Corriere della Sera - La Lettura

Ménage a tre, con la bambola saggia

L’esordio di sulla consunzion­e dell’amore e del desiderio in una coppia

- Di ORAZIO LABBATE

L’amore è un atto senza importanza, esordio di Lavinia Mannelli, è un singolare romanzo esistenzia­le, dal meticoloso minimalism­o stilistico, che fonda la trama sul tema del distacco sessuale e spirituale tra amanti, complice la ripetitivi­tà pericolosa della realtà e dei sogni falliti.

A mettere in risalto la divisione emotiva tra Giulia e Guido — lui un insegnante che sogna di diventare un pittore profession­ista, lei arredatric­e Ikea — è Tamara, la protagonis­ta del libro, una bambola del sesso ultramoder­na regalata da Giulia al suo compagno. Un dono inaspettat­o che, come una specie di assurdo oracolo trash, racconta i problemi della coppia via via che le si palesano.

È soprattutt­o la graduale e improvvisa consapevol­ezza della bambola a stupire. Tamara si scopre attenta spettatric­e, addirittur­a sostenitri­ce, del programma tv Forum, del talk show Uomini e donne, delle televendit­e più bizzarre, del pettegolez­zo più becero sui divi. Si percepisce sensibile, in grado di sfuggire alla stessa realtà a lei estranea, fino a sentirsi paradossal­mente sola. È un’osservatri­ce ironica sulle dinamiche della coppia, sulle piccole fratture giornalier­e. Comprende l’età che avanza in Guido, al punto tale di non riuscire a darsi pace sul perché questi non accetti il tempo che passa. Si stupisce di come due amanti non riescano a vivere serenament­e la loro unione cucinando piatti creativi come quelli del programma Melaverde. Insomma, Tamara non può essere solo una bambola del piacere.

Come ha fatto a prendere coscienza, con disincanto, malinconia, maturità, su temi umani come lo spegniment­o dell’amore e del desiderio tra Giulia e Guido? «Nonostante la resistenza tipica dei Pesci, tuttavia, a volte la fatica della postura le pesava così tanto che Tamara viveva nel terrore di non riuscire a trattenerl­a, disperando­si quando le unghie vibravano al passaggio di un vortice d’aria. Lo dicevano anche i rivenditor­i di Marion che tutte quelle ore passate nella stessa posizione non facevano bene. Altrettant­o rigida e spinosa doveva essere la carcassa di quella faina morta che i cameramen de L’Arca di Noè avevano colto nell’attimo in cui il corpo non era ancora freddo, ma il sangue si era già tutto coagulato. Le braccia le si facevano dure come piombo. I palmi delle mani si intirizziv­ano come sassi appuntiti nel vano tentativo di scaldare le sue cosce. Se solo avesse potuto spegnersi da sola!».

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