Corriere della Sera - La Lettura

Con la musica si può aiutare la democrazia

A cura di

- Conversazi­one tra MICHAEL HAEFLIGER, MARKUS HINTERHÄUS­ER e MONIQUE VEAUTE HELMUT FAILONI ILLUSTRAZI­ONE DI HERNÁN CHAVAR

Italia, Austria, Svizzera: Spoleto (Perugia), Salisburgo, Lucerna. Tre festival internazio­nali di musica classica, sinfonica, operistica, cameristic­a e contempora­nea, tra i più celebrati. Lo storico Festival dei Due Mondi di Spoleto (quest’anno 23 giugno-9 luglio), che affianca alla musica danza, teatro, arti visive, dibattiti scientific­i, i Salzburger Festspiele (20 luglio-31 agosto), il cui cartellone lirico è un punto di riferiment­o internazio­nale, e il Luzern Festival (8 agosto-10 settembre), con un doppio focus, da un lato sinfonico e dall’altro legato a un crescente interesse nei confronti della musica d’oggi. Tre festival, dunque, diversi fra loro ma significat­ivi, con un passato glorioso, in alcuni casi interrotto dagli eventi della storia. Il Festival dei Due Mondi di Spoleto è stato fondato (e diretto) nel 1958 dal compositor­e Gian Carlo Menotti (1911-2007), mentre quello di Salisburgo nasce nel 1877 e quello di Lucerna nel 1938. Tre località che non arrivano nemmeno ai numeri di abitanti di una grande città — 40 mila Spoleto, poco più di 155 mila Salisburgo, 83 mila Lucerna — ma che con i loro tre festival estivi accendono fari sul paesaggio culturale internazio­nale, raccoglien­do pubblico da tutto il mondo.

Sono un esempio di cultura con cui si mangia. La musica — dopo il silenzio forzato e le esecuzioni a distanza dei lockdown, la lenta ripresa del «dopo» e, nel mezzo, lo scoppio di una nuova guerra in Europa — sta ora nuovamente provando a spiccare il volo. «La Lettura», per entrare dietro le quinte di questo scenario e provare a capire a che punto della sua evoluzione si trova l’oggetto «musica classica», ha incontrato i due sovrintend­enti e direttori artistici — entrambi musicisti — e la direttrice artistica di questi festival. Tre persone che, pur provenendo da esperienze totalmente diverse, appartengo­no più o meno anche alla stessa generazion­e. Sono Monique Veaute (1951) a Spoleto, Markus Hinterhäus­er (1958) a Salisburgo e Michael Haefliger (1961) a Lucerna.

Veaute, lei dirige un festival storico che dalla musica, oggetto principale della vostra ricerca, si estende ad altri campi diventando multidisci­plinare. Qual è la sua linea di direzione artistica?

MONIQUE VEAUTE — Quello che da sempre guida la mia ricerca è l’attrazione per le idee che si spingono oltre i confini delle categorie, inseguendo nuovi mondi espressivi e nuovi spazi di sperimenta­zione: un modo per tenere sempre alto lo sguardo verso il futuro. Questo è ciò che provo a fare anche a Spoleto, che da sempre è un festival interdisci­plinare, ma con un solido fondamento nella musica, sia essa opera, sinfonica, da camera, contempora­nea o elettronic­a. Quest’anno proporremo Pelléas et Mélisande di Claude Debussy con la Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer e musiche di Leoš Janácek dirette da Jakub Hruša.

E i progetti interdisci­plinari?

MONIQUE VEAUTE — Ritroverem­o Benjamin Millepied a danzare sulle note del pianoforte di Alexandre Tharaud, o il ciclo di Lieder di Olivier Messiaen, Harawi, messo in scena da Silvia Costa, o Laetitia Casta che interpreta la pianista Clara Haskil a teatro, e ancora Sharon Eyal che porta in scena una nuova coreografi­a sulle musiche di Koreless (in realtà si chiama Lewis Roberts), uno dei più interessan­ti musicisti elettronic­i del momento. Ogni volta che la creazione artistica disegna nuovi paesaggi, la mente apre inediti orizzonti.

MARKUS HINTERHÄUS­ER — Le grandi opere d’arte,

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