Corriere della Sera - La Lettura

Noi resilienti come ai tempi del Covid La sfera dice: l’alluvione è il grido del mondo

Si inaugura il 7 giugno il Ravenna Festival, in una città ferita dalle acque. «La Lettura» ha assistito ad Amsterdam alle prove di «WE, the EYES» dei coreografi Emio Greco e Pieter C. Scholten che debutta al Teatro Alighieri e tocca il tema della responsa

- D a Amsterdam VALERIA CRIPPA (v. cr.)

D«Ravenna è stata in gran parte risparmiat­a ma è contornata dalle acque. Il pubblico risponde comunque, l’abbiamo già visto in questi giorni con gli spettacoli in anteprima», dice Franco Masotti (qui sotto), direttore artistico di Ravenna Festival. Tradiziona­lmente la manifestaz­ione è seguita anche da spettatori provenient­i da Lugo, Faenza e Cesena, assai colpite. «Speriamo in una reazione positiva come fu per il Covid. Viviamo una sorta di senso di colpa verso la cooperativ­a agricola di braccianti che ha consapevol­mente sacrificat­o centinaia di ettari di terreno per risparmiar­e ue rinoceront­i bronzei — uno in cima a una gradinata di legno, l’altro appeso al soffitto a testa in giù — scrutano con aria mansueta le spalle di Emio Greco, nell’entrata di cristallo e cemento a dieci minuti di treno dall’aeroporto di Amsterdam-Schiphol. «Per noi — racconta il coreografo a “la Lettura” — sono due totem. Nel 2012 facemmo un progetto intitolato Addio alla fine in cui salutavamo una fase della nostra attività per approdare ad altro. Come nel film di Federico Fellini E la nave va in cui un pachiderma viaggiava sulla prua, avevamo fatto navigare i due rinoceront­i su una piccola barca nei canali e nel porto di Amsterdam. Il rinoceront­e è un animale poderoso a rischio di estinzione, perciò, per la sua precarietà di sopravvive­nza, rappresent­a per noi l’animale simbolo della forza e della vulnerabil­ità della creazione artistica insidiata da incertezze».

D’improvviso, il senso di precarietà si insinua nel nitore di linee razionalis­te del palazzo, progettato dallo Studio Nine Dots, che dal 2021 ospita la compagnia Ick Dans Amsterdam fondata del 2009 dal coreografo brindisino e dal regista olandese Pieter C. Scholten, in risonanza con la Romagna devastata dal fango delle ultime settimane. È già protesa verso Ravenna e il suo festival la nuova creazione WE, the EYES («Noi, gli occhi») che sta prendendo forma in questi mesi nella sala prove dello Space for Dance Art e che debutterà in prima assoluta il 23 giugno al Teatro Alighieri della città romagnola. La coreografi­a per sette danzatori prevela città. Pure il festival ha subìto grossi danni, anche in termini economici, ai magazzini delle scenografi­e e dei costumi, invasi dall’acqua alle soglie di Ravenna, nella frazione di Fornace Zavattini. Difficile recuperare scene e costumi da acque contaminat­e e intaccati da densi oli minerali». È un’edizione resiliente quella che, quasi con un senso di oscuro presagio, s’intitola Le città invisibili. Per Ravenna non è la prima volta: «Durante la pandemia fummo il primo festival a ripartire e a stabilire un protocollo sperimenta­le per il distanziam­ento degli artisti. Ne scrisse anche il “New York Times”». de la presenza di due percussion­isti e una cantante e si concentra sullo sguardo: «Sullo sfondo del gruppo che condivide una situazione comune palpabile — anticipa Greco — ci sarà una grande sfera bianca che simboleggi­a un occhio. Su questa sfera vengono proiettate immagini crude della realtà che viviamo. Non è un occhio da Grande Fratello che tutto spia, ma una finestra sul mondo. Un terzo occhio che a volte guarda ciò che noi vediamo, a volte ci costringe a vedere ciò da cui distogliam­o lo sguardo per ignorare ciò che è palese. Il punto di rottura a cui ci siamo spinti è un modello sociale ed economico insostenib­ile. I segnali sono chiarissim­i, come l’alluvione in Emilia-Romagna, eppure cerchiamo ancora alibi per convincerc­i che le conseguenz­e non saranno così catastrofi­che. Un segno di sopravvive­nza che diventa colpevolez­za. La nostra responsabi­lità è enorme. Ma non bastano gli occhi per vedere se non c’è consapevol­ezza, un’integrità o un posizionam­ento con il mondo esterno. Perciò, all’inizio Pieter e io avremmo voluto intitolare questa creazione Noi, i ciechi».

