autobiografia che, dopo Infanzia e Gioventù, conclude La trilogia di Copenaghen.
È un’opera di precoce autofiction che, nel 2021, è stata pubblicata e accolta come un capolavoro nel mercato anglosassone. Mentre da noi è proposta, da Fazi con l’ottima traduzione di Alessandro Storti, divisa in tre testi. I primi due sono usciti nello scorso anno, l’ultimo è appena arrivato in libreria. La cronaca del terzo volume, più crudo e drammatico dei precedenti, comincia nei primi anni della Seconda guerra mondiale: la Danimarca è occupata dai nazisti, nelle strade di Copenaghen c’è il coprifuoco e la polizia ausiliaria danese, istituita dalle forze tedesche, tiene d’occhio la popolazione. Tove, poco più che ventenne, è già una poetessa pubblicata e sembra essere finalmente sfuggita dalla drammatica miseria vissuta degli anni precedenti. Ha sposato il suo pigmalione, un anziano editore. Con un marito che ha quasi il triplo della sua età, la ragazza si annoia ma fortunatamente l’unione è platonica. Con cinica ironia descrive la routine domestica che ha come grande benefit tanto tempo libero per cominciare a scrivere il primo romanzo, dimenticare appunto l’amarezza della realtà, smettere anche di invidiare e spiare dalla finestra le coppiette che si baciano. L’amore che il vecchio intellettuale le riserva è più paterno che passionale, così Tove viene incoraggiata dal marito a frequentare, ma solo una volta alla settimana, un circolo di ragazzi con ambizioni letterarie. I giovani artisti amano godere in pieno le gioie dell’esistenza, per Tove lo sbocco verso la libertà rappresenta una grande tentazione. «Mi addolora il fatto che la mia vita stia per complicarsi come non mai, ma rifletto anche sulla stranezza di non essermi mai opposta al volere di nessuno; mai sul serio, perlomeno».
Tra serate alcoliche e trasgressioni