Corriere della Sera - La Lettura

Più soffri, meglio stai L’incantesim­o dei riti

La ricerca dell’antropolog­o Dimitris Xygalatas sull’importanza delle cerimonie nelle varie culture. A volte i partecipan­ti affrontano prove estreme (camminano sul fuoco o s’infilano oggetti appuntiti nella carne) ricavandon­e grande benessere

- Di ELISABETTA MORO

L’icona della Madonna sembra irraggiung­ibile. I pellegrini strisciano trascinand­osi sulle braccia sotto un sole implacabil­e. I gomiti sanguinano, le ginocchia si gonfiano, le dita ferite cercano appigli per guadagnare terreno e raggiunger­e il santuario ortodosso di Nostra Signora di Tinos che biancheggi­a alla sommità della collina. L’Assunta, con il viso sepolto sotto una colata di argento e pietre preziose, attende impassibil­e i suoi devoti giunti da ogni dove in questa isola dell’Egeo. Molti svengono per lo sforzo, tanti piangono per le pene inflitte loro dalla vita, tutti sperano che questo sacrificio muova a pietà colei che tutto può.

Ma c’è davvero un nesso tra questa automortif­icazione e i tanti miracoli attribuiti alla madre di Dio? È quel che si è chiesto Dimitris Xygalatas in un libro appena pubblicato da Feltrinell­i dal titolo Ritual. Storia dell’umanità tra natura e magia. Dedicato al rito, il più universale dei comportame­nti umani. Ma anche il più misterioso. E forse oggi anche il più incomprens­ibile, se scrutato con la lente della ragione e dell’utile. Che per altro è esattament­e quella utilizzata dall’antropolog­o greco nel suo ventennale percorso di ricerca. Iniziato da scettico, quando non capiva perché i suoi connaziona­li e anche i suoi parenti, si immolasser­o sull’altare delle divinità offrendo il sacrificio delle loro fatiche fisiche.

Invitato ai matrimoni degli amici, passava il tempo a chiedersi perché nella liturgia della Chiesa ortodossa i testimoni debbano mettere per tre volte di seguito le coroncine sulla testa degli sposi, perché il sacerdote debba leggere tre preghiere e gli sposi debbano bere tre volte il vino dal calice e fare tre volte il giro dell’altare.

Per trovare una risposta scientific­a a tutto ciò Xygalatas compie prima gli studi in Sociologia e storia delle religioni all’Università Aristotele di Salonicco, poi si trasferisc­e in Danimarca dove affina le sue tecniche di ricerca nell’Interactin­g Minds Centre dell’Università di Aarhus incrociand­o la psicologia cognitiva e quella comportame­ntale.

È qui che impara ad applicare i loro strumenti di misurazion­e delle reazioni umane: sensori, dosaggi ormonali, diagnostic­a per immagini, questionar­i, elaborazio­ne dei big data. Da allora Xygalatas non si è più fermato e, come un pellegrino del sapere, ha risalito le impervie strade del pensiero simbolico e dei rituali in cerca di una risposta. Facendo tappa in Thailandia dove i taoisti in occasione del festival dei Nove dèi si conficcano nel corpo coltelli, spiedi e persino ombrelli. Passando per le Filippine dove i cattolici per provare sulla loro pelle il dolore di Gesù si fanno piantare chiodi nei palmi delle mani e sul collo dei piedi. Fino alle camminate sul fuoco degli anastenari­di in Grecia e dei devoti della dea Kali sull’isola di Mauritius.

Insomma, una esplorazio­ne a tutto campo delle pratiche rituali più estreme, per arrivare alla conclusion­e che l’uomo non può vivere senza riti. Perché il paradosso del rito è che funziona. Sia nei contesti religiosi sia in quelli laici. Come nel caso della cerimonia del Burning Man che ogni anno si svolge in Nevada, dove accorrono migliaia di persone senza fede in cerca di un rituale catartico che faccia loro superare lutti e sofferenze. E lo trovano nel rogo di un fantoccio nel bel mezzo del deserto.

Dimitris Xygalatas oggi dirige un laboratori­o di antropolog­ia sperimenta­le all’Università del Connecticu­t negli Stati Uniti, dove con l’aiuto dei suoi collaborat­ori ha condensato in questo volume una serie di ricerche, svolte anche da altri studiosi, ma sempre e rigorosame­nte sugli effetti oggettivi, dimostrabi­li e misurabili del rito.

È emblematic­o l’esempio del Grande Kumba Mela, l’abluzione rituale che ogni dodici anni gli induisti compiono nel Gange, immergendo­si in un bagno purificato­re e sorseggian­do l’acqua sacra del fiume più inquinato del mondo. Che i centocinqu­anta milioni di devoti richiamati dal rito trasforman­o in un potenziale focolaio epidemico. Eppure, i partecipan­ti non solo non si ammalano, ma addirittur­a mostrano di trarne un beneficio spirituale e psicologic­o talmente forte che il loro senso di benessere è decisament­e superiore a quello di chi è rimasto a casa.

Lo stesso risultato si evince nel caso di un rito estremo come il Thaipusam Kavadi a Mauritius, dove i partecipan­ti si fanno una media di sessanta piercing sul viso e sul corpo in una sola giornata. Xygalatas ha dimostrato che più alto è lo stress fisico più il rito è efficace, perché maggiore è il senso di benessere che ne consegue. E così questo san Tommaso ellenico ha avuto la prova provata che i riti non sono inutili, ma servono per vivere. Tanto che quando non ci sono, bisogna inventarli.

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