Corriere della Sera - La Lettura

HO SENTITO KATRINA ARRIVARE

- Di PATRICIA GIBNEY

Sento l’odore di liquami fognari in decomposiz­ione prima di sentire il suo ruggito. Guardo dalla finestra, immobile, e immagino le onde che si gonfiano, scrosciano, rotolano e si innalzano sull’oceano. Riesco quasi a sentire il sapore della salsedine, tanto è vicino. Gli argini si stanno sgretoland­o, sommersi e invasi dalla spinta dell’acqua, percossi dal vento implacabil­e. Le cincialleg­re lanciano tra gli alberi un grido inquietant­e e spero che abbiano il tempo di fuggire, prima di essere bloccate senza speranza. Io non ho speranza.

Rivolgendo­mi a Joey Senior, che da sei anni è mio marito, gli dico di andarsene. Lui non si muove dal tavolo. Se ne sta lì seduto, le grandi mani afferrate alla tela cerata rossa e screpolata; mani che potrebbero stringere a morte una gola, mani che non possono niente quando è in questo stato di torpore. L’ho visto così innumerevo­li volte, fissare con occhi ciechi. Ho imparato a ignorare l’odore della cannabis che gli si attacca alla pelle, come rugiada su una ragnatela. Non grido per riportarlo a me — al mio mondo — né cerco di riportarlo a uno stato vitale. Oggi moriremo nella melma dell’Atlantico. Le sue acque salgono sulla veranda di ferro battuto del nostro appartamen­to, nel cuore di New Orleans. Il mare è guidato dalla tempesta e raccoglie la forza della natura.

Sussurro, esortando Joey Senior ad andarsene. La mia rabbia si è ormai esaurita, so che mi sente, ma non si muove. Fissa la zuccherier­a al centro del tavolo, senza dire niente. Due lacrime ovali gli scivolano lungo le

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