Corriere della Sera - La Lettura
Dire addio a sé stessi
Édouard Louis era un altro. Povero, con genitori ignoranti, bullizzato perché gay. In un memoir mostra come abbia scientificamente deciso di emanciparsi cancellando la persona che era. Una confessione intima piena di dolore
Metodo per diventare un altro Traduzione di Annalisa Romani LA NAVE DI TESEO Pagine 262, e 19
Édouard Louis, il cui vero nome era Eddy Bellegueule (Hallencourt, Francia, 30 ottobre 1992; foto di Joël Saget/Afp), è cresciuto in una famiglia operaia. È il primo della sua famiglia a concludere gli studi e, nel 2011, viene ammesso all’École des hautes études en sciences sociales. Nel gennaio 2014 esordisce con il romanzo autobiografico
Altro che i consigli per dimagrire in 10 giorni, imparare una lingua straniera o riordinare la casa. Qui si tratta di trasformarsi integralmente, di abbandonare la vita poverissima e violenta del sottoproletariato lepenista di un villaggio sperduto nel Nord della Francia per diventare degni del liceo di Amiens, poi della prestigiosissima École normale di Parigi, poi delle interviste al «New York Times», e degli champagne rari degustati con uomini dell’alta borghesia in camere d’albergo che costano, per una sola notte, quanto guadagnava la famiglia dell’autore in un anno.
Il libro di Édouard Louis ha un titolo che evoca il più radicale dei manuali di sviluppo personale — Metodo per diventare un altro — ma è lo straordinario racconto autobiografico dell’odissea dello scrittore, appena trentenne e già star della letteratura mondiale.
Questo è il punto: il successo non come conseguenza, come premio, ma come obiettivo in sé. Lo scrivere almeno all’inizio non sgorga naturalmente, non è «un’urgenza profonda», come direbbero altri: per Louis la cultura, leggere libri e poi scriverli è stato soprattutto lo strumento più estremo ed efficace per salvarsi — la sua ossessione fondamentale — mettendo la maggiore distanza possibile tra sé stesso, ragazzino effeminato, omosessuale e bullizzato, e lo spaventoso, perché ignorante e povero, mondo delle origini.
Metodo per diventare un altro è un libro bellissimo e forse il migliore di Édouard Louis, quello in cui l’autore di Farla finita con Eddy Bellegueule spiega nel modo più doloroso, spietato e preciso che cosa gli sia accaduto da quando bambino rideva, per disperazione, assieme ai compagni che lo riempivano di schiaffoni nel cortile di scuola perché frocio. Édouard, che all’epoca si chiamava ancora Eddy (nome da duro di telefilm americani scelto dal padre operaio disoccupato), ha fatto per anni buon viso a cattivo gioco per cercare di ridurre la vergogna e l’umiliazione, fino a quando ha capito che quel sistema non poteva più funzionare. Ha smesso di fingere di essere attratto dalle compagne dal seno grosso, non ha più represso la sua camminata poco virile e la sensibilità «da femminuccia». Ha scelto un’altra strada: diventare un altro, appunto. Se come sono adesso non vi piaccio, diventerò un altro che piaccia però non a voi, poveracci sporchi omofobi razzisti di Hallencourt, Piccardia, ma ai borghesi di Amiens, la città più grande della regione, e poi ai ricchi intellettuali di Parigi, quelli che sono «sempre di ritorno da qualche parte, dall’Italia, da Singapore, dalla Corea del Sud».
Un piano di stupefacente lucidità e determinazione, che è riuscito al di là delle previsioni. Fake it until you make it èil principio al quale Édouard Louis dice di essersi attenuto: ha finto di amare la letteratura e la scrittura, di conoscere la musica classica e l’opera, si è avventurato in giudizi spericolati e strampalati su Mozart e si è riempito la bocca della migliore pronuncia possibile di «Richard Wagner», e lo ha fatto con tale disperazione e forza di volontà che alla fine ha finito per amare, davvero, i libri consigliati da Elena, l’amica di Amiens, e da Didier Eribon, l’autore di Ritorno a Reims e suo mentore definitivo.
