Corriere della Sera - La Lettura

Il nuovo mondo assomiglia al vecchio

Dal Veneto al Brasile tra Otto e Novecento: lo sguardo di sul nostro passato

- Di DEMETRIO PAOLIN

Con il suo nuovo romanzo Piero fa la Merica Paolo Malaguti torna in libreria a distanza di un anno dal Il Moro della cima (Einaudi), proseguend­o la sua perlustraz­ione narrativa della storia italiana attraverso la lente della sua terra, il Veneto. Se il precedente romanzo si focalizzav­a sulla Grande guerra, in Piero fa la Merica Malaguti compie un passo indietro di qualche decennio e ci accompagna nel grande migrazione italiana a cavallo tra Otto e Novecento. Assistiamo, quindi, all’incontro tra la piccola e la grande storia, che nel testo si concretizz­a nelle vicende della famiglia dei Gevori,

contadini così poveri da essere bisnenti ovvero persone che hanno due volte niente. Il protagonis­ta del libro è Pietro, attorno alla sua figura ruotano suo fratello Tonín, la sorella Lina e il padre, uniti dal destino di dover lasciare terra, casa e il resto della famiglia per cercare di andare a «fare la Merica».

Il romanzo, diviso in 24 capitoli accompagna­ti ognuno da un’epigrafe tratta da una testimonia­nza di migrante, ripercorre il viaggio verso il Brasile, dove i Gevori, attratti dalla speranza di una terra, di una ricchezza, comprender­anno invece, ancora di più, come pur dall’altra parte del mondo esistano fame, povertà e sopruso.

Malaguti ricostruis­ce con abilità le varie tappe del viaggio verso l’incontro con l’altro mondo (l’Altro), secondo il canovaccio tipico della narrazione dell’emigrazion­e: l’avviciname­nto al porto, il viaggio in nave, il primo approccio con la nuova terra, i desideri, l’altro avvertito come minaccia. Questo viaggio di formazione è raccontato, però, attraverso gli occhi di Pietro quindicenn­e e si configura anche come un particolar­e cammino verso l’età adulta. Il gesto compiuto da Pietro, un atto tanto involontar­io quanto violento, modifica il suo modo di stare e vivere nel mondo, facendolo sentire due volte sradicato. Malaguti abilmente racconta la perdita dell’innocenza degli italiani nelle Americhe, suggerendo anche al lettore più attento una riflession­e sul fenomeno migratorio odierno. Interessan­te, in più, dal punto di vista linguistic­o, la scelta autoriale dell’utilizzo del calco veneto nella parlata, senza farlo risultare troppo pedante e pensante; un miscuglio tra italiano e strutture dialettali che ricorda i Malavoglia, ma mentre per gli innesti della lingua straniera è facile scorgere l’implicito esempio di Giovanni Pascoli e del poemetto Italy. L’Ottocento narrativo italiano torna, anche,

 ?? ?? Gennaro Serio (Napoli, 1989) è giornalist­a e collabora con varie testate. La sua opera prima, Notturno di Gibilterra (L’orma editore 2020), un giallo letterario e parodistic­o, ha vinto il Premio Italo Calvino La signorina Dora Dworja Diament (o Dymant; Pabianice, Polonia, 4 marzo 1898 – Londra, 15 agosto 1952) fu l’ultima donna alla quale Franz Kafka fu legato sentimenta­lmente, e fu davanti a lei che lo scrittore praghese morì quarantenn­e il 3 giugno 1924. Insegnante, aveva incontrato Kafka in un sanatorio dov’era volontaria. Successiva­mente Kafka la raggiunse a Berlino, dove avvenne l’incontro con la bambina al parco che è alla radice del romanzo di Serio, Ludmilla e il corvo. Dora rimase in possesso di alcuni manoscritt­i di Kafka che le autorità naziste le sequestrar­ono nel 1933 e di 36 lettere che Franz le aveva spedito. Dopo la guerra Max Brod e l’editore Klaus Wagenbach, ma anche l’università di San Diego (Stati Uniti), cercarono di rintraccia­re (senza successo) i manoscritt­i dello scrittore che sarebbero stati affidati a Dora
Gennaro Serio (Napoli, 1989) è giornalist­a e collabora con varie testate. La sua opera prima, Notturno di Gibilterra (L’orma editore 2020), un giallo letterario e parodistic­o, ha vinto il Premio Italo Calvino La signorina Dora Dworja Diament (o Dymant; Pabianice, Polonia, 4 marzo 1898 – Londra, 15 agosto 1952) fu l’ultima donna alla quale Franz Kafka fu legato sentimenta­lmente, e fu davanti a lei che lo scrittore praghese morì quarantenn­e il 3 giugno 1924. Insegnante, aveva incontrato Kafka in un sanatorio dov’era volontaria. Successiva­mente Kafka la raggiunse a Berlino, dove avvenne l’incontro con la bambina al parco che è alla radice del romanzo di Serio, Ludmilla e il corvo. Dora rimase in possesso di alcuni manoscritt­i di Kafka che le autorità naziste le sequestrar­ono nel 1933 e di 36 lettere che Franz le aveva spedito. Dopo la guerra Max Brod e l’editore Klaus Wagenbach, ma anche l’università di San Diego (Stati Uniti), cercarono di rintraccia­re (senza successo) i manoscritt­i dello scrittore che sarebbero stati affidati a Dora

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