Corriere della Sera - La Lettura
Con la musica si può aiutare la democrazia
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Italia, Austria, Svizzera: Spoleto (Perugia), Salisburgo, Lucerna. Tre festival internazionali di musica classica, sinfonica, operistica, cameristica e contemporanea, tra i più celebrati. Lo storico Festival dei Due Mondi di Spoleto (quest’anno 23 giugno-9 luglio), che affianca alla musica danza, teatro, arti visive, dibattiti scientifici, i Salzburger Festspiele (20 luglio-31 agosto), il cui cartellone lirico è un punto di riferimento internazionale, e il Luzern Festival (8 agosto-10 settembre), con un doppio focus, da un lato sinfonico e dall’altro legato a un crescente interesse nei confronti della musica d’oggi. Tre festival, dunque, diversi fra loro ma significativi, con un passato glorioso, in alcuni casi interrotto dagli eventi della storia. Il Festival dei Due Mondi di Spoleto è stato fondato (e diretto) nel 1958 dal compositore Gian Carlo Menotti (1911-2007), mentre quello di Salisburgo nasce nel 1877 e quello di Lucerna nel 1938. Tre località che non arrivano nemmeno ai numeri di abitanti di una grande città — 40 mila Spoleto, poco più di 155 mila Salisburgo, 83 mila Lucerna — ma che con i loro tre festival estivi accendono fari sul paesaggio culturale internazionale, raccogliendo pubblico da tutto il mondo.
Sono un esempio di cultura con cui si mangia. La musica — dopo il silenzio forzato e le esecuzioni a distanza dei lockdown, la lenta ripresa del «dopo» e, nel mezzo, lo scoppio di una nuova guerra in Europa — sta ora nuovamente provando a spiccare il volo. «La Lettura», per entrare dietro le quinte di questo scenario e provare a capire a che punto della sua evoluzione si trova l’oggetto «musica classica», ha incontrato i due sovrintendenti e direttori artistici — entrambi musicisti — e la direttrice artistica di questi festival. Tre persone che, pur provenendo da esperienze totalmente diverse, appartengono più o meno anche alla stessa generazione. Sono Monique Veaute (1951) a Spoleto, Markus Hinterhäuser (1958) a Salisburgo e Michael Haefliger (1961) a Lucerna.
Veaute, lei dirige un festival storico che dalla musica, oggetto principale della vostra ricerca, si estende ad altri campi diventando multidisciplinare. Qual è la sua linea di direzione artistica?
MONIQUE VEAUTE — Quello che da sempre guida la mia ricerca è l’attrazione per le idee che si spingono oltre i confini delle categorie, inseguendo nuovi mondi espressivi e nuovi spazi di sperimentazione: un modo per tenere sempre alto lo sguardo verso il futuro. Questo è ciò che provo a fare anche a Spoleto, che da sempre è un festival interdisciplinare, ma con un solido fondamento nella musica, sia essa opera, sinfonica, da camera, contemporanea o elettronica. Quest’anno proporremo Pelléas et Mélisande di Claude Debussy con la Budapest Festival Orchestra diretta da Iván Fischer e musiche di Leoš Janácek dirette da Jakub Hruša.
E i progetti interdisciplinari?
MONIQUE VEAUTE — Ritroveremo Benjamin Millepied a danzare sulle note del pianoforte di Alexandre Tharaud, o il ciclo di Lieder di Olivier Messiaen, Harawi, messo in scena da Silvia Costa, o Laetitia Casta che interpreta la pianista Clara Haskil a teatro, e ancora Sharon Eyal che porta in scena una nuova coreografia sulle musiche di Koreless (in realtà si chiama Lewis Roberts), uno dei più interessanti musicisti elettronici del momento. Ogni volta che la creazione artistica disegna nuovi paesaggi, la mente apre inediti orizzonti.
MARKUS HINTERHÄUSER — Le grandi opere d’arte,