Corriere della Sera - La Lettura
Un formicolio, e poi? E poi niente: si riparte
Vivere per raccontarla. O meglio, sorridere per raccontarla. Cosa? Un’emorragia cerebrale, quella che colpisce Chiara, 34 anni, mentre una domenica pomeriggio è intenta a scorrere video sul cellulare, placidamente distesa sul divano di casa. Quello strano formicolio al braccio, inizialmente tenuto a bada come un attacco di panico con una blanda dose di Xanax, si rivela qualcosa di decisamente più complesso, ovvero un coagulo di sangue nel cervello con conseguente perdita di controllo sulla parte sinistra del corpo.
Poverina, verrebbe da dire, una ragazza così giovane; poverina un accidente, pensa subito quella Chiara Galeazzi, autrice televisiva e speaker radiofonica, che affida il racconto tragicomico della sua, non richiesta, rinascita a un romanzo dissacrante fin dal titolo. Poverina fa suo quell’ingombrante e fastidioso aggettivo presentandolo come una dichiarazione di indipendenza da una serie di stereotipi che la penna sottile dell’autrice compila parallelamente al suo bollettino medico.
Il risultato è, naturalmente, un ibrido. Un esorcismo di luoghi comuni fatto da un punto di vista ironico e lieve, che permette di osservare senza pontificare. Un temporaneo incidente di percorso che diventa il pretesto per dare vita a una narrazione acuta e ridanciana in cui la paura è trasferita al rango di ospite scomoda e il glorioso ritorno in società è affidato a un paio di chimerici mocassini. Non di corsa, ma poco ci manca. Poverina è una sorpresa affacciata su un ignoto con cui, volenti o nolenti, ci si deve scontrare; è un faro puntato su un qualche cosa di cui non si parla mai abbastanza ma che diventa l’elefante nella stanza (d’ospedale) da addomesticare smorzandone i tabù con una risata.
«C’era il dramma ma anche la simpatia, c’era una donzella in pericolo ma che comunque guardava il lato positivo, e che, nonostante si trovasse in ospedale con un’emorragia cerebrale, aveva una frangia perfetta». È tutto qui l’universo emotivo di una giovane donna che si ritrova nella stroke unit di un grande nosocomio milanese senza avere altra scelta
Nel suo celebre saggio dal titolo Sulla malattia, Virginia Woolf si chiedeva, con la sua caratteristica ironia, perché la letteratura dedicasse così poco spazio all’essere malati, condizione che lei considerava al pari di una fortunata occasione sia per modificare la propria percezione della realtà sia per intuirne gli aspetti meno evidenti. Un dettaglio, questo, che non sfugge a Galeazzi. È la normalità che diventa preziosa fin nelle sue manifestazioni più banali. È la consapevolezza della caducità del corpo alla quale, però, non è necessario soccombere. È uno sguardo disincantato su uno stato temporaneo di malessere che non deve diventare un’etichetta mortificante (poverina!) ma una semplice, seppur dolorosa, tappa dell’esistenza. Iconoclasta — ma con qualche lacrima — Chiara Galeazzi relativizza la sua esperienza sfuggendo alla tentazione di prendersi troppo sul serio grazie a uno stile sempre spassosamente acuto.
Stile Storia Copertina
Autobiografia «C’era il dramma ma anche la simpatia, c’era una donzella in pericolo ma che comunque guardava il lato positivo»
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Stile Storia Copertina nella descrizione lussureggiante e esotica delle foreste brasiliane, dove agli occhi del lettore più attento non sfuggiranno di certo i riferimenti ai romanzi salgariani. Non è, infine, casuale anche la scelta del punto di vista, in cui appunto si privilegia lo sguardo di Pietro a metà strada, verrebbe da dire, tra il verghiano Malpelo e il pirandelliano Ciàula, in bilico tra il sentirsi perduto e sbagliato (così gli è stato insegnato da bambino) e lo stupore panico di un mondo nuovo che viene a scoprire; un mondo che in parte donerà a Pietro una nuova vita, ma non una nuova identità, che rimarrà fino alla fine legata alla terra natale, dove infine farà ritorno.