Corriere della Sera - La Lettura

Anche Calvino da piccolo giocava

Un incontro, la Liguria, la scrittura: sono i temi del nuovo romanzo di

- Di SIMONE INNOCENTI

Chissà se Walter Benjamin e Italo Calvino si sono incontrati realmente a Sanremo tra il 1935 e il 1936. E se lo scrittore ligure — allora ragazzino — abbia davvero inseguito il pallone che si perdeva tra i carruggi fino ad attraversa­re i binari: il confine estremo di un territorio che invece lo studente non poteva varcare. Eppure è in questo terreno — tutto ligure e tutto letterario — che si squaderna Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino) (66thand2nd), romanzo di Marino Magliani. L’idea di mischiare elementi reali — nel centenario della nascita dell’intellettu­ale italiano — per amalgamarl­i con quelli narrativi è lo spunto di partenza: Benjamin, un bagaglio di libri tra le mani, spinge Calvino piccolo a scrivere di un ragazzino che cerca di recuperare proprio quella sfera.

La magia dell’arte come recupero del gioco e come ricerca personale diventa un’ossessione per Calvino mentre quello che gli aveva chiesto Benjamin accade davvero: un bambino insegue un pallone e non torna più indietro, percorre i binari delle ferrovie, attraversa la Liguria, ne sonda tutta la sua verticalit­à, diventa un camminator­e, si ripara sotto le gallerie, in inverno si infila al caldo delle librerie e scopre leggendo i giornali che

Calvino vorrebbe scrivere una storia come questa. La storia di un bambino che ha mollato tutto per inseguire un pallone.

La sua diventa un’«esistenza ferroviari­a», che corre parallela ai treni, anche quando il viaggio sembra interrompe­rsi improvvisa­mente e sembra terminare: «Non binari morti, erano solo tronchi, perché un binario tronco continuava a conservare un’immagine di infinito, e la poesia degli infiniti tronchi».

Il bambino nel frattempo diventa uomo e inizia a leggere i libri di Calvino, incontra anche Carlo Levi che poi ne parlerà allo scrittore di Sanremo: il cercatore di pallone e l’autore che voleva scriverne la sua storia diventano un’ossessione perfetta nella storia di Magliani, scrittore di razza che qua gioca su più piani. Non ultimo il paesaggio che l’autore nato a Dolcedo (Imperia) porta in questa storia come uno dei protagonis­ti e lo fa con una scrittura piena di stupore, novecentes­ca, evocativa e quasi misteriosa: il libro procede a quadri, quasi una sorta di diario che segna le tappe degli incontri e del viaggio. In questo gioco di incontri e appuntamen­ti mancati, Magliani — lo fa come omaggio intimo — tesse la vita di un uomo talmente alle prese con sé stesso da diventare — per

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