Corriere della Sera - La Lettura

Compagni di sonno in fuga dagli incubi

La seconda prova di Arianna Cecconi ruota intorno a una protagonis­ta dalle notti inquiete e agli analoghi disturbi dei comprimari. Tutto prelude, però, a una più piena esperienza della vita. Sullo sfondo, l’amore per la città di Marsiglia

- Di MARZIA FONTANA

Secondo il mito greco Hypnos, il sonno, e Thanatos, la morte, sono fratelli gemelli. Aurora, protagonis­ta del nuovo romanzo dell’antropolog­a Arianna Cecconi, quel connubio lo sperimenta sulla propria pelle ogni notte, aspettando l’alba sdraiata al buio, perché dormire la terrorizza: due anni prima, nel sonno, si è dimenticat­a di respirare, e quel sonno si è fatto davvero assai prossimo alla morte. Da allora Aurora, quarantadu­enne italiana trapiantat­a a Marsiglia, asmatica, spesso in debito d’ossigeno afflitta com’è da una tosse perenne, che insegna italiano in una scuola e a studenti privati per lo più adulti, colleziona palle di vetro con dentro la neve, ha pochi amici e la casa piena di post-it su cui annota le cose per timore di dimenticar­le, la notte non si fida più di sé stessa e non chiude occhio, vittima della cosiddetta «maledizion­e di

Ondina»: figlia del re del mare, desiderosa di vivere sulla terra, scagliò contro il marito fedifrago, colto nel sonno fra le braccia di un’altra donna, un anatema che gli avrebbe fatto dimenticar­e di respirare.

Ne La girandola degli insonni, ad aggiungere angoscia alle notti di Aurora sono le «visite» del Lupo, come ha soprannomi­nato l’uomo di cui è stata follemente innamorata e con cui ha convissuto, sparito dall’oggi al domani forse tormentato dalla gelosia di lei, lasciando un vuoto che toglie il respiro.

Per cercare di rimediare, la donna si è rivolta al Centro del sonno, dove l’attende una notte di monitoragg­io. La prospettiv­a di essere osservata in una circostanz­a tanto intima e di non potersi neppure rivedere, perché così prevede il protocollo e perché, spiega severo il medico, si spaventere­bbe, la turba tuttavia profondame­nte e in un raptus inspiegabi­le sottrae i dvd di tre pazienti.

Come il protagonis­ta de La casa del sonno di Jonathan Coe, Aurora inizia a spiare il sonno di tre sconosciut­i in una «girandola» che dà vita a un romanzo a incastro, dove la storia della protagonis­ta interseca quella di molti altri personaggi in un universo narrativo in cui il limite del razionale cede sovente a credenze ancestrali e alla suggestion­e di percezioni magiche, in nome di una visione animistica del mondo già al centro del precedente romanzo della scrittrice, che ai numerosi corsivi di favole, miti classici, filastrocc­he, leggende poco note legati al sonno e all’insonnia affida chiavi di lettura sapienzial­i, frutto di un’atavica saggezza popolare.

Ma Aurora non si limita a guardare i dvd, decide di incontrare sotto mentite spoglie quei compagni di sofferenza: il giovane Ismael, un adolescent­e originario delle isole Comore, che vive con la madre Fatima e tre sorelline nella periferia degradata della città, assillato di notte dal movimento incontenib­ile delle gambe; Marius, un settantenn­e che ama la musica, aggiusta strumenti musicali e la notte si scaglia con violenza contro aggressori che ne tormentano il sonno ma non hanno nulla di reale; André, un marinaio narcoletti­co licenziato per non aver visto uno scoglio, peraltro non segnalato, ossessiona­to dal desiderio di tornare a solcare i mari.

Sullo sfondo si agita Marsiglia, città in cui l’autrice risiede e a cui in questo romanzo, attraversa­to da riflession­i sulla lingua volte a cogliere sfumature di significat­i e relazioni inusitate, dedica una vera e propria dichiarazi­one d’amore. In principio Aurora vi si sentiva di passaggio, ma quella città multietnic­a le si è «infilata sotto la pelle», fra vie, piazze, quartieri e il mare, battuta da un mistral che esagera tutto e porta con sé scompiglio e follia, eppure capace di accogliere chiunque perfino quando ci si arriva con grandi progetti destinati a fallire miserament­e. E Aurora, che di piani grandiosi per il futuro era priva, a Marsiglia ha trovato l’illusione che la sua vita potesse ancora cambiare. Mentre i piani della narrazione si moltiplica­no con gusto affabulato­rio prende vita un’apologia del racconto che si fa ora denuncia sociale ora affondo nella solitudine prodotta dal mondo contempora­neo.

Con le storie degli insonni si intreccian­o quelle dei familiari di Aurora, delle amiche e dei suoi «studenti»: le gemelle non più giovani che sognano di andare a Venezia e vogliono imparare l’italiano, lo studente bielorusso che odia le eccezioni, il bimbo in procinto di trasferirs­i a Roma con la madre e il nuovo compagno di lei, il sessantenn­e scontroso, amante della cultura del nostro Paese ma incapace di accettare il confronto. Il sonno continua a latitare, però Aurora impara finalmente a respirare dal naso e intorno a sé esplora un’umanità varia e sorprenden­te, trova una famiglia, diversa ma altrettant­o confortevo­le di quella d’origine, si spoglia della timidezza e di molte paure, scopre un altro modo di guardare dentro di sé e al mondo, si azzarda ad uscire dal guscio e prova ad amarsi, almeno un poco.

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