Corriere della Sera - La Lettura
Il mio atto d’amore per la libertà di Emily
Attrice di cinema, serie tv e teatro, Frances O’Connor, ha scelto di debuttare dietro la macchina da presa con la scrittrice che adora da sempre, seconda delle sorelle Brontë. «Una sorpresa? Le sue poesie: belle, ma anche divertenti e toccanti»
Australiana, londinese di adozione, classe 1967, Frances O’Connor (qui sopra) ha recitato al cinema con registi come Steven Spielberg, Harold Ramis, John Woo, Billy Bob Thornton, nella serialità tv e in teatro con autori come Florian Zeller. è la sua opera prima da regista Il film
Cime tempestose.
Parlava francese e tedesco, suonava Beethoven al pianoforte, lasciò il lavoro di insegnante per andare a studiare a Bruxelles, scrisse poesie belle e in parte perdute e il suo capolavoro, Cime tempestose, l’anno prima di morire per tubercolosi, trentenne, nel 1848. Un’artista complessa, Emily Brontë, capace con un solo romanzo di varcare i confini dei canoni letterari e alimentare altri classici della cultura popolare, dal cinema alla musica. Un mistero anche per la sorella maggiore Charlotte, che si interrò a lungo sul «potere segreto, sul fuoco che avrebbe potuto nutrire il cervello e infiammare le vene di un eroe». Un mistero che appassiona l’attrice Frances O’Connor da decenni, dal primo incontro — adolescente — con le pagine del romanzo, a cui ha deciso di dedicare il suo primo film da regista, come racconta a «la lettura». Titolo, semplicemente Emily (dal 15 giugno al cinema con Bim).
Il suo è un interesse che sfiora l’ossessione. Da che cosa nasce?
«Ho sempre amato le sorelle Brontë, sembra incredibile che nello stesso anno di Cime tempestose, Charlotte pubblicasse Jane Eyre e Anne Agnes Grey. Emily è quella meno in vista, adorata da una nicchia di fedelissimi di cui mi sento parte che l’hanno eletta a loro eroina. La amo come persona, amo quello che rappresenta: una ribelle, fuori da ogni schema. Ho letto Cime tempestose a 15 anni, fu una folgorazione: l’atmosfera, i personaggi, non so dire esattamente cosa, ma sentivo che mi parlava. Mi sono riconosciuta nei protagonisti, Heathcliff e Catherine. Da adulta ho realizzato che in quel libro c’era una profondità che allora non colsi. Qualcosa di molto bello ma anche selvaggio, una ruvidezza che continuo ad amare profondamente».
Conosciamo la scrittrice, sappiamo molto poco della donna, qualcosa proprio grazie alla sorella Charlotte. Lei che tipo di ricerche ha fatto, quante libertà s’è presa?
«Un alone di mistero la circonda, era una persone riservata. Volevo, un po’ come lei in Cime tempestose dove lasciò voConsiderava lare la sua immaginazione, fare una sorta di volo immaginario per capire come abbia potuto scrivere questo libro così sorprendente, potente e gotico pur avendo vissuto una vita così tranquilla. Ho letto tutte le biografie, visitato la canonica della famiglia Brontë (oggi Brontë Parsonage Museum, ndr), ho camminato per le brughiere dello Yorkshire, dove poi ho girato. Ne è emersa la storia, tra vita reale e romanzo, di una giovane donna di grande intelligenza e immaginazione, con un legame forte con la terra, con la natura, una donna che stava cercando di trovare la sua voce».
Non trova sorprendente che quella voce continui a risuonare, soprattutto tra un pubblico di lettrici anche molto giovani?
«No, mi sembra una conferma della forza della sua poesia. Dietro le parole puoi sentire la persona che le ha scritte, il suo conflitto tra quello che avrebbe dovuto diventare e quello che lei sentiva di dover essere. La trovo molto contemporanea, non credo che il suo fascino si esaurirà mai. Penso che molte giovani donni si sentano un po’ così, e si riconoscano in lei, perché lei era una ribelle, ciò che vorremmo essere anche se non abbiamo il coraggio di essere».
Nel film emergono nella loro complessità i rapporti familiari segnati da lutti e da conflitti e il legame, profondo ma non idilliaco, con Charlotte.
«Charlotte fu la sua prima biografa, mi sembra che abbia letteralmente riscritto sua sorella, ha rieditato le sue lettere. Ho provato a ristabilire l’equilibrio, mettere davvero Emily al centro. Quella relazione ci è sempre stata raccontata in modo edificante, secondo l’idea che le donne vittoriane si amino, si aiutino, e si supportino come si legge nei libri».
Invece?
«Credo che la realtà fosse più complessa, che Charlotte, per esempio, potesse muoversi nel mondo in un modo che Emily non poteva fare, o che la lettura di Cime tempestose l’abbia imbarazzata. la sorella “più forte di un uomo, più semplice di un bambino”; a suo modo, unica. Un mistero anche per lei. Il loro era un rapporto straordinario su cui ho spinto dal punto di vista drammaturgico. Così come ho immaginato momenti della loro quotidianità».
E Branwell, il fratello Brontë?
«Nel film è un po’ un insieme di Heathcliff e del Branwell reale, lui e Emily diventano a tratti Heathcliff e Catherine. È un personaggio interessante, anche lui un artista, amava Byron e Shelley, dipingeva. Un po’ stretto tra le potenzialità infinite della giovinezza e i timori di non farcela, intrappolato dai suoi stessi pensieri, dai confronti con le sorelle e dal dolore per la perdita della madre e delle due sorelle maggiori. Si convince di essere l’eroe di Emily; ma quando capisce di non farcela crolla. E non riesce a sottrarsi alla dipendenza da alcol e oppiacei. Sì, anche gli uomini hanno le catene».
Si è presa la libertà di immaginare una love story tra Emily e William Weightman, il viceparroco di Haworth, nonché aiuto del padre Patrick.
«È una mia idea che nasce però dalle ricerche. Credo che lei fosse interessata agli uomini che la circondavano anche come prototipi della sua scrittura. Era un modo per raccontare Emily, il suo essere eccentrica rispetto alle regole del patriarcato».
Che idea s’è fatta di Patrick Brontë?
«Credo che per lui sia stato molto difficile prendersi cura dei figli: ha perso la moglie quando erano molto piccoli. Sono cresciuti in un’atmosfera di lutto che ha segnato la vita interiore di ognuno di loro. Credo sia stato molto assente, ma poi quando erano già grandi li ha incoraggiati a studiare. Ha comprato a Emily il pianoforte. È un uomo nato in povertà che si è istruito, quindi ha capito quanto l’educazione possa cambiare una persona. Anche se credo che se sua moglie non fosse morta, forse non avrebbe spinto le figlie a studiare, le avrebbe date in sposa. Branwell è stato un’enorme delusione per lui, e penso non si sia reso conto di quanto le figlie stavano realizzando».
Emily Brontë è un’autrice di un culto che si rinnova di continuo, con trasposizioni al cinema e in teatro, fino al brano di Kate Bush. Cosa ha scoperto di lei che l’ha sorpresa?
«Le sue poesie. Rileggendole le ho trovate non solo belle, e anche divertenti, ma toccanti, molto oscure. È vero, è oggetto di culto, ma ricordiamo che sono serviti cinquant’anni per avere una buona recensione di Cime tempestose. La gente ha odiato il libro quando è uscito, perché c’era troppa passione. Il mio film non è un biopic, ma un omaggio. Al suo genio creativo, alla sua libertà di pensiero».