WE, the EYES si inserisce nel ciclo di spettacoli di Ick Dans legati al pronome we («noi» in inglese ma anche in neerlandes­e) ed è stato preceduto da WE, the BREATH (il respiro: in arrivo in autunno al festival MilanOltre in un focus dedicato che contempla anche Rocco, atteso anche a Scenario Pubblico a Catania) e sarà seguito da WE, the LUST (il desiderio) nel 2025, e da WE, the IDIOTS, nel 2026. Come satelliti attratti nella stessa orbita, si aggiungono al ciclo anche WE WANT IT ALL, il duetto femminile WE, the SHAMELESS e l’ambizioso progetto WE, le RADEAU (la zattera) per la Philharmon­ie de Paris ispirata al dipinto La zattera della Medusa di Théodore Géricault che debutterà alla Cité de la Musique della capitale francese.

Tra una prova di WE, The EYES eun workshop per allievi giunti dal Tennessee in visita alla junior company IckNext, gli occhi di Greco scavano nello spazio circostant­e per ripercorre­re con la memoria i trent’anni che lo separano dall’Italia, dalla sua Brindisi. «Sono arrivato ad Amsterdam nel 1995: in quegli anni — ricorda il coreografo — la città era un grembo accoglient­e accessibil­e a tutti, con un pensiero creativo libero e molta cultura undergroun­d ricca e variegata. Restai qui per capire: ero un danzatore ma sentivo nascere in me altro. Incontrai Pieter e insieme cominciamm­o a elaborare un nostro linguaggio artistico, all’inizio con le nostre sole risorse economiche. Nel 2009 creammo Ick Dans e la città la riconobbe come compagnia ufficiale contempora­nea di Amsterdam, sovvenzion­ata dal Comune e dallo Stato, ma eravamo ancora nomadi, senza una sede nostra. Nel 2014 il ministero francese della Cultura ci propose la direzione del Ballet National di Marsiglia. Quando nel 2018 finì l’incarico, recuperamm­o il rapporto con Amsterdam e ribattezza­mmo la compagnia Ick 2.0: fu l’inizio di un nuovo periodo di sovvenzion­i che portò all’assegnazio­ne di questa sede nell’agosto 2021. Era uno spazio vuoto».

Greco è l’unico coreografo italiano che abbia un suo centro istituzion­ale all’estero e una carriera trentennal­e continuati­va oltreconfi­ne. Si interroga su come sarebbe stata la sua carriera se non avesse lasciato l’Italia: «Sarei rimasto in una comfort zone che non mi avrebbe stimolato e costretto a uno scontro talvolta anche duro con alcune realtà. In Italia a me e a Pieter sarebbe mancata la progettual­ità quinquenna­le. In Italia resta tutto relativo al momento».

Per Greco e Scholten, dioscuri della danza olandese, il pronome noi si sostanzia in una visione artistica di coppia oscillante tra i due poli teatrali della coreografi­a e della regia, teorizzata nel Manifesto delle sette necessità del corpo ribelle: «Si è sviluppata per complicità e per contrasto, con una fiducia totale nell’appoggio dell’altro. Da italiano del sud — ammette Greco — sono molto istintivo, Pieter è più razionale. Il ciclo WE è un’estensione del noi a una collettivi­tà da cui ci si può anche chiamare fuori. Pieter e io sentiamo la responsabi­lità di lasciare ad altri l’eredità della nostra visione artistica, la lezione sull’origine e la sintassi del gesto da trasmetter­e alla nuova generazion­e di autori come una struttura linguistic­a cui appoggiars­i».

Emio (diminutivo di Eupremio) si guarda le mani nerborute ricordando quelle del padre Florindo, contadino e pugile: «Andava nei campi alla prima luce del giorno che illuminava le mani. È stato il mio fan più accanito». A lui è dedicato Rocco, coreografi­a sulla boxe, ora declinata anche al femminile, liberament­e ispirata al film Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti. Ma è Pier Paolo Pasolini che più ha segnato la poetica coreografi­ca di Greco: «Dai suoi scritti ho imparato a incarnare la responsabi­lità e ad affrontare la scena come un ring, in uno stato continuo di instabilit­à e ricerca».

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