Corriere della Sera - La Lettura
Più soffri, meglio stai L’incantesimo dei riti
La ricerca dell’antropologo Dimitris Xygalatas sull’importanza delle cerimonie nelle varie culture. A volte i partecipanti affrontano prove estreme (camminano sul fuoco o s’infilano oggetti appuntiti nella carne) ricavandone grande benessere
L’icona della Madonna sembra irraggiungibile. I pellegrini strisciano trascinandosi sulle braccia sotto un sole implacabile. I gomiti sanguinano, le ginocchia si gonfiano, le dita ferite cercano appigli per guadagnare terreno e raggiungere il santuario ortodosso di Nostra Signora di Tinos che biancheggia alla sommità della collina. L’Assunta, con il viso sepolto sotto una colata di argento e pietre preziose, attende impassibile i suoi devoti giunti da ogni dove in questa isola dell’Egeo. Molti svengono per lo sforzo, tanti piangono per le pene inflitte loro dalla vita, tutti sperano che questo sacrificio muova a pietà colei che tutto può.
Ma c’è davvero un nesso tra questa automortificazione e i tanti miracoli attribuiti alla madre di Dio? È quel che si è chiesto Dimitris Xygalatas in un libro appena pubblicato da Feltrinelli dal titolo Ritual. Storia dell’umanità tra natura e magia. Dedicato al rito, il più universale dei comportamenti umani. Ma anche il più misterioso. E forse oggi anche il più incomprensibile, se scrutato con la lente della ragione e dell’utile. Che per altro è esattamente quella utilizzata dall’antropologo greco nel suo ventennale percorso di ricerca. Iniziato da scettico, quando non capiva perché i suoi connazionali e anche i suoi parenti, si immolassero sull’altare delle divinità offrendo il sacrificio delle loro fatiche fisiche.
Invitato ai matrimoni degli amici, passava il tempo a chiedersi perché nella liturgia della Chiesa ortodossa i testimoni debbano mettere per tre volte di seguito le coroncine sulla testa degli sposi, perché il sacerdote debba leggere tre preghiere e gli sposi debbano bere tre volte il vino dal calice e fare tre volte il giro dell’altare.
Per trovare una risposta scientifica a tutto ciò Xygalatas compie prima gli studi in Sociologia e storia delle religioni all’Università Aristotele di Salonicco, poi si trasferisce in Danimarca dove affina le sue tecniche di ricerca nell’Interacting Minds Centre dell’Università di Aarhus incrociando la psicologia cognitiva e quella comportamentale.
È qui che impara ad applicare i loro strumenti di misurazione delle reazioni umane: sensori, dosaggi ormonali, diagnostica per immagini, questionari, elaborazione dei big data. Da allora Xygalatas non si è più fermato e, come un pellegrino del sapere, ha risalito le impervie strade del pensiero simbolico e dei rituali in cerca di una risposta. Facendo tappa in Thailandia dove i taoisti in occasione del festival dei Nove dèi si conficcano nel corpo coltelli, spiedi e persino ombrelli. Passando per le Filippine dove i cattolici per provare sulla loro pelle il dolore di Gesù si fanno piantare chiodi nei palmi delle mani e sul collo dei piedi. Fino alle camminate sul fuoco degli anastenaridi in Grecia e dei devoti della dea Kali sull’isola di Mauritius.
Insomma, una esplorazione a tutto campo delle pratiche rituali più estreme, per arrivare alla conclusione che l’uomo non può vivere senza riti. Perché il paradosso del rito è che funziona. Sia nei contesti religiosi sia in quelli laici. Come nel caso della cerimonia del Burning Man che ogni anno si svolge in Nevada, dove accorrono migliaia di persone senza fede in cerca di un rituale catartico che faccia loro superare lutti e sofferenze. E lo trovano nel rogo di un fantoccio nel bel mezzo del deserto.
Dimitris Xygalatas oggi dirige un laboratorio di antropologia sperimentale all’Università del Connecticut negli Stati Uniti, dove con l’aiuto dei suoi collaboratori ha condensato in questo volume una serie di ricerche, svolte anche da altri studiosi, ma sempre e rigorosamente sugli effetti oggettivi, dimostrabili e misurabili del rito.
È emblematico l’esempio del Grande Kumba Mela, l’abluzione rituale che ogni dodici anni gli induisti compiono nel Gange, immergendosi in un bagno purificatore e sorseggiando l’acqua sacra del fiume più inquinato del mondo. Che i centocinquanta milioni di devoti richiamati dal rito trasformano in un potenziale focolaio epidemico. Eppure, i partecipanti non solo non si ammalano, ma addirittura mostrano di trarne un beneficio spirituale e psicologico talmente forte che il loro senso di benessere è decisamente superiore a quello di chi è rimasto a casa.
Lo stesso risultato si evince nel caso di un rito estremo come il Thaipusam Kavadi a Mauritius, dove i partecipanti si fanno una media di sessanta piercing sul viso e sul corpo in una sola giornata. Xygalatas ha dimostrato che più alto è lo stress fisico più il rito è efficace, perché maggiore è il senso di benessere che ne consegue. E così questo san Tommaso ellenico ha avuto la prova provata che i riti non sono inutili, ma servono per vivere. Tanto che quando non ci sono, bisogna inventarli.