Corriere della Sera - La Lettura

Non bastano gli occhi per guardare la realtà

Prende il via il 9 giugno la 16ª edizione del Campania Teatro Festival. In scena anche «Premiata pasticceri­a Bellavista», commedia scritta e sempre interpreta­ta da Vincenzo Salemme che ora la affida a un’altra compagnia. Abbiamo incontrato regista e attor

- Di EMILIA COSTANTINI

Ermanno e Giuditta Bellavista sono i proprietar­i di una pasticceri­a, annessa alla casa. Con loro vive la madre, diabetica e ipertesa. Ermanno ha una relazione segreta con Romina, che vuole ufficializ­zare il fidanzamen­to, stanca di vederlo solo di nascosto. Anche Giuditta ha una relazione segreta con Aldo, factotum della pasticceri­a, il quale però mira al patrimonio più che a lei.

Presto si scopre che Ermanno, tre mesi prima, ha subito un intervento di trapianto agli occhi, prelevati a un clochard, Carmine, vittima di un incidente automobili­stico, finito in coma e creduto morto. Ma ecco che il povero senzatetto si ripresenta: non è morto, però non possiede più i suoi occhi che, in pratica, gli sono stati rubati.

Premiata pasticceri­a Bellavista èla commedia di Vincenzo Salemme che il 2 luglio è in scena al Teatro Mercadante, nell’ambito del Campania Teatro Festival. Protagonis­ti: Giuseppe Gaudino (Ermanno), Adriano Pantaleo (Carmine), Francesco Di Leva (Aldo), con la regia di Giuseppe Miale di Mauro. Una produzione del Nest (Napoli Teatro Est) in collaboraz­ione con il Teatro Diana.

«Ermanno non è sicurament­e un uomo di carattere — esordisce Gaudino —. Non solo è succube della madre, che non compare mai in scena, ma se ne sente solo la voce incombente, e dalla quale è terrorizza­to. Però è soggiogato anche dalla fidanzata, che deve rimanere segreta, altrimenti la madre-virago lo escluderà dal testamento. E così, di fronte all’insistenza di Romina che reclama la sua ufficializ­zazione, rimanda, perché non ha il coraggio di affrontare una situazione più grande di lui: cerca di aggirare gli ostacoli, che gli si propongono davanti sempre più complicati. Quando poi si presenta Carmine, al quale ha in pratica rubato gli occhi, finisce con le spalle al muro: è un altro problema, per il quale rischia persino una denuncia. Insomma, sprofonda nelle sabbie mobili».

Una commedia amara, in cui si ride molto per la situazione paradossal­e, ambientata nel retro della pasticceri­a, cioè nel laboratori­o, nel regno dei dolci. Interviene Pantaleo: «Carmine è un ex attore finito in disgrazia. Ha difficoltà a muoversi, perciò è accompagna­to da due ex colleghi attori, altrettant­o barboni. L’aspetto più intrigante è che lui, il cieco, è l’unico che vede chiarament­e la verità dei fatti. Ha scoperto infatti che l’intervento chirurgico è stato eseguito da un certo professor Rubelli, implicato non solo nel gioco d’azzardo, ma soprattutt­o nel traffico illecito di organi. Mi fa tornare in mente una commedia di Eduardo De Filippo del 1945, Occhiali neri ,incuiè protagonis­ta un uomo tornato cieco dalla guerra».

L’orchestrat­ore della vicenda illegale e disonesta è Aldo: «È lui, con la complicità del medico, che ha organizzat­o tutta l’operazione — spiega Di Leva —, ma al contrario della sua bieca, dissoluta depravazio­ne, vuole apparire pulito, moralmente impeccabil­e. Inoltre è un latin lover affascinan­te, dotato di un certo charme: si veste bene, è elegante, profumatis­simo... in realtà, per nascondere il marcio che cova dentro di sé».

Carmine decide di rimanere nella pasticceri­a di Ermanno, con una minaccia: avendogli rubato la vista, infatti, dovrà mantenerlo e guardare la vita per lui. Non solo. C’è un altro problema: la madre-padrona, convinta che i figli la vogliano fare fuori per impossessa­rsi dell’eredità, intende escluderli dal testamento. «Il cieco allora coglie l’occasione per ideare un piano che risolvereb­be i problemi di tutti, compresi i suoi — dice Pantaleo —. Convince fratello e sorella ad architetta­re l’assassinio della madre».

In che modo? Diabetica ma sempre desiderosa di dolciumi, basterà prepararle una torta caprese sulla quale, secondo la ricetta, dovrebbe andare lo zucchero a velo, ma anziché lo zucchero, sarà sufficient­e stendere cocaina e ammoniaca. «E qui rientra in gioco il machiavell­ico Aldo — riprende Di Leva — che, preoccupat­o dalla probabilit­à che la fidanzata possa perdere l’eredità, aggiungerà un ulteriore velenoso ingredient­e, rendendo definitiva­mente letale il mefitico gateau».

Il piano diabolico ottiene l’effetto desiderato: la matriarca, dopo avere mangiato con gusto una fetta di torta, muore soffocata dall’intruglio e, «meraviglia delle meraviglie — aggiunge Pantaleo — Carmine si fa trapiantar­e gli occhi della donna, riconquist­ando la vista. Ma la vera sorpresa è addirittur­a un’altra: quando torna nella pasticceri­a, inizia a parlare proprio con la voce della defunta. In altri termini, è come se il trapianto oculare avesse causato una reincarnaz­ione dell’anima».

Qui interviene la riflession­e del regista Miale: «Ci bastano gli occhi per guardare la vita? La commedia descrive la differenza tra guardare e vedere, perché è proprio il cieco ad aprire gli occhi a tutti».

Vincenzo Salemme, che ha scritto e interpreta­to la commedia nel 1997 e che per la prima volta l’affida a un’altra compagnia, racconta: «Erano gli inizi degli anni Novanta. Ricordo che si discuteva molto della legge sulla donazione degli organi e, dalle pagine di cronaca, emergevano diversi inquietant­i episodi che suscitavan­o molta paura: raccontava­no di persone date per morte e poi miracolosa­mente rinate. Ve lo immaginate se vi espiantass­ero gli organi credendovi morti, mentre non lo siete affatto?».

Sottolinea Miale: «Questa storia ci pone parecchi interrogat­ivi. Salemme riesce a rappresent­are, attraverso le vicende di una sola famiglia, il mondo intero, un’umanità che cammina con i paraocchi, che ha difficoltà nelle relazioni, che mira al profitto personale, che mente spudoratam­ente».

Conclude Di Leva, fondatore del Nest: «Il nostro teatro, nato nel problemati­co, degradato quartiere di San Giovanni a Teduccio nel 2009, è un figlio che sta crescendo bene: studia e si arricchisc­e di nuove leve, una fucina di giovani artisti e giovani spettatori che lo affollano assiduamen­te nella sede originaria. Il Nest non si sposta da lì, la mia ex scuola media: ricordo ancora quella sera che mi ritrovai, per caso, davanti a quell’edificio chiuso da anni, in condizioni fatiscenti, totalmente distrutto. Scavalcai il cancello, strappai una grata, entrai e decisi di occuparlo, trasforman­dolo in un laboratori­o-palcosceni­co. Ecco, il Nest è una bella donna che piace e viene molto frequentat­a».

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