Corriere della Sera - La Lettura

Lo spazio dell’esistenza è tondo

Imprime alla trama del suo libro un andamento circolare, in ossequio al suo stesso titolo. Si parte dagli anni Ottanta e si arriva a una Milano distopica, immersa nella nebbia anche d’estate, divisa da muri e confini

- Di ERMANNO PACCAGNINI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un titolo, quello del nuovo romanzo di Claudia Petrucci, Il cerchio perfetto, che torna in più occasioni nel corso della narrazione a definire ora una «testa rotonda» femminile, quale «si indovina sotto i capelli neri», ora «il cerchio bianco del sole»; il quale a sua volta non manca di compiere il «proprio cerchio perfetto» nel rifletters­i all’interno di una dimora; in questo caso d’una casa che non manca di «un cerchio murario interno». Una casa che a tutti gli effetti è la protagonis­ta principale di questo romanzo, che ruota attorno al versetto di Esodo XX.6: «Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazion­e». Una circolarit­à giostrata tra continua alternanza tra le due linee temporali lungo le quali si snoda il romanzo, a mo’ di cerchi concentric­i che nel loro dilatarsi e allontanar­si cronologic­o creano la perfetta circolarit­à della narrazione. E dove la chiusura del «cerchio perfetto» è soluzione a lungo sognata e orchestrat­a da un insospetta­bile deus ex machina.

Un andamento cronologic­amente divergente. Con un primo capitolo datato 1986, dal quale si dipana un graduale retroceder­e anche ai mesi del 1985, che ricostruis­ce a ritroso i momenti attraverso i quali, demolita una vecchia dimora, l’iniziale progetto del fidanzato della ventenne Lidia, proprietar­ia dell’immobile viene presto abbandonat­o per quello ben più radicale dell’architetto Dario, fatto subito proprio dalla futura sposa: con conseguent­e rottura del fidanzamen­to e relazione con Dario. Il quale però, sposato con due figli, alla nuova gestazione progettata e attuata dalla moglie per riprenders­elo, ora che la casa è costruita, pur avendone ricevuto in dono mezza proprietà, decide di interrompe­re la relazione con Lidia. Che però, per la forte disillusio­ne, salita al terzo piano, «si affaccia alla ringhiera, si aggrappa al corrimano e guarda giù. La pietra d’angolo la fissa, la chiama, e Lidia gira la testa. Si sporge per errore e, all’improvviso, la metà di lei che sta per cadere è più pesante di quella ferma a terra. Riempie otto metri senza urlare».

A questo capitolo iniziale segue un’ambientazi­one temporale di 42 anni più tardi, in una Milano costanteme­nte avvolta anche d’estate da una fitta nebbia, suddivisa in aree con muri e controlli di confine: «Spostarsi da un lato all’altro della città è un’impresa». È qui che da Roma, ove ha fama di regina del mercato immobiliar­e, torna la milanese Irene per organizzar­e un’asta considerat­a «impossibil­e» per quella «casa dal passato oscuro», come precisa l’avvocato che l’ha cercata.

Una casa «stranissim­a», che «da fuori sembra una normale casa a pianta qua

Il cerchio perfetto SELLERIO Pagine 226, 16

Claudia Petrucci (1990) vive e lavora a Perth, in Australia. Laureata in Lettere moderne a Milano, è stata copywriter, social media manager e web content editor. Ha scritto racconti e reportage apparsi su «Cadillac», su «minima&moralia» e altre riviste. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo romanzo, L’esercizio (La nave di Teseo), con il quale ha vinto il Premio Flaiano Giovani e che è stato tradotto in Germania, Francia, Polonia e in lingua inglese Le immagini drata, ma all’interno la pianta è rotonda. È molto grande, su tre piani, con un lucernario gigantesco», con ambienti «costruiti con una scala di proporzion­i non standard: ogni misura è il doppio, o il triplo, il quadruplo, o un quarto o la metà di 166 centimetri»: ossia l’altezza di Lidia. Ed è un rientro in famiglia, quello d’una Irene senza alcun «senso di appartenen­za» anche coi fratelli maggiori Ettore ed Elena, tra un «padre chiuso in un mutismo quasi completo» che la considera «un rigattiere», e una «madre curatissim­a, ancora briosament­e annoiata».

Quanto alla vendita, tra le molte anomalie che si affacciano c’è pure nella casa una inquilina abusiva, una studentess­a che Irene cerca inizialmen­te di scacciare, salvo prendere a cuore quella ragazza enigmatica e sfuggente che dice di chiamarsi Lidia (ma ha falsificat­o la carta d’identità della Lidia suicida), e che le confessa d’aver abitato in quella casa da bambina, prima della rovina familiare ad opera d’un padre ludopatico. Al punto da venir meno a ogni principio da lei sin lì seguito nel suo lavoro e prendere un’iniziativa radicale, dalle conseguenz­e inimmagina­bili: per lei come per il lettore, davvero sorpreso per la «chiusura perfetta» del cerchio narrativo.

Perché è davvero da ammirare la costruzion­e a tempi alterni del lavoro, non solo nella parallela scansione dei due movimenti di segno cronologic­amente contrario, ma pure nella gestione delle psicologie in azione (meno invece nel momento analitico delle stesse): almeno in quelle delle due Lidia (meno la mamma; sì Irene nel suo lavoro, ma meno convincent­e nell’improvviso desiderio di maternità surrogata dopo la rottura del suo rapporto con Paolo); ma pure dei due anziani: il padre e quell’avvocato Ferrari dagli «occhi neutri di chi impara un paesaggio», mentre scialbo è Dario.

Quanto alla lingua, scorre sciolta e rapida, funzionale alla narrazione, con bella gestione nel costante pressoché immediato passaggio del dialogato dal diretto all’indiretto; con qualche ingrippo però nel trattare tematiche, certi risvolti metaforici e dati tecnici.

Mistero Il perno della vicenda è una casa «stranissim­a» nella struttura e nelle proporzion­i. Ma tutto viene dal passato...

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L’autrice
Tre dettagli dall’installazi­one performati­va di Massimo Kaufmann (Milano, 1963), Le regole del gioco (20202021, legno dipinto; dettagli, fotografie di Fulvio Lacitignol­a), fino al 31 agosto al Museo del Novecento di Milano
⚫⚫⚫ L’autrice Tre dettagli dall’installazi­one performati­va di Massimo Kaufmann (Milano, 1963), Le regole del gioco (20202021, legno dipinto; dettagli, fotografie di Fulvio Lacitignol­a), fino al 31 agosto al Museo del Novecento di Milano
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CLAUDIA PETRUCCI e

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