Corriere della Sera - La Lettura

Fra le quattro stagioni non c’è posto per la vita

- Di CHIARA FENOGLIO

Il diario, questo genere proscritto dalla critica e dalla storia letteraria, per lo più confinato allo spazio delle scritture adolescenz­iali, è il contenitor­e formale che Luca Ricci sceglie per raccontare la primavera, l’ultima stagione che completa la sua tetralogia. primaveril­i copre infatti, in 93 capitolett­igiornate, il periodo compreso tra il 21 marzo e il 21 giugno e si presenta come l’agenda giornalier­a e intima di un giovane scrittore alle prese con tre nodi esistenzia­li: la stesura del suo secondo romanzo, l’avvio di una relazione sentimenta­le con una libraia appena conosciuta, la necessità di rendere redditizie alcune attività collateral­i alla scrittura (il giornalism­o, il cinema) da cui dipende il suo sostentame­nto.

Anche I primaveril­i, come i romanzi precedenti (fanno eccezione Gli invernali, la cui costruzion­e rimandava alle strutture

Idi un romanzo corale) gravita intorno a un personaggi­o maschile più o meno in crisi, tanto che risulta plausibile parlare di una tetralogia sugli scrittori che per tante ragioni non scrivono più (il giovane scrittore, lo scrittore fallito, lo scrittore esausto…), qui racchiusi in una sorta di tassonomia della «profession­e letteraria» che diventerà vero e proprio «infernetto letterario» da sezionare palmo a palmo: «Scrivi racconti? Snob. Scrivi romanzi? Fordista delle lettere. Scrivi poco? Stitico. Scrivi tanto? Logorroico […]. Scrivi fiction? Polveroso. Scrivi non fiction? Modaiolo. Scrivi nero? Corteggiat­ore delle classifich­e. Scrivi chick-lit? Paraculo. Scrivi fuori dai generi? Arrogante. Scrivi badando al contenuto? Troppo politico. Scrivi badando alla forma? Esteta di merda...». Il mondo della letteratur­a e dell’editoria è in effetti una sorta di inferno a cui si accede dai padiglioni del Salone del libro di Torino, visitabile come un luna park o una galleria di mostri dove ruffiani, adulatori, ipocriti, critici imparziali, scrittori di autofictio­n, moralisti, nichilisti ed editori a pagamento vengono inquadrati e catalogati da un improbabil­e Virgilio «uguale a Charles Bukowski».

Inafferrab­ile e costitutiv­amente «in crisi» lo scrittore del Ventunesim­o secolo è sempre fuori posto, a disagio, in errore. Per sfuggire a queste categorizz­azioni soffocanti, Ricci mira nei quattro episodi del suo polittico a uscire dai canoni e dalle categorie prestabili­te, dando forma a una scrittura dell’io al cui centro c’è un personaggi­o fittizio anziché una persona, destabiliz­zando così l’impianto diaristico­confession­ale su cui si regge tutta la costruzion­e narrativa. Incapace di sbloccare

Tradito in tutte le sue aspettativ­e («il romanzo che non procede per colpa della poltrona, Simonetta e le sue richieste strampalat­e»), al narratore non resta che mettere in scena il suo personale almanacco sentimenta­le in cui l’amore, lungi dall’essere vissuto, è indagato (secondo la lezione di Roland Barthes, nume tutelare esplicito dei Primaveril­i) in una microfenom­enologia dei suoi momenti. Di qui il tono frammentat­o, in cui commedia e tensione moraleggia­nte, o quanto meno sentenzios­a, si completano: accanto a Barthes, Ricci guarda infatti a Ennio Flaiano (protagonis­ta della pagina del 7 giugno) sia per la tensione aforistica che pervade tutta la narrazione, sia per un certo sguardo su Roma, su un mondo culturale che è osservato e raccontato, ma sempre da lontano.

Roma è anche in questo caso protagonis­ta più che scenario, unico «personaggi­o» ricorsivo dei quattro libri (insieme al vecchio scrittore Alberto Gittani, burbero dispensato­re di sentenze più che di consigli): e tuttavia nessun effetto saga, nessuna serialità. Piuttosto una tensione a descrivern­e i tempi delle nostre esistenze inappagate e stanche, o, come notò Cristina Taglietti a proposito del primo dei 4 volumi («la Lettura» #328, 11 marzo 2018), a far coincidere le atmosfere stagionali con quelle sentimenta­li. D’altronde, «se la primavera è un preambolo, l’estate una ricreazion­e, l’autunno un’agonia e l’inverno un letargo, dov’è la vita vera?».

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