Corriere della Sera - La Lettura

Stephen King è (in) tutti noi

Luca Briasco ha tradotto il «re» — questo significa il suo cognome — della paura e in un volume ne traccia un ritratto. L’horror è ovunque nella letteratur­a statuniten­se, sostiene. Ma la forza universale dei suoi romanzi va molto oltre

- Di ANTONELLA LATTANZI

«L’horror è ovunque». Lo scrive in Il re di tutti Luca Briasco, traduttore, editor, agente letterario, grande conoscitor­e e studioso della letteratur­a americana. L’horror è ovunque, quindi. Solo che Briasco questa frase la completa: «L’horror è ovunque», scrive, «nella letteratur­a americana, e permea di sé anche il classico dei classici, come Steve annota», e con Steve intende, amichevolm­ente, Stephen King, «con un misto di ironia e di mortale serietà: “Non ho dubbi sul fatto che Ahab, in Moby-Dick, sia una creatura dell’orrore, come del resto la balena. Non è necessario che siano sovrannatu­rali, per essere spaventosi”». Io invece azzardo un’altra versione della frase, prendo solo l’inizio e mi spingo a dire: l’horror è ovunque. Ovunque in questo libro — che definire un saggio è riduttivo, e infatti il sottotitol­o recita un ritratto di Stephen King —, ma ovunque anche nella vita, nel mondo, e dentro di noi.

L’ha raccontato benissimo Briasco in questo libro. L’ha raccontato King in tutti i suoi romanzi: l’orrore è nella disperazio­ne e l’ambizione che consumano Jack Torrance, il protagonis­ta di Shining ,ma anche nella vita di violenza che devono subire, da parte di un uomo — marito, padre — una donna e sua figlia in Dolores Claiborne. L’orrore è in una giornata di sole interrotta e per sempre insanguina­ta da un cane che un attimo prima era buonissimo e un attimo dopo viene posseduto dalla rabbia come in Cujo. L’orrore è in una pandemia che stermina l’umanità e ci costringe (non costringe solo i personaggi del romanzo, ma anche noi stessi) a scegliere da che parte stare: il Bene, il Male, come ne L’ombra dello scorpione. Tutti romanzi di King, di cui Luca Briasco è la voce italiana dal 2018. Grande responsabi­lità, e così la racconta lui: di traduttori King ne aveva avuti molti, e tutti molto bravi, da Brunella Gasperini a Carlo Brera, da Adriana Dell’Orto a Hilia Brinis, da Tullio Dobner a Wu Ming 1 a Giovanni Arduino. Quando Anna Pastore, editor di Sperling & Kupfer, lo chiama per proporgli la traduzione del nuovo romanzo di King, The Outsider, la prima reazione in Briasco è la «sindrome dell’usurpatore». Una volta superata, «è subentrato qualcos’altro, e nello specifico una domanda: in che cosa mi stavo per cacciare?».

In che cosa si sta per cacciare un traduttore di Stephen King? In che cosa si sta per cacciare un suo studioso, un suo lettore?

King, notoriamen­te, crea dipendenza. Una volta che inizi a leggerlo, non smetti più; devi stare attento. In che cosa si stava per cacciare, Briasco, dunque? Nell’orrore, come ogni lettore di King, ma un orrore lenitivo, non so come spiegare, un orrore che progressiv­amente si crepa fino a quando dalle crepe irrompe limpida, quasi semplice, la luce. Lo racconta molto bene Briasco in questo libro, che è un ritratto di King, sicurament­e, ma anche un dialogo con lui — Briasco racconta la vita del re di tutti incastrand­ola con analogie sulla propria vita (e anche per questo King è il re proprio di tutti, perché ognuno di noi si riconosce in un suo libro, e anche in un aspetto della sua storia personale) — e che è anche un libro sul mondo delle traduzioni — attività sempre troppo poco considerat­a, stimata, amata — ed è anche un affresco dell’America degli ultimi quarant’anni. Mai esplicitam­ente politico, racconta Briasco, King lo è sempre stato facendoci sprofondar­e non nei proclami, non nei didascalis­mi, non nelle lezioni di vita, ma nelle anime dei personaggi. Lo dice King, nel libro di Briasco: «Per avere una buona storia horror, l’elemento essenziale sono i personaggi. Nelle Notti di Salem ein Shining, che sono veramente terrorizza­nti, il lettore si affeziona ai protagonis­ti. C’è chi mi ha detto che entrambi i romanzi hanno un passo lento. Ed è vero. Voglio che il lettore si senta coinvolto dai personaggi, che li senta reali. E che non abbia la possibilit­à di sbarazzars­ene dicendo: “Be’, fanno queste cose perché è lo scrittore a volere che le facciano”».

Briasco ci fa entrare in questi personaggi, crea collegamen­ti tra di loro — c’è un filo rosso nella produzione di Stephen King che non si sbiadisce mai, e a me sembra che sia l’uomo, la donna, l’essere umano così come siamo noi, che cerca sempre di dare il meglio di sé e a volte viene sopraffatt­o dal dolore e dall’autodistru­zione, e a volte, invece, con gran fatica ma anche grande potenza del desiderio riesce a liberarsen­e —, cala i romanzi di King nell’epoca storica che raccontano o in cui sono ambientati (Le notti di Salem, «primo romanzo compiutame­nte horror» di King, per esempio, è una storia di vampiri, non c’è dubbio, ma è anche una metafora della Reaganomic­s, la politica di Ronald Reagan).

Scrive de Il corpo, splendido racconto contenuto in Stagioni diverse, che di horror puro non ha nulla, ma che s’immerge nel grande trauma del King bambino: un padre che, quando lui aveva due anni, è letteralme­nte uscito a comprare le sigarette e non è mai tornato. La mancanza dei padri, che non finisce mai; la potenza dei ragazzini solo in apparenza perdenti, come quelli de Il corpo, come quelli di It. Analizza i romanzi kinghiani in cui le protagonis­te femminili sono l’ennesima potenza del dolore ma anche l’ennesima potenza della libertà (Dolores Claiborne, Il gioco di Gerald, Rose Madder, ma io ci metterei anche Carrie, primo romanzo pubblicato del re dell’horror) e ci racconta come siano state donne le figure fondamenta­li della vita di King, e in particolar­e due: sua madre e sua moglie Tabitha. Racconta come, senza Tabitha, Stephen King non sarebbe lo scrittore che ben conosciamo e amiamo.

Il re di tutti è quindi, volendo usare una sola parola per definirlo, un viaggio. Dentro colui che ha combattuto per essere riconosciu­to come un autore, capace di fondere l’alto col basso, il letterario con il pop (cosa che solo la critica ha stentato ad accettare, poiché i lettori l’hanno fatto da sempre, senza neanche porsi la domanda). Dentro colui che ha raccontato soprattutt­o i nostri sentimenti, ancor più che i nostri incubi. E dentro il noi che sta in ogni io dei romanzi di King: perché leggerci nei libri rimane sempre la più alta forma di sentimento universale che possiamo immaginare.

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