«A poco più di vent’anni, avevo cambiato cognome davanti a un tribunale, cambiato nome, trasformato la faccia, ridefinito la linea frontale del cuoio capelluto, subito diverse operazioni, reinventato il modo di muovermi, camminare parlare, fatto sparire l’accento del Nord dell’infanzia», scrive Louis nel prologo. Soprattutto, Louis è diventato uno scrittore di successo internazionale. Ma la grandezza del libro sta nel raccontare tutto il dolore che c’è voluto e che non è mai davvero scomparso, assieme alla gratitudine e al senso di colpa inestinguibile nei confronti di tutti: della famiglia rimasta a Hallencourt che lo amava, a modo suo, e delle tante persone che gli hanno dato una mano a Amiens e a Parigi.
La voglia di rivalsa è come una droga, l’incapacità di fermarsi e di concedersi la
felicità è la maledizione di chi è riuscito a salvarsi abbandonando tutto e re-inventandosi, e da allora ha dentro di sé una voce che l'obbliga a ripetere all'infinito lo stesso abbandono, come una condanna.
La figura del provinciale incolto che sogna di conquistare la grande città e la rispettabilità borghese non è una novità, dal Lucien de Rubempré di Balzac al Martin Eden di Jack London, ma questo tema eterno viene portato da Louis ai giorni nostri e affrontato con una sincerità e onestà alle quali è difficile restare indifferenti. È una storia estrema, eppure non occorre essere sottoproletari piccardi, omosessuali dai denti storti e marci o vittime di bullismo per immedesimarsi. Chiunque si sia sentito almeno una volta inadeguato, o infelice, o abbia provato compassione per l'inadeguatezza o l'infelicità altrui, non rimarrà insensibile.
Édouard Louis ha fatto della sua vita un atto politico. Dietro ogni caffè poi preso al Select di Montparnasse c'è una consapevolezza che affossa qualsiasi autocompiacimento, e una militanza politica nella sinistra radicale che dà alla propria storia il valore di un incitamento collettivo a combattere per scegliersi il proprio destino e non accettare quello che gli altri — nella sua visione le classi dominanti — ci hanno assegnato. Assieme a Didier Eribon, al partner di quest'ultimo, il filosofo Geoffroy de Lagasnerie, e alla premio Nobel Annie Ernaux che dice di scrivere «per vendicare la mia razza», Edouard Louis è diventato uno degli esponenti più riconosciuti e amati della letteratura dei «transfughi di classe» o dei transclasse, secondo l'espressione della filosofa Chantal Jaquet, coloro che «passano da una classe sociale all'altra» sfuggendo alla riproduzione sociale denunciata decenni fa da Pierre Bourdieu.
L'essere «transfughi di classe» è un tema centrale nella società francese contemporanea, tanto da avere generato già una sorta di reazione: qualche settimana fa il sociologo Gérald Bronner ha pubblicato un saggio molto interessante, Les origines (Autrement), nel quale si definisce a sua volta ex povero provinciale ma contesta il «miserabilismo» e il «dolorismo» dell'approccio di Louis e Ernaux preferendo definirsi «nomade sociale», capace di avere una cattedra universitaria a Parigi ma anche di frequentare gli amici di un tempo, senza rotture definitive.
Ognuno ha la sua esperienza e quella di Édouard Louis, drammatica e violenta, ha reso impossibile la sintesi tra mondi così lontani. Si può aderire o meno alla sua visione politica anti-capitalista militante ma non è una condizione necessaria per amare il suo lavoro, che ha un valore letterario prima che politico.
Metodo per diventare un altro è anche un omaggio magnifico all'amicizia di Elena, la compagna di liceo che accoglierà Eddy poi Édouard nella sua casa di Amiens, gli farà conoscere sua madre Nadya e con lei Pablo Picasso e Amedeo Modigliani, le candele e il pianoforte, le cene passate a conversare e non a guardare la televisione, insomma i codici dell'agognata vita borghese. Elena che gli insegnerà a tenersi a tavola in modo civile, usando coltello e forchetta come si deve, e che anni dopo esibirà un solenne dito medio a Didier Eribon venuto a rubargli Édouard, quando l'autobus che avrebbe portato l'allievo e il discepolo a Parigi lasciò la stazione di Amiens.
Édouard Louis racconta magistralmente la vergogna, la vergogna di provare vergogna, il bisogno vitale di cambiare e l'eccitazione e il dispiacere nel riuscirci, l'amore struggente per i genitori disprezzati ma vittime a loro volta, l'ascesa sociale, e il fastidio negli occhi di chi vorrebbe che le persone restassero, sempre, al loro posto.