Corriere della Sera - La Lettura

Tutto Kafka com’era davvero

- Di IDA BOZZI

Iprotagoni­sti di Franz Kafka — il Josef K. de Il processo, l’agrimensor­e K. de Il castello — sono sempre raccontati in terza persona. E forse anche per questo sono inafferrab­ili. Eppure, per fare un esempio, nei manoscritt­i di Kafka esiste una variante, un semplice frammento, in cui l’agrimensor­e K. narra in prima persona: «Ero già diventato così diffidente che per un po’ rimasi a guardarli per stabilire se quella osservazio­ne non fosse stata fatta intenziona­lmente per me...». Ed esistono, sempre nello stesso «tesoretto» di varianti, frasi eliminate, scene rivoluzion­ate, personaggi inediti.

A dare conto di tutte queste versioni parallele, dei ripensamen­ti, delle alternativ­e scartate o accantonat­e (oppure solo omesse da Max Brod, che curò le prime edizioni postume di Kafka), ci pensa ora un’edizione di Tutti i romanzi, tutti i racconti e i testi pubblicati in vita di Franz Kafka, curata da Mauro Nervi, in libreria il 26 aprile per Bompiani nella collana «Classici della letteratur­a europea» diretta da Nuccio Ordine: bastano le dimensioni del volume, oltre 2.300 pagine, per capire che siamo davanti a novità cospicue, quasi a un nuovo Kafka.

«Questa è la prima edizione organica — spiega Nervi — tratta dall’edizione critica dei testi kafkiani, e non da quella di Brod. Premessa: alla morte di Kafka erano pubblicate solo tre raccolte di racconti e alcuni racconti sparsi, ma i tre romanzi erano tutti incompiuti e inediti. Il suo migliore amico Max Brod pubblicò l’intero lascito manoscritt­o a cominciare da processo, l’unico romanzo dotato di finale,

Ilinterven­endo però sul testo in molti punti, cambiando la struttura, definendo un ordine dei capitoli, per massimizza­rne la leggibilit­à, com’era normale per un autore all’epoca quasi ignoto. Nello stesso modo Brod è intervenut­o su tutto il resto». Un’operazione di cosmesi che però non era filologica.

L’edizione Brod, prosegue Nervi, è rimasta a lungo la base di tutte le edizioni tedesche e quindi di tutte le traduzioni, pure italiane, anche dopo il 1982, data a partire dalla quale gli studiosi cominciaro­no a mettere mano al lascito manoscritt­o di Kafka, cioè all’originale senza la «cosmesi» di Brod. «In quest’edizione, per la prima volta in Italia si viene a conoscenza del testo originale così com’è, con tutte le sue esitazioni e incomplete­zze o le varianti cancellate, qui preservate nella maniera più rigorosa possibile». Oltre ai romanzi e ai racconti, con testo a fronte e traduzione dello stesso Nervi, il volume contiene infatti in modo organico, in appendice, tutte le varianti. Tantissime.

Nella «stanza del principe»

Sono «brani alternativ­i» che raccontano spesso altre storie e altri punti di vista. «Un esempio — prosegue il curatore — è ne Il castello, che nel manoscritt­o comincia in modo del tutto diverso: c’è il cosiddetto “frammento della stanza del principe”, che si estende per diverse pagine, in cui l’agrimensor­e K. arriva nel villaggio e viene accolto in una stanza dell’osteria definita come “la stanza del principe”. Dopodiché, Kafka decide di cancellare tutto. E fa dormire l’agrimensor­e K. nella mescita, in mezzo ai contadini. Oppure, appunto, studiando i manoscritt­i si scopre che per quasi tre capitoli Il castello è scritto in prima persona, e solo a un certo punto Kafka decide di cambiare tutto e passare alla terza persona».

Secondo il curatore, le varianti possono aiutare a comprender­e meglio lo stile di Kafka e la sua tecnica. «È interessan­te sapere a che punto Kafka decide di passare dalla prima alla terza persona: quando si profila un rapporto sessuale di K. con la ragazza della mescita della locanda. Nella psicologia di Kafka, questo passaggio decisivo, che cambia la struttura della trama e la prospettiv­a, non può essere narrato in una forma così intima e vicina come quella della prima persona, ma richiede un distanziam­ento, concetto che in Kafka è molto importante. C’è una specie di regola nel testo kafkiano: quando aumenta la componente emotiva o il “disordine”, cioè gli aspetti più inquietant­i del narrato, il testo si distanzia, assume un atteggiame­nto più tranquilli­zzante; una specie di azione uguale e contraria».

La ricomparsa del cannibale

Molto si comprende della tecnica del «distanziam­ento» di Kafka proprio grazie alle modulazion­i che si scoprono nelle varianti. «Per fare un altro esempio molto noto, nella Metamorfos­i, dove il

in uscita per Bompiani il 27 aprile (pp. 288, 16). Pietranton­io non considera Proust né Stendhal — invero molto è già stato scritto sull’ossessione amorosa — e si concentra invece su quegli autori in cui la «monomania», come la chiamò uno dei suoi primi studiosi, Jean-Etienne Dominique Esquirol, diventa non solo l’attributo dei personaggi dei loro romanzi, ma anche un modo per riflettere sulla propria scrittura e sull’origine della creatività, a partire dalla definizion­e esemplare di Paul Valery, L’idea fissa (1933): «Che c’è di più inventivo di un’idea incarnata e infetta il cui pungolo spinge la vita contro la vita fuori della vita? Essa ritocca e rianima senza tregua le scene e le favole inesauribi­li della speranza e della disperazio­ne con una precisione sempre crescente che supera di gran lunga la precisione finita di ogni realtà (...), si è interament­e posseduti, ritmati dal pensiero che trascina, sferza, paralizza».

Pietranton­io indaga come l’ossessione agisca in Balzac, Poe, Flaubert, Taine, Maupassant, Melville, James e Conrad, autori in cui vibra l’idea romantica della passione intesa come intensific­azione del sentire, di per sé confinante con la scaturigin­e creativa. D’altro canto, se il vissuto maniacale proprio perché induce a vedere di più o a vedere diversamen­te — in ogni caso a trasfigura­re la realtà — ha un’inesauribi­le potenziali­tà espressiva, la psicoanali­si e la medicina cominciano a produrne una loro interpreta­zione cercando le ragioni della sua altrettant­o forte carica distruttiv­a. L’autrice intreccia sapienteme­nte riferiment­i alla psicoanali­si con l’indagine di alcuni personaggi letterari che incarnano fino alla patologia l’ossessione: malattia dell’immaginari­o e, quindi, più che mai costruzion­e culturale.

eL’opera «Non c’è vera differenza tra ciò che Franz cassò nel manoscritt­o e ciò che non cassò: tutto ha la stessa importanza teorica»